Le leggi dell’integrazione scolastica e sociale (1)
di Mario Tortello
«Scuola bocciata nell’integrazione degli studenti con handicap».
Così scrive «Il Sole 24 Ore»
presentando la Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n.
104/1992 (2).
Non siamo d’accordo.
Certo: non si può ignorare il fatto che l’integrazione scolastica di alunne e alunni in situazione di handicap nelle sezioni e classi comuni di ogni ordine e grado oscilli «tra punte di eccellenza ma anche tra grandi sacche di inefficienza».
Tuttavia, non possiamo condividere l’opinione secondo la quale «l’ultima relazione elaborata dal ministero della Pubblica Istruzione […] è un quadro impietoso di problemi, difetti e difficoltà», anche «di natura didattica».
Soprattutto, non riteniamo corretto puntare genericamente il dito contro la sola istituzione (la scuola) che in questi trent’anni ha profuso con continuità, insieme alla famiglia, l’impegno maggiore a sostegno dell’integrazione piena di tutte le persone «in formazione», presupposto fondamentale per il successivo inserimento lavorativo e sociale.
Onestamente dobbiamo riconoscere che — per quanto riguarda l’istruzione delle persone in situazione di handicap — l’istruzione pubblica non «arranca», come scrive invece il quotidiano della Confindustria.
Il fatto è che non è possibile dotare tutte le scuole delle competenze e dei sussidi didattici e tecnologici adeguati a qualsiasi tipologia di handicap».
Ciascuno può farsi un’idea personale, rileggendo la Relazione al Parlamento, da noi pubblicata integralmente nella Monografia del numero di febbraio (3), e confrontandola con i contenuti dell’articolo in questione.
A chi giova sottolineare che «vi sono circa 3 mila posti di sostegno che i Provveditori agli Studi utilizzano in deroga» al rapporto fissato dalla finanziaria per il ’97, se poi non si sottolinea che il loro numero complessivo non è sufficiente a coprire l’intero fabbisogno nazionale di integrazione scolastica?
Se - come scrive «Il Sole 24 Ore» - «fosse rispettata la normativa vigente», la coperta del sostegno sarebbe ancora più corta, a scapito dell’esigibilità dei diritti all’educazione, all’istruzione e all’integrazione sanciti proprio dalla legge n. 104/1992.
Peccato.
Un foglio autorevole ha perso una buona occasione per far conoscere una delle
più importanti riforme scolastiche e sociali degli ultimi trent’anni.
È troppo suggerire di chiedere scusa a quanti continuano a lavorare per un’integrazione che sia di Qualità?
- Le leggi dell’integrazione scolastica e sociale, Vol. 2, n. 4, aprile 2001, Centro Studi Erickson, aprile 2001, http://www.erickson.it, info@erickson.it, dossi@erickson.it
- Handicap, scuole disattente, «Il Sole 24 Ore», 25 marzo 2001.
- Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge-quadro sui diritti delle persone in situazione di handicap, «Le leggi dell’integrazione scolastica e sociale», vol. 2, n. 2, pp. 69-92.
Handicap,
scuole disattente
La relazione al Parlamento rivela un quadro non omogeneo: bene gli asili,
male le superioridi
di Marco Ludovico (1)
Scuola bocciata nell'integrazione degli studenti con handicap.
C'è ancora molta strada da fare nell'attuazione della legge n.104/92, per quanto riguarda l'istruzione dei ragazzi disabili. L'ultima relazione al Parlamento elaborata dal ministero della Pubblica istruzione, pubblicata sul sito Internet del ministero (www.istruzione.it), è un quadro impietoso di problemi, difetti e difficoltà, non solo di natura didattica ma anche gestionale, economica e sociale. L'istruzione pubblica, insomma, arranca in questo settore, tra punte di eccellenza ma anche grandi sacche di inefficienza. Ecco i principali risultati del rapporto ministeriale.
I dati anomali di un settore in crescita. Gli studenti con handicap sono moltissimi e in aumento. Il numero di bambini e ragazzi certificati nell'anno scolastico 1999-2000, pari nel 2000 a 124.155 alunni, è cresciuto del 33% dal 1989 al 1999 (dall'1,27% all'1,65% della popolazione scolastica). Gli insegnanti di sostegno sono 60.457, con un rapporto di un docente ogni 2,05 alunni.
Se fosse rispettata la normativa vigente (legge 448/98), che stabilisce il numero degli insegnanti di sostegno, ci dovrebbero essere 57.400 posti di sostegno in ruolo. "Vi sono quindi circa 3mila posti che i provveditori agli studi utilizzano in deroga - denuncia il Rapporto - assumendosi la responsabilità per via della complessità accertata delle situazioni di fatto". Inoltre, da uno studio svolto su un campione di casi, il ministero rileva come "dalla scuola dell'infanzia alla scuola elementare e alla scuola media, il numero di docenti di sostegno che mediamente incontrano un alunno in situazione di handicap è circa il doppio dei tre docenti ideali. Se si tiene conto della mobilità del personale a tempo indeterminato e dell'aleatorietà di quello a tempo determinato, si può ben dire che gli alunni in situazione di handicap hanno insegnanti per loro dedicati con il più alto tasso di variabilità di tutto il sistema scolastico. Il fatto è paradossale, pensando alle esigenze di maggiore continuità necessaria per questi alunni".
I problemi sul territorio: casualità, scarso coordinamento, poca informazione. Nella stessa città si riscontrano "istituti del medesimo ordine scolastico con comportamenti molto diversi tra di loro". La capacità della scuola "di accogliere e di istruire" dipende in forte misura "dal caso" e dai livelli scolastici: è alta nella scuola dell'infanzia, bassa nella secondaria.
"Non si ritiene che la questione sia connessa alla via via maggiore complessità dei curricoli - dice il Rapporto - quanto a una ben diversa attenzione e mission dei docenti nei confronti degli alunni, e a una maggiore capacità didattica di essere flessibili e intenzionali". "Nei documenti formali dei Piani di offerta formativa - prosegue il documento - una gran parte delle scuole dice poco sulla flessibilità didattica connessa ai suoi alunni in situazione di handicap. Le scuole oscillano tra due pratiche: da un lato una didattica fortemente interattiva e di gruppo, che integra l'alunno in situazione di handicap entro gruppi mirati, dall'altro estremo una didattica fondata solamente sull'insegnante di sostegno, prevalentemente fuori della classe o con attività comunque diverse dal resto della classe".
Il fallimento dell'attuale modello amministrativo. Toni durissimi nella relazione sono usati a proposito dei Glip, Gruppi di lavoro interistituzionali per l'integrazione scolastica, composti da personale della scuola e dei provveditorati, e da rappresentanti delle associazioni delle famiglie, degli enti locali e socio-sanitari. La loro funzione, ricorda la relazione, è propositiva e consultiva, soprattutto per la costituzione degli accordi di programma. Nomina, sede e organizzazione dei lavori erano a carico dei provveditori agli studi: strutture, queste ultime, in fase di smobilizzo con la riforma del ministero della Pubblica istruzione.
Dice il rapporto: "I Glip hanno posto eccessivamente la scuola come centro di lavoro. Gli stessi rappresentanti del territorio non sono stati quasi mai in grado di assumersi responsabilità da parte degli enti di riferimento. La controprova di quanto detto è l'esperienza di costruzione e ratifica degli accordi di programma. Nel complesso, questi accordi si sono rivelati macchinosi per la loro composizione, e spesso più petizioni di principio che vere e proprie assunzioni integrate di responsabilità".
Le risorse in gioco. I finanziamenti per le attività delle scuole sono stati complessivamente di 20 miliardi, 28 milioni e 476mila lire, derivanti non solo da quelli attribuiti dalla legge 104/92, ma anche da quelli nuovi dati dalla legge 69/2000, che ha implementato il fondo previsto dalla legge 440/97, e che ha consentito all'amministrazione di adottare per gli interventi di integrazione scolastica criteri analoghi a quelli seguiti per il finanziamento dei Piani di offerta formativa.
- da Il Sole 24 Ore, 25 marzo 2001