SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV LEGISLATURA
249ª SEDUTA PUBBLICA
RESOCONTO STENOGRAFICO
Giovedì 3 ottobre 2002
Discussione dei disegni di legge:
(1306) Delega al Governo per la
definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli
essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione
professionale
(1251) CORTIANA ed altri. – Legge-quadro
in materia di riordino dei cicli dell'istruzione
ASCIUTTI, relatore.
Signor Presidente, onorevole Ministro, senatrici e senatori, come
feci in Commissione aprendo l'iter del provvedimento, anche ora in
questa sede ritengo più che opportuno rivedere insieme, attraverso
un sintetico excursus storico, il percorso compiuto nell'arco di
oltre un secolo dai nostri legislatori nel tentativo di
regolamentare il sistema scolastico italiano. (...)
Come dicevo, la memoria, la storia sono elementi preziosi per
confrontarsi e diventano strumenti efficaci per il cambiamento,
l'evoluzione. Ritengo infatti indispensabile ricordare insieme
quello che la nostra scuola è stata nel corso di più di un secolo,
a seconda del contesto storico e politico che nel tempo ha
determinato la sua struttura e i suoi contenuti. Così facendo
intendo ancora una volta sottolineare il significato essenziale che
essa ha rivestito e riveste nel percorso di sviluppo del nostro
Paese, oltre che esserne vera e propria immagine speculare. (...)
Nel tracciare questo breve percorso storico si può osservare
intanto una analogia comune ai passaggi salienti che hanno
contrassegnato la lunga vicenda delle grandi riforme scolastiche del
nostro Paese.
Quando il ministro Gabrio Casati nel novembre 1859 elaborò la prima
e unica legge organica dell'ordinamento scolastico italiano prima
della riforma Gentile, l'Italia, oltre che essere nel momento
culminante del suo processo di unificazione, viveva in maniera molto
forte il dibattito sulla istituzione delle Regioni.
L'anno successivo il ministro Terenzio Mamiani, cui spettò il
compito di attuare la legge Casati attraverso regolamenti e
programmi, pensò di istituire una Commissione con il compito di
discutere e di preparare un nuovo ordinamento delle leggi
scolastiche conforme ai voti manifestati dal Parlamento e ai
princìpi amministrativi del nuovo Regno. Non si istituirono le
Regioni e non si modificò sostanzialmente la legge Casati, ma la
successiva riforma scolastica, che porta il nome di Giovanni
Gentile, vide la luce assieme al nuovo assetto dello Stato fascista.
I passi successivi si svolsero in era repubblicana, nella XIII
legislatura con il ministro Berlinguer e ora, nella XIV legislatura,
con il ministro Moratti.
Così il Parlamento si accinge a porre mano all'articolazione del
sistema scolastico in concomitanza con un processo riformatore che
ha ridisegnato il rispettivo ruolo dello Stato e delle Regioni e che
ha preso corpo grazie alla nuova formulazione del Titolo V della
Costituzione.
In buona sostanza, intendo sottolineare come la storia stessa del
nostro Paese testimoni il fatto che le classi dirigenti hanno sempre
interpretato il problema dell'organizzazione della scuola come un
aspetto fondamentale – naturalmente con proprie e peculiari
caratteristiche – dell'organizzazione dello Stato.
Ma la scuola, come dicevo in precedenza, è realmente l'immagine
speculare della organizzazione di uno Stato in quanto matrice
educativa dei suoi componenti e, in quanto tale, lo identifica.
Perciò, l'iter di questo provvedimento segna un passo fondamentale
in quel percorso storico attraverso il quale, se ve ne fosse
necessità, si potrà meglio intravedere l'enorme responsabilità
dei legislatori del passato e del presente.
Tornando alla «legge Casati», all'epoca essa rifletteva la realtà
piemontese e lombarda per cui era stata concepita. Ne è
testimonianza la linea accentratrice già delineata nel Piemonte
sabaudo. Essa divideva l'istruzione umanistica da quella tecnica,
considerando quest'ultima inferiore alla prima e inoltre affidava
l'istruzione professionale al Ministero dell'agricoltura e del
commercio il quale, dal 1861, avrà anche la responsabilità degli
istituti tecnici.
L'istruzione elementare, affidata ai comuni, era divisa in due
gradi, inferiore e superiore, ognuno formato da due classi distinte.
L'istruzione elementare era gratuita, con obbligatorietà del corso
inferiore per tutti i fanciulli dai sei agli otto anni, e veniva
impartita dallo Stato per mezzo dei comuni. Anche l'istruzione
secondaria classica era articolata in due gradi: il ginnasio, della
durata di cinque anni, e il liceo, di tre.
C'erano poi le scuole tecniche, la scuola tecnica e l'istituto
tecnico, entrambi di durata triennale, e le scuole normali, di
durata biennale o triennale per la preparazione, rispettivamente,
dei maestri elementari di grado inferiore o superiore. Infine, tutte
le autorità scolastiche, oltre che i membri del consiglio superiore
dell'istruzione e di quelli provinciali erano di nomina regia o
ministeriale, mentre la spesa per l'istruzione pubblica si
concentrava sull'università e sull'istruzione secondaria e
classica. I costi relativi all'istruzione primaria, al reperimento
dei locali e al pagamento dei maestri erano totalmente a carico dei
comuni.
Un primo e rilevante intervento riformatore è datato giugno 1877,
con la legge voluta dal ministro Michele Coppino, le cui
peculiarità erano l'obbligatorietà dell'istruzione elementare
inferiore, dai sei ai nove anni di età, la sua gratuità e
aconfessionalità. L'applicazione della legge era graduale e
subordinata al raggiungimento di una determinata proporzione fra il
numero dei docenti e la popolazione complessiva dei comuni, ma è
importante segnalare che le autorità preposte avevano la facoltà
di procedere a impostare d'ufficio la spesa necessaria nei bilanci
comunali, al fine di ottemperare all'obbligo di istituzione e
mantenimento delle scuole.
In questo stesso periodo di tempo, gli istituti tecnici vennero
riportati nell'ambito della pubblica istruzione, ma furono
organizzati confermando il modello originale di Casati. Erano cioè
divisi in cinque sezioni: fisico-matematica, industriale,
agronomica, commerciale e ragioneria. Solo la prima sezione, per
altro, permetteva l'iscrizione alle facoltà di scienze matematiche,
fisiche e naturali. Nel 1879 e nel 1880 due successive circolari del
Ministero dell'agricoltura e del commercio sollecitarono gli enti
locali e le camere di commercio a creare scuole di arti e mestieri,
cogliendo un'effettiva domanda proveniente dal mondo artigiano e
dalla stessa classe lavoratrice.
In epoca giolittiana fu il settore elementare ad essere attraversato
da importanti riforme. Conviene ricordare in proposito la legge
Orlando del 1904, che estendeva l'obbligo scolastico fino al
dodicesimo anno di età, ma solo nei comuni che avessero istituito
il corso elementare superiore, e stabiliva che coloro i quali
intendevano proseguire gli studi potevano sostenere, compiuta la
quarta classe elementare, un esame speciale di maturità per
l'ammissione alle scuole secondarie.
Successivamente la legge Daneo-Credaro, del 1911, avocò allo Stato
gran parte dell'istruzione primaria, ma tale passaggio venne
limitato ai comuni non capoluogo ed inoltre le scuole sottratte ai
comuni vennero amministrate da un consiglio scolastico provinciale,
la cui composizione prevedeva comunque una forte componente di
membri direttamente designati dai consigli comunali.
Le ulteriori e profonde esigenze di rinnovamento che percorsero
tutta l'istruzione non si concretarono invece in una proposta
organica. La crisi economica che avanzò negli anni tra il 1907 e il
1911 e poi la guerra impedirono che si realizzasse nella sua massima
ampiezza l'ipotesi di riforma che l'età giolittiana aveva
elaborato.
Dopo un ultimo tentativo nel dopoguerra di affrontare i problemi
della scuola nel quadro dello Stato liberale da parte di Giolitti e
di Croce (quest'ultimo Ministro della pubblica istruzione dal 1921
al 1922), il nuovo sistema d'istruzione venne elaborato nell'ambito
del Governo Mussolini con i decreti-legge che compongono la riforma
Gentile.
Era un sistema che si basava sulla forte selezione delle classi
dirigenti nell'asse portante liceo-università, attraverso la
preminenza del liceo classico, unica scuola che apriva l'accesso a
tutte le facoltà universitarie. L'istruzione tecnica e quella
professionale erano affidate ad altri Ministeri specifici, a
testimonianza della minore considerazione in cui erano tenute. Solo
i ragionieri e i geometri rimanevano nel quadro della Pubblica
istruzione.
Più nel dettaglio, l'istruzione elementare era articolata in tre
gradi: preparatorio, per i fanciulli dai 3 ai 6 anni, non
obbligatorio; inferiore, della durata di 3 anni; superiore, della
durata di 2 anni. Ma il corso elementare vero e proprio veniva
stabilito in 5 anni, abolendo la possibilità, contemplata nella
legge Orlando del 1904, di sostenere l'esame di ammissione alla
scuola secondaria alla fine della quarta classe.
L'istruzione obbligatoria veniva elevata al quattordicesimo anno di
età e prevedeva, oltre il livello della scuola elementare, la
frequenza di un ulteriore corso integrativo di avviamento
professionale della durata di tre anni. Le scuole secondarie erano a
loro volta articolate in una serie di gradi di durata diversa, a
seconda della loro tipologia. L'accesso ad esse era regolato secondo
il criterio dell'esame di ammissione e prevedeva per ogni istituto
un numero chiuso. Il livello più basso dell'istruzione secondaria
veniva impartito nella scuola complementare, nel corso inferiore
dell'istituto tecnico e dell'istituto magistrale, e nel ginnasio. Il
livello ulteriore si articolava nel corso superiore dell'istituto
tecnico e di quello magistrale, nel liceo scientifico, nel liceo
classico e infine nel liceo femminile di durata triennale e senza
ulteriori sbocchi.
Nel 1939 si intervenne ancora sul sistema di istruzione con la Carta
della scuola ideata da Giuseppe Bottai, che avrebbe dovuto
costituire la risposta agli impetuosi processi sociali della seconda
metà degli anni Trenta, che in termini scolastici si tradussero in
un notevole sviluppo quantitativo dell'istruzione, soprattutto per
quanto riguarda gli istituti tecnici industriali, i licei
scientifici e le magistrali. Il calendario dell'attuazione della
riforma prevedeva la predisposizione di cinque leggi fondamentali da
approvare gradualmente. Di queste l'unica effettivamente promulgata
fu la n. 899 del 1940, relativa all'istituzione della scuola media
di durata triennale valida per l'accesso alle scuole dell'ordine
superiore, al liceo artistico e alle scuole dell'ordine femminile.
Dopo la Liberazione, il dibattito sulla scuola che si sviluppò in
seno all'Assemblea costituente dovette necessariamente affrontare
prima i gravi problemi legati alla devastazione della guerra, ovvero
povertà e analfabetismo, e poi anche quello del ruolo
dell'istruzione nella società dell'immediato futuro. L'accesa
contrapposizione che si generò rispetto all'opportunità o meno di
inserire la scuola nel testo della Costituzione sfociò in un
compromesso tra le istanze dei cattolici e quelle della sinistra,
che avevano visioni nettamente contrapposte sui rapporti tra Stato e
scuola.
Il risultato furono gli articoli 33 e 34 della Costituzione, che
sanciscono il diritto del cittadino ad avere una adeguata
istruzione, l'obbligatorietà e gratuità dell'insegnamento fino a
quattordici anni, il principio di agevolazione all'accesso ai più
elevati gradi di istruzione per i più capaci e meritevoli, il
diritto-dovere dello Stato di dettare norme generali in materia di
istruzione e la sua prerogativa di rilasciare titoli di studio;
infine, la libertà dei privati di creare scuole, ma senza oneri per
lo Stato.
Da allora per rinvenire un significativo intervento legislativo nel
settore dell'istruzione occorre attendere fino al 1962, anno di
approvazione della legge n. 1859, firmata dal ministro Luigi Gui,
che istituiva la scuola media unica e obbligatoria fino a
quattordici anni.
Tale legge sanciva, tra l'altro, l'eliminazione dell'obbligatorietà
del latino prevedendolo come materia autonoma e facoltativa nella
terza classe. L'esame di licenza era trasformato in esame di Stato e
dava accesso a tutte le scuole ed istituti di istruzione secondari
di secondo grado, ma la prova di latino era considerata obbligatoria
per poter accedere al liceo classico. Infine, si sanciva che il
diploma di maturità scientifica dava accesso a tutte le facoltà
universitarie esclusa quella di lettere e filosofia; eccezione che
verrà meno nel 1969, quando venne liberalizzato l'accesso a tutti i
corsi di laurea ai diplomati di qualsiasi istituto di istruzione
secondaria di secondo grado.
Gli anni che vanno dal 1960 in poi vedono grandi mutamenti sociali e
politici, che coinvolgono direttamente la scuola e che essa
interpreta nei tentativi di democratizzazione e di
sburocratizzazione degli apparati amministrativi. Sono anni
importanti per la trasformazione che interviene; anni in cui
assistiamo al fenomeno di massificazione della scuola e che avviano
quel meccanismo di abbassamento del livello culturale complessivo
che, ancora oggi, è una delle principali motivazioni che inducono
alla riforma del sistema di istruzione.
Nel 1968, con la legge n. 444, lo Stato organizzò la scuola materna
per l'accoglimento dei bambini nell'età prescolastica da tre a sei
anni, con fini di preparazione alla frequenza della scuola
dell'obbligo. Ancora una volta quindi i nodi da sciogliere
rimanevano la secondaria e l'università. E in effetti, dopo la
legge n. 119 del 1969 che introduceva in via sperimentale alcune
innovazioni negli esami di Stato di maturità, dal 1970 si sono
succedute nel tempo numerose proposte legislative per il riordino
della scuola secondaria superiore, nessuna delle quali è riuscita a
terminare il proprio iter legislativo: dal testo predisposto
dall'allora ministro Misasi nella V legislatura a quello, di
iniziativa della senatrice Alberici e di altri senatori, approvato
dal solo Senato nel settembre 1993.
Negli anni a cavallo del 1980 si registrò una sostanziale crescita
della domanda di formazione in tutto il Paese, esigenza legata ad un
maggior grado di cultura dei cittadini, dovuto al fatto che essi,
comprese le donne, erano meglio inseriti nel mondo del lavoro e che
migliori erano le condizioni economiche del Paese. Nella scuola
elementare, ad esempio, il graduale calo degli alunni frequentanti,
dovuto al decremento della natalità, risultò un fattore
significativo per esigere ed assicurare servizi più efficienti e
più vicini agli standard medi dei Paesi europei. Tutto ciò
accentrò l'attenzione sui programmi della scuola elementare che
apparivano quanto mai anacronistici; in più, l'approvazione dei
programmi della scuola media da poco avvenuta rendeva più urgente
riformare quelli delle elementari.
Dal 1981, i ministri Bodrato prima e Falcucci poi avviarono
l'elaborazione delle linee guida dei programmi delle elementari che,
dopo un iter costruttivo piuttosto complesso, furono approvati nel
febbraio 1985, esattamente 30 anni dopo i programmi Ermini.
Negli anni successivi il Parlamento legiferava ancora in tema di
scuola elementare, approvando la legge n. 148 del 1990, che ha
introdotto il cosiddetto «modulo organizzativo» di tre insegnanti
su due classi (o di quattro su tre), ha previsto l'aggregazione
delle materie per ambiti disciplinari e ha reso obbligatorio
l'insegnamento della lingua straniera.
Arriviamo ai giorni nostri, quando, nel corso della XIII
legislatura, viene elaborata la legge quadro di riforma dei cicli
scolastici delineata dal ministro Berlinguer e a sua volta preceduta
dalla legge n. 59 del 1997, che ha attribuito alle istituzioni
scolastiche autonomia didattica, organizzativa, di ricerca e di
sviluppo dotandole peraltro di personalità giuridica, dalla legge
n. 425 del 1997, che ha riformato gli esami di Stato conclusivi dei
corsi di studio di istruzione secondaria superiore, e dalla legge n.
9 del 1999, con la quale l'obbligo scolastico è stato elevato da
otto a dieci anni, sebbene il medesimo obbligo di istruzione sia
rimasto di durata novennale fino all'approvazione del nuovo sistema
scolastico e formativo.
Oggi il Parlamento si trova ad affrontare di nuovo il problema del
riordino dei cicli scolastici, che ormai necessita di urgente
risoluzione. Già in campagna elettorale, la Casa delle Libertà
aveva del resto annunciato l'intento di rielaborare, di concerto con
i diretti fruitori del sistema scolastico, una riforma del comparto
scuola largamente attesa.
Altro elemento che impone la revisione del sistema scolastico è
l'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3, che, modificando il Titolo V della Costituzione, rivede le
competenze di Regioni, comuni e province e vincola al rispetto
dell'autonomia delle istituzioni scolastiche.
La precedente riforma tendeva a livellare il sistema mettendo in
pericolo perni fondamentali della formazione culturale che lo Stato
deve invece garantire. Il disegno di legge n. 1306, presentato dal
Governo, intende dunque ripartire da alcuni precisi ed essenziali
presupposti: il rispetto della Costituzione che sancisce il diritto
allo studio per tutti; il rispetto della più recente normativa di
riordino delle specifiche competenze legislative sulla materia,
ripartite tra Stato e Regioni (come chiarito dall'articolo 1); il
rispetto del diritto dei giovani a formarsi sia attraverso
l'istruzione, sia attraverso la formazione professionale col
presupposto, anch'esso sancito per legge, che entrambi i canali
costituiscono due diverse modalità per giungere al medesimo
obiettivo: quello della crescita e della formazione di una precisa
individualità culturale e sociale.
Il rispetto di questi basamenti strutturali, insieme alle modalità
attraverso le quali la riforma si snoda, garantisce anche il
sistematico adeguamento al panorama scolastico europeo, ad oggi
innegabilmente più idoneo del nostro a formare individui in grado
di affrontare in futuro le sfide del mercato globalizzato.
L'impegno del legislatore deve pertanto essere quello di costruire
un sistema che, tenendo conto dei presupposti appena citati, riesca
a garantire una elevata qualità culturale e professionale
attraverso un sistema unitario, ma al tempo stesso sufficientemente
elastico da consentire ampia flessibilità, nella cornice del valore
legale dei titoli di studio.
L'articolo 2 regola il percorso di formazione scolastica attraverso
due cicli: uno primario, costituito dalla scuola primaria e da
quella secondaria di primo grado; uno secondario, costituito dal
sistema dei licei e da quello parallelo dell'istruzione e della
formazione professionale.
Muovendo da criteri che individuano il compito precipuo
dell'istruzione nella promozione, in tutto l'arco della vita, delle
forme di apprendimento atte a formare e valorizzare la soggettività
e la spiritualità umana, nonché nell'esaltazione delle attitudini
e delle scelte individuali al fine ultimo di strutturare una
personalità consapevole di sé, ma anche della propria appartenenza
civile e storica, il disegno di legge n. 1306 interpreta ed
esaurisce appieno il significato etimologico del verbo educare. È
infatti questo in sostanza il processo educativo: una trasformazione
progressiva che, attraverso l'apprendimento, produce un risultato.
In questo senso il sistema scolastico che eroga metodi e contenuti
di questo processo deve necessariamente essere di qualità elevata
ed adeguato al compito che si prefigge.
Secondo l'asse del provvedimento il cammino formativo prende il via
con la scuola dell'infanzia della durata di tre anni; essa per prima
interviene, attraverso adeguate metodologie, ad educare lo sviluppo
del bambino in termini di motricità, affettività e socialità:
pone cioè le prime essenziali condizioni per quello che sarà il
futuro inserimento nel mondo scolastico.
L'intento annunciato di consentire l'ingresso in questa fase anche a
bambini che compiono i tre anni entro il 30 aprile dell'anno
scolastico di riferimento, consente un ingresso anticipato con la
prospettiva di condurre l'alunno alla fine dei due cicli all'età di
poco più di 18 anni: si tenta infatti di adeguare la scuola
italiana a quella europea, anche se esiste un cospicuo numero di
nazioni nelle quali la durata degli studi necessari per accedere
agli studi universitari è di 13 anni, per cui l'uscita avviene dopo
i 18 anni. Mi riferisco alla Germania, alla Finlandia, alla
Danimarca, alla Svezia, al Lussemburgo. Anche Paesi come la Francia,
pur prevedendo l'uscita prima dei 19 anni, richiedono poi il
baccellierato triennale di ulteriore preparazione per l'accesso
universitario, che in definitiva ritarda tale evento.
In considerazione delle scelte adottate nei vari Paesi dell'Unione,
sarebbe opportuno concepire una soluzione non tanto mirata ad un
pedissequo adeguamento all'Unione, ma fondata invece su due criteri
essenziali: il primo è la contestualizzazione del provvedimento con
il bagaglio culturale, storico ed economico del nostro Paese; il
secondo attiene una serie di valutazioni di carattere
psico-pedagogico. Nella valutazione dell'opportunità di anticipare
l'età scolare va, ad esempio, considerato che il percorso evolutivo
dell'individuo necessita di un tempo preciso (e quindi non
contraibile) per raggiungere la maturità necessaria ad affrontare
le metodologie e i contenuti di studio che l'università impone.
Quanto al primo ciclo scolastico esso comincia a sei anni – ma
anche in questo caso vi è la possibilità di iscriversi qualora il
compimento dei sei anni avvenga entro il 30 aprile – e si snoda
secondo due moduli, uno di cinque anni e l'altro di tre.
Il primo modulo, quinquennale, si articola in un primo anno (in cui
si conducono gli alunni al possesso di elementi cognitivi di base) e
successivamente in due bienni didatticamente distinti. Ritenendo
inoltre che già da questa fase sia di fondamentale importanza
l'apprendimento di una lingua dell'Unione europea, come pure
l'approccio al mondo informatico, sono state inserite queste due
discipline. Gli obiettivi sono impegnativi poiché si intende
promuovere prima attraverso l'alfabetizzazione, poi attraverso
l'acquisizione di conoscenze e di abilità soggettive di base,
quello sviluppo della personalità che proseguirà nella fase
successiva.
Il secondo modulo, triennale, consta di un primo biennio, e
successivamente di un anno, volto sia al completamento didattico dei
due precedenti che al raccordo con il successivo ciclo scolastico,
con funzioni di consolidamento.
Il ciclo superiore è finalizzato alla crescita soggettiva
dell'individuo attraverso le discipline di studio; ha la durata di
cinque anni e si sviluppa in due bienni, più un anno di
completamento e consolidamento del percorso, al termine del quale
l'alunno dovrà sostenere un esame di Stato per poter accedere
all'Università. Tale fase si conclude successivamente al compimento
del diciottesimo anno di età.
In questo periodo della vita evolutiva si accrescono e organizzano
le conoscenze e si tende soprattutto a far acquisire quell'autonomia
di studio che si proietterà in futuro in tutti gli aspetti della
vita dell'individuo.
Il disegno di legge prevede l'introduzione di una seconda lingua
dell'Unione europea, nonché l'approfondimento delle tecnologie
informatiche. Esso indirizza, in particolare, il secondo ciclo
all'educazione personalizzata e mira a potenziare le caratteristiche
soggettive, tenendo sempre in considerazione il contesto sociale e
storico in cui l'individuo si realizza.
È durante questa fase che può essere realizzata la scelta tra
sistema di istruzione e sistema di formazione: due percorsi
assolutamente paralleli, aventi la caratteristica di una pari
dignità, e come tali tutelati per legge. Questi due blocchi non
sono intesi come due sistemi rigidi e a sé stanti, ma per loro
intrinseca struttura dovranno garantire la possibilità, in itinere,
di rivedere le proprie scelte ed eventualmente modificare il
percorso di studio. Tale elasticità consente anche l'alternanza tra
scuola e lavoro (come disposto dall'articolo 4) da effettuarsi sotto
la diretta responsabilità dell'istituzione scolastica, ma di
concerto con le imprese, nonché con enti pubblici e privati che
siano disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di
tirocinio. Anche da queste esperienze deriveranno valutazioni che
andranno a costituire il credito formativo dell'alunno.
I due canali sono diversi per durata (cinque anni il sistema dei
licei e quattro più uno facoltativo per l'istruzione e formazione
professionale) e per la natura dei programmi disciplinari, ma si
concludono entrambi con l'esame di Stato.
Nel nuovo scenario qui delineato, lo Stato ha il compito di dettare
le norme generali affinché sia garantito a tutti e su tutto il
territorio nazionale il diritto allo studio; alle Regioni è
trasferito il compito concorrente di emanare dispositivi in ordine
all'intero sistema educativo, ovvero all'istruzione e alla
formazione professionale, garantendo la ottimale validità e
qualità del servizio sul territorio in accordo coi dettami
nazionali.
Attraverso l'articolo 4 viene inoltre ribadito quanto previsto
dall'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196 che aveva
previsto tirocini e stages di orientamento.
L'innovazione che vede la formazione professionale quale canale
formativo parallelo a quello dell'istruzione realizza appieno le
possibilità di realizzazione individuali: si avranno per entrambi
percorsi che esiteranno in titoli e qualifiche spendibili su tutto
il territorio nazionale e utili per l'accesso alla formazione
superiore.
Per ciò che concerne le verifiche del sistema educativo di cui
all'articolo 3, esse sono affidate al corpo docente, avranno
carattere periodico e verranno regolarmente certificate. La
valutazione periodica verificherà il passaggio alla fase didattica
successiva, ed in caso di mancata idoneità l'alunno sarà costretto
a ripetere non l'intero biennio, ma solo il secondo anno dello
stesso periodo.
In stretto riferimento con quanto appena detto, si manifesta la
necessità di una significativa permanenza del corpo docente, tesa a
garantire quella continuità didattica imprescindibile anche per una
corretta valutazione. In tale ambito concettuale è sembrato inoltre
opportuno reinserire la tradizionale valutazione del comportamento
generale dell'alunno a fronte della sperimentata convinzione che
tale strumento offra, a lungo termine, un valido parametro di
orientamento per i docenti, per le famiglie e per lo stesso alunno.
Inoltre, viene affidato all'Istituto nazionale per la valutazione
del sistema di istruzione il compito periodico di effettuare la
valutazione dell'intero sistema attraverso la verifica del livello
di conoscenze raggiunte dagli alunni, allo scopo di monitorare la
complessiva validità dell'apparato scolastico e formativo: anche in
questo senso ci allineeremo ai metodi già in atto in vari Paesi
dell'Unione europea. In ultimo, come già accennato, è previsto
l'esame di Stato come tappa conclusiva dei due cicli scolastici, da
svolgersi sotto il controllo di una Commissione esaminatrice e
avente come contenuto prove stabilite dall'Istituto nazionale per la
valutazione del sistema di istruzione: i criteri di scelta delle
prove si fondano sulla base degli specifici obiettivi di
apprendimento dell'intero corso, nonché in relazione ai curricula
dell'ultimo anno.
L'articolo 5 entra nel merito della formazione degli insegnanti,
prevedendo che siano i decreti legislativi adottati dal Governo e
previsti dall'articolo 1 a disciplinarne i contenuti. Tale
formazione dovrà realizzarsi nelle università presso corsi di
laurea specialistica, il cui accesso è programmato in base ai posti
effettivamente disponibili in ogni Regione e nei ruoli organici.
Le classi dei corsi di laurea sono individuate attraverso i decreti
adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 95, della legge n. 127 del
15 maggio 1997; tali decreti dovranno inoltre regolamentare le
attività didattiche inerenti l'inserimento degli alunni portatori
di handicap, prevedendo che la formazione possa essere realizzata
anche all'estero.
Per accedere ai corsi di laurea specialistica si prevede il possesso
di requisiti minimi curriculari, oltre ad un'adeguata formazione
personale. Il conseguimento, infine, della laurea specialistica
viene determinato da un esame di laurea avente valore abilitante di
uno o più insegnamenti.
Tutti coloro che, già docenti laureati, intendano immettersi nei
ruoli dovranno svolgere un periodo di tirocinio con appropriati
contratti di formazione-lavoro. In questo senso le università
dovranno definire l'istituzione e il funzionamento di apposite
strutture di formazione atte a sostenere i rapporti, mediante
convenzioni, con le istituzioni scolastiche.
Inoltre, le università avranno il compito della formazione in
servizio dei docenti interessati ad assumere funzioni di supporto,
di tutoraggio, di coordinamento delle attività didattiche e
gestionali delle istituzioni scolastiche e formative.
Per ciò che riguarda le Regioni a statuto speciale e le Provincie
autonome di Trento e Bolzano l'articolo 6 mantiene la loro autonomia
in conformità ai loro statuti, alle norme di attuazione e alla
legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001.
Infine, l'articolo 7 detta le disposizioni finali ed attuative,
individuando le materie nelle quali lo Stato potrà intervenire
mediante uno o più regolamenti. Viene anche previsto che il
Ministro relazioni ogni tre anni al Parlamento sul sistema educativo
di istruzione e formazione per permettere la valutazione
dell'efficacia delle nuove norme e, nel caso, per consentire
iniziative conseguenti.
Il comma 3 detta altresì disposizioni per l'entrata in vigore della
riforma in maniera graduale relativamente alla possibilità di
anticipare l'iscrizione alla scuola di infanzia e alla prima classe
della scuola primaria. Al riguardo, la Commissione, come si
riferirà più avanti, ha dovuto emendare il testo in ragione
dell'avvenuto inizio dell'anno scolastico 2002-2003. Del resto, come
è noto, il Governo ha deciso di avviare una sperimentazione che si
avvale degli strumenti offerti dall'articolo 11 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 275 del 1999 e che coinvolge anche il
profilo delle iscrizioni anticipate.
Infine, sono stabilite le disposizioni di carattere finanziario e
sancita l'abrogazione della legge n. 30 del 10 febbraio 2000.
Attorno a questo impianto di riforma, in Commissione istruzione si
è sviluppato un dibattito appassionato e approfondito, grazie anche
al positivo contributo recato dai Gruppi di opposizione, che hanno
preso parte all'esame del provvedimento con vivo interesse e
partecipazione.
Ne è derivato così un arricchimento del testo che,
dall'istruttoria condotta in sede referente, esce migliorato
rispetto alla stesura originaria, a seguito sia di modifiche
formali, che lo rendono più coerente e lineare, sia di alcune
specificazioni di merito che, senza deviare dagli intenti finali del
disegno di riforma, adeguano tuttavia il provvedimento ad esigenze
poste tanto dal relatore e da esponenti di maggioranza, quanto da
rappresentanti dell'opposizione.
In particolare, all'articolo 1, in conformità ad una proposta,
condivisa dal relatore, del senatore Cortiana, è stato ampliato il
termine concesso alle Commissioni parlamentari per esprimersi sugli
schemi di decreti legislativi, portandolo da 30 a 60 giorni, in
conformità all'ordinaria prescrizione di cui alla legge n. 400 del
1998.
Ancora del senatore Cortiana è stata poi accolta la proposta volta
a introdurre il rispetto del principio di pluralismo delle soluzioni
informatiche offerte dall'informazione tecnologica, laddove si
stabilisce che il piano programmatico di cui al comma 3 deve
assicurare il sostegno dello sviluppo delle tecnologie multimediali
e della alfabetizzazione nelle tecnologie informatiche.
A tale specifico riguardo è stata infatti elaborata una
formulazione che, senza imporre per legge alcuna scelta che
correttamente deve restare affidata al mercato, stimola tuttavia le
conoscenze e l'approfondimento delle diverse opzioni disponibili. Le
finalità che il predetto piano programmatico dovrà sostenere sono
state poi ulteriormente arricchite prevedendo, su richiesta del
senatore Barelli, lo sviluppo dell'attività motoria e delle
competenze ludico-sportive; mentre, conformemente a proposta
emendativa del senatore Brignone, si è limitato il ruolo dello
Stato al concorso al rimborso (e non al rimborso tout court) delle
spese di autoaggiornamento sostenute dai docenti.
La più significativa modifica apportata all'articolo 2 concerne
invece una vexata quaestio: l'anticipo delle iscrizioni alla scuola
dell'infanzia. Recependo una serie di sollecitazioni provenienti
dalla maggioranza e dall'opposizione, la Commissione ha ritenuto che
l'anticipo debba avvenire in maniera graduale e in forma di
sperimentazione, anche al fine di verificarne l'impatto sul sistema
educativo.
Meno cogente è stata poi resa la formulazione che prevedeva che
dall'esame di Stato conclusivo del primo ciclo dovesse
necessariamente emergere anche un'indicazione orientativa non
vincolante per il prosieguo degli studi. Al riguardo, su iniziativa
della senatrice Bianconi, si è preferito scrivere che la scuola
secondaria di primo grado aiuta a orientarsi per la successiva
scelta di istruzione e formazione.
Ancora all'articolo 2, ma relativamente all'ordinamento del secondo
ciclo, la principale innovazione attiene all'eventuale accesso
all'istruzione e formazione tecnica superiore per coloro che abbiano
frequentato i licei. Per uniformità con gli studenti che hanno
scelto il percorso dell'istruzione e formazione professionale, ai
quali è sufficiente frequentare quattro anni di scuola secondaria
per essere ammessi all'istruzione e formazione tecnica superiore,
alla stessa potranno accedere anche gli allievi dei licei che siano
stati ammessi al quinto anno.
In merito invece al quinto anno facoltativo del canale
dell'istruzione e formazione professionale, esso potrà essere
realizzato d'intesa non solamente con le università, bensì anche
con le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e
coreutica. Infine, viene puntualizzato che i piani di studio di cui
alla lettera l) dell'articolo in questione saranno personalizzati.
L'articolo 3 registra l'accoglimento di alcuni emendamenti
dell'opposizione, a prima firma del senatore Berlinguer, volti a
ripristinare il tradizionale termine di «studenti» in luogo della
dizione «allievi» inizialmente preferita dal disegno di legge
governativo. La Commissione ha peraltro ritenuto di dover precisare
che il miglioramento dei processi di apprendimento, della relativa
valutazione e la continuità didattica sono assicurati anche
mediante la congrua permanenza dei docenti nella sede di
titolarità.
Quanto all'alternanza scuola-lavoro, disciplinata all'articolo 4, il
testo è stato modificato, nel senso di prevedere che l'attuazione e
la valutazione di tale modalità avverrà in collaborazione, oltre
che con le imprese, con le rispettive associazioni di rappresentanza
e con le camere di commercio, le quali ora figurano anche alla
lettera a) fra i soggetti abilitati a stipulare convenzioni con le
istituzioni scolastiche. Su proposta del senatore Brignone, è stato
poi inserito un secondo comma, diretto a riconoscere una specifica
funzione-obiettivo al docente incaricato dei rapporti con le imprese
e del monitoraggio degli studenti che si avvalgono dell'alternanza
scuola-lavoro.
È stato inoltre licenziato un testo dell'articolo 5, attinente alla
formazione degli insegnanti, con alcune varianti rispetto alla
stesura originaria. In particolare, occorre segnalare che i corsi di
formazione per i docenti non dovranno più essere tutti di pari
durata e che gli accessi agli stessi saranno programmati sulla base
dei posti disponibili nelle istituzioni scolastiche, sopprimendo
cioè il riferimento ai ruoli organici e così includendo nella
previsione anche le scuole paritarie.
In secondo luogo, le università, nel definire l'istituzione e
l'organizzazione delle apposite strutture per la formazione degli
insegnanti, dovranno ora sentire le direzioni scolastiche regionali
interessate; alle strutture, che peraltro potranno avere anche una
dimensione interateneo, vengono attribuiti la promozione e il
governo dei centri di eccellenza per la formazione permanente degli
insegnanti. Inoltre, assume natura concorrente il ruolo delle
università nella formazione in servizio, che vedrà quindi la
partecipazione diretta delle istituzioni scolastiche.
Ai decreti legislativi di cui all'articolo 1 è stata poi affidata
anche la normazione in materia di formazione iniziale svolta negli
istituti di alta formazione e specializzazione artistica, musicale e
coreutica, sotto il profilo degli insegnamenti cui danno accesso i
relativi diplomi accademici.
Infine, è stata introdotta una disciplina transitoria in favore di
coloro che siano in possesso del diploma biennale di
specializzazione per le attività di sostegno, in modo da consentire
loro un percorso abbreviato presso le scuole di specializzazione
all'insegnamento secondario; tale possibilità riguarda anche i
possessori del diploma di Istituto superiore di educazione fisica,
di Accademia di belle arti, di Istituto superiore per le industrie
artistiche, di Conservatorio di musica o di Istituto musicale
pareggiato.
Agli studenti specializzati per le attività di sostegno si offre
inoltre la possibilità di essere iscritti in soprannumero e di
svolgere un percorso abbreviato anche nell'ambito dei corsi di
laurea in scienza della formazione primaria, il cui esame di laurea
finale avrà peraltro valore abilitante all'insegnamento e
consentirà l'inserimento nelle graduatorie permanenti.
Relativamente all'articolo 6 e quindi alle competenze delle Regioni
a statuto speciale, il testo proposto dalla Commissione si
differenzia dal disegno di legge predisposto dal Governo nel rendere
facoltativa, a partire dall'anno scolastico 2003-2004, la prova
scritta di lingua francese nell'ambito dell'esame di Stato
conclusivo del ciclo secondario nella regione Valle d'Aosta.
Da ultimo, è stato adeguato l'articolo 7 nel senso di determinare
nell'anno scolastico 2003-2004 l'inizio del nuovo sistema, che
consente di iscrivere alla scuola dell'infanzia e alla prima classe
della scuola primaria i bambini che abbiano compiuto l'età
richiesta entro il 28 febbraio 2003.
Sono state inoltre recepite le condizioni poste dalla Commissione
bilancio, vincolando espressamente la possibilità delle iscrizioni
anticipate sopra richiamate e le ulteriori future anticipazioni fino
alla data del 30 aprile alle risorse finanziarie effettivamente
disponibili e al rispetto dei limiti di spesa fissati al comma 5 del
medesimo articolo. È stato infine aggiunto un ultimo comma volto ad
abrogare la legge 20 gennaio 1999, n. 9, recante norme per
l'elevamento dell'obbligo di istruzione.
La Commissione ha inoltre approvato alcuni ordini del giorno, che
ora vengono conseguentemente trasmessi all'Assemblea. Il Governo,
che li ha accolti tutti, risulta pertanto impegnato in primo luogo a
predisporre il piano programmatico di interventi finanziari di cui
all'articolo 1, comma 3, in tempi che consentano la dislocazione
delle risorse occorrenti già nella legge finanziaria per il 2003;
l'ordine del giorno in questione indica peraltro puntualmente
l'entità dello stanziamento che si reputa necessario e le
finalizzazioni a cui dovrà essere destinato il suddetto piano.
(...)
Gli altri ordini del giorno votati dalla Commissione impegnano poi
il Governo a valutare, entro tre anni dall'entrata in vigore della
riforma, gli effetti della valutazione biennale degli studenti,
eventualmente ripristinando la valutazione annuale; a non attivare
una apposita laurea specialistica finalizzata esclusivamente alla
formazione degli insegnanti; a procedere gradualmente al
raggiungimento dell'obiettivo della pari durata per la formazione
iniziale dei docenti della scuola dell'infanzia; a prevedere che i
corsi di laurea specialistica finalizzati anche alla formazione
degli insegnanti siano programmati e realizzati attraverso
convenzione tra atenei e istituti scolastici autonomi.
Conclusivamente il disegno di legge n. 1306 appare idoneo a porre
mano ad una riforma indispensabile per rendere il nostro sistema
scolastico attuale valido e competitivo, senza per questo mettere in
secondo piano la nostra tradizione culturale, storica e sociale. A
tal fine, opportunamente esso considera l'individuo quale soggetto
attivo del complesso processo di strutturazione della personalità,
prevedendo uno sviluppo graduale e sequenziale delle capacità di
apprendimento, ed afferma inequivocabilmente il diritto di tutti
allo studio, anche attraverso l'innovativa attribuzione della piena
dignità alla formazione professionale, evitando la ghettizzazione
di coloro che scelgono un percorso anticipatamente pragmatico
rispetto a quello squisitamente intellettuale.
Sulla base delle considerazioni ora svolte, auspico pertanto che
l'Assemblea proceda all'approvazione del disegno di legge delega
presentato dal Governo, con le modifiche e integrazioni apportate
dalla Commissione.
SOLIANI, relatrice di minoranza.
Signor Presidente, signora Ministro, signori Sottosegretari,
colleghi, nell'istruzione è il tesoro del Paese: il suo futuro, la
sua memoria, la sua coscienza. Per questa ragione il sistema
nazionale di istruzione è uno dei cardini della Nazione. Esso
appartiene a tutti gli italiani e nessun Governo può mettervi mano
come se fosse cosa propria.
La delega che il Governo chiede al Parlamento con il disegno di
legge n. 1306 al nostro esame trova qui il suo primo grande limite
sostanziale e politico. Sull'istruzione vi è bisogno di un grande
patto condiviso. La scuola non dovrebbe diventare, nel sistema
maggioritario, terreno di scontro tra gli schieramenti politici
proprio perché è un bene prezioso per tutti.
Il Governo non la pensa così: ha scelto di non valorizzare il ruolo
del Parlamento nel quale è rappresentato il Paese, indebolendo la
sua stessa proposta. Dobbiamo dirlo: questo disegno di legge è
inconsistente di fronte al futuro, è molto distante dal bisogno di
istruzione e di crescita culturale che oggi l'intera società
italiana esprime. La qualità delle persone e l'investimento
nell'educazione, nella formazione, nella ricerca sono oggi il motore
del cambiamento e della crescita dei Paesi. L'Italia ha un livello
basso di scolarizzazione e un numero troppo limitato di laureati. La
nostra priorità deve essere, dunque, l'istruzione. Non è così per
il Governo, altre sono le priorità del Presidente del Consiglio.
Perché la finanziaria presentata in questi giorni, anziché operare
tagli così pesanti non ha investito direttamente nella riforma
della scuola? Il Governo di centro-destra rinuncia ad investire,
razionalizza l'esistente, indebolisce il sistema pubblico di
istruzione, ne fa terreno per operare risparmi, lo trasforma in
servizio a domanda individuale. Così chi più ha meglio sceglie,
più sa e più conta. Le differenze sociali aumentano: non è questa
l'Italia che vogliamo. Il Governo prende atto delle differenze
sociali e disegna un sistema che semplicemente le registra. È
contro la storia: sempre la scuola ha prodotto cambiamento, maggiore
equità, maggiore mobilità sociale.
Noi vogliamo rafforzare il sistema nazionale di istruzione che «ha
contribuito più di ogni altra istituzione a costruire una patria
unita», come ha detto il presidente Ciampi nel corso della
cerimonia di inaugurazione dell'anno scolastico. Questo è il
compito che l'Ulivo indica a se stesso, al Paese, al Governo.
L'indeterminatezza delle risorse, già anticipata dalla forte
riduzione operata con la legge finanziaria 2002 e ora aggravata
dalla riduzione stimata per il 2003 in 490 milioni di euro, si
accompagna all'incertezza del quadro istituzionale e costituzionale
in rapporto al Titolo V della Costituzione e al progetto di
devoluzione, anch'esso in discussione al Senato. La delega al
Governo in materia di istruzione appare anche a questo riguardo
carica di incognite e di rischi e perciò inaccettabile. Dubbi di
incostituzionalità permangono circa la determinazione dei princìpi
fondamentali nelle materie di competenza delle Camere.
L'origine dell'intero progetto, nato per cancellare la riforma
approvata dal Parlamento nella precedente legislatura, mentre ne
vizia tutto l'impianto, in realtà apre la strada a un processo di
destrutturazione dell'intero sistema, a una mutazione profonda della
sua natura, della sua cultura, del suo ruolo.
Noi non riusciamo a collocare questo disegno di legge nel solco
storico degli interventi legislativi che dalla seconda metà
dell'Ottocento ad oggi hanno trasformato il sistema scolastico
italiano. Basti pensare all'obbligo scolastico, la cui elevazione ha
fatto la storia dell'istruzione in Italia. Questo disegno di legge
provvede ad abrogarlo.
La trasformazione della società deve indurci a interventi di
cambiamento e di modernizzazione anche per il sistema di istruzione
e formazione, ma essi sono tanto più efficaci quanto più restano
confermati i diritti fondamentali di libertà e uguaglianza di tutti
i cittadini. Ciò vale oggi anche per l'obbligo di istruzione. Sta
tutta qui la differenza politica e ideale tra il nostro profilo
riformista, che accetta la complessità e la governa, e la tendenza
ad un tempo semplificatrice e restauratrice del Governo.
Inadeguato sul piano istituzionale, strategico e culturale, il
disegno di legge risulta piuttosto lo strumento per introdurre nella
scuola italiana quella cultura individualistica, privatistica,
aziendalistica propria del centro-destra che sul terreno
dell'educazione e dell'istruzione manifesta il suo vero volto. Siamo
di fronte ad un cambio di paradigma: al criterio pedagogico ed
educativo si sostituisce quello economico e funzionalista. Il
confine tra la cultura costituzionale della scuola italiana e quella
mercantile è netto: questo confine il Governo lo sta abbattendo.
Noi abbiamo un'altra idea della scuola perché abbiamo un'altra idea
della società, del mercato, dello Stato sociale.
Del tutto insufficienti, pertanto, appaiono i princìpi e i criteri
direttivi contenuti all'articolo 2 ai quali dovrebbero ispirarsi,
secondo il Governo, la scuola italiana e i decreti attuativi della
delega. Non vi è riferimento alla dimensione globale e planetaria
nella quale crescono oggi le nuove generazioni, quando invece la
scuola stessa è sollecitata a farsi luogo di incontro e di dialogo
multiculturale e interreligioso.
Debole è la proposta in materia di valutazione (articolo 3): tanto
incapace di delineare i compiti di un Servizio nazionale di
valutazione del sistema e dei suoi risultati, all'altezza della
comparazione internazionale, quanto pignola nel ripristinare il voto
in condotta per gli studenti.
Debole è l'esame di Stato delineato nel medesimo articolo: poco
più di uno scrutinio finale. Leggerezza, improvvisazione,
approssimazione. Davanti a noi il Governo indica il passato: il
ritorno al maestro unico e all'avviamento precoce al lavoro. Questa,
in sintesi, la cifra che definisce il profilo di questo
provvedimento.
Accanto all'iniziativa governativa, il Senato ha registrato in
Commissione la presenza della proposta di legge n. 1251, presentata
dal senatore Fiorello Cortiana e da altri senatori, un esempio della
visione dell'Ulivo nell'iter che la discussione ha avuto in
Commissione. Un iter condotto dal presidente della Commissione,
senatore Asciutti, al quale diamo atto dell'attenzione al ruolo del
Parlamento, e che si è compiuto anche grazie all'atteggiamento
rigoroso e costruttivo dei Gruppi di opposizione.
Onorevoli senatori, noi valutiamo negativamente la proposta del
Governo perché vogliamo dare un'altra prospettiva al sistema di
istruzione del nostro Paese, quella dell'Europa dalla quale questo
disegno di legge decisamente si allontana.
Vi è bisogno di rafforzare il sistema nazionale di istruzione e tra
i punti da rafforzare indichiamo prima di tutto l'autonomia, che è
il nuovo paradigma culturale del sistema di istruzione, con la quale
si è aperta una vera e propria fase costituente.
La sperimentazione annunciata dal Ministro si è inserita nell'iter
del presente provvedimento, con il chiaro intento di accelerare
l'intervento del Governo alla vigilia del nuovo anno scolastico, in
assenza dell'approvazione della legge delega: un tentativo di
aggiramento dell'iter parlamentare, un'invadenza nell'autonomia
delle istituzioni scolastiche. Peraltro, è una sperimentazione
modesta, come è sotto gli occhi di tutti, nata nella precarietà,
scarsamente rappresentativa della realtà scolastica italiana.
Sul fondamento dell'autonomia, che l'Ulivo vuole consolidare e
rafforzare, cinque sono le nostre priorità che vediamo colpite e
disattese nell'intervento del Governo: primo, la scuola
dell'infanzia e la sua generalizzazione, il profilo educativo ed
organizzativo della scuola elementare nel ciclo lungo con la scuola
media; secondo, l'innalzamento dell'obbligo di istruzione e
l'integrazione del curricolo tra i quattordici e i sedici anni;
terzo, la formazione continua, anche in rapporto all'occupazione;
quarto, l'investimento sul personale docente; quinto, uno
straordinario investimento di risorse.
Quanto al primo punto, la scuola dell'infanzia italiana, statale,
comunale e paritaria ha conosciuto una linea coerente e continua che
l'ha portata a prestigiosi riconoscimenti internazionali. Il disegno
di legge in esame tocca questo originale equilibrio storico,
istituzionale ed educativo e lo modifica in un senso gravemente
negativo.
L'idea dell'anticipo è gravemente svalutativa nei confronti della
scuola dell'infanzia, che potrebbe venire reimmessa in una visione
assistenzialistico-sociale dalla quale si è faticosamente
affrancata e che potrebbe, a sua volta, costituire la premessa per
una definitiva uscita dal sistema dell'istruzione per entrare, con
un mutamento di rotta dagli imprevedibili confini, nell'ambito dei
servizi alla persona nel quadro delle competenze degli enti locali.
Di fronte a questa proposta le famiglie sono lasciate sole,
nell'incertezza, certe soltanto di una cosa: restano le liste di
attesa, che non consentono a tutti i bambini italiani la
possibilità di accedere alla scuola dell'infanzia.
Noi sappiamo, come ci esorta a pensare la senatrice Rita Levi
Montalcini, che l'investimento sull'intelligenza dei bambini nei
primi anni di vita è la base per affrontare la nuova sfida
intellettuale dell'Europa. Questa allora è la nostra proposta:
estendere in tutto il territorio nazionale la scuola dell'infanzia
come strumento per l'eguaglianza delle opportunità.
Allo stravolgimento della scuola dell'infanzia si accompagna lo
stravolgimento della scuola elementare, ben evidente nella
sperimentazione avviata: la cancellazione, insieme ai moduli, di
trent'anni almeno di innovazione. Si reintroduce, dopo decenni,
l'insegnante unico, sorta di tuttologo che esautora i colleghi delle
responsabilità educative e dei rapporti con le famiglie. Il team di
cui si parla è l'opposto di quello sperimentato nella scuola
elementare perché manca di pariteticità, di collegialità, di
corresponsabilità.
Quanto al secondo punto, l'ipotesi di riforma anticipa di molto
anche il momento delle scelte che i ragazzi dovranno fare circa il
proseguimento degli studi. L'OCSE raccomanda l'orientamento
«progressivo», il Governo ripropone l'orientamento precoce!
L'invio precoce alla formazione professionale non è una risposta di
fronte al futuro dei giovani ma la rassegnazione del Governo allo
stato delle cose. Non è neppure un riconoscimento della formazione
professionale nella sua dignità di percorso formativo.
Anche i Paesi che vent'anni fa hanno affrontato il problema con
l'istituzione del doppio canale formativo, che questo disegno di
legge vuole introdurre in Italia, stanno riflettendo sul fallimento
di soluzioni che troppo precocemente indirizzano i giovani
esclusivamente verso la formazione, precludendo loro non solo
l'acquisizione di un livello di competenze adeguato all'evoluzione
della scienza e della tecnologia, ma anche la formazione di una
«testa ben fatta», di capacità relazionali, di una coscienza
critica che le stesse imprese riconoscono più necessarie della sola
specializzazione professionale.
La riforma dell'Ulivo aveva trovato una soluzione con i curricoli
obbligatori e integrati nel biennio dopo la scuola di base. Di tutto
si può discutere in materia di cicli. E forse, a mio parere, se ne
è discusso anche troppo. Ciò che non è possibile accettare è la
soluzione scelta dal disegno di legge che ha alla base una visione
arretrata dei processi formativi.
Circa il terzo punto, del tutto assente dal provvedimento è il tema
della formazione continua per la quale noi proponiamo invece un
grande piano di investimento che sia parte dell'impegno del Paese
per l'occupazione, per il Mezzogiorno, per la ripresa dello
sviluppo.
Quanto al quarto punto, anche il personale della scuola, della cui
formazione si parla all'articolo 5 del disegno di legge, fattore
decisivo nella strategia di un Paese sull'istruzione, è
pesantemente colpito dall'intervento del Governo. Una buona scuola
la fanno gli insegnanti e i dirigenti.
Ridare un ruolo forte ai docenti deve essere una priorità.
Rimotivarli deve essere la priorità. E invece il Governo riesce a
scoraggiarli definitivamente. Anziché impiegarli e riconvertirli
per più estesi e continui obiettivi di istruzione e formazione nel
nostro Paese, il Governo riduce pesantemente i posti, operando tagli
ovunque, compreso il personale di sostegno per l'integrazione
scolastica dei portatori di handicap. Il disegno di legge riporta i
docenti e i dirigenti scolastici indietro di dieci anni.
Formazione universitaria, aggiornamento e periodi sabbatici,
organico funzionale, contratto: sono per noi gli obiettivi
essenziali che l'azione del Governo dovrebbe darsi. Il
riconoscimento del ruolo degli insegnanti porta con sé il
riconoscimento del ruolo degli studenti e del ruolo delle famiglie,
componenti fondamentali della scuola sostanzialmente ignorati dal
Governo.
Dunque, autonomia, ruolo dei docenti, generalizzazione della scuola
dell'infanzia, elevamento dell'obbligo di istruzione in una visione
integrata con la formazione professionale, formazione continua degli
adulti sono per noi i temi essenziali di una strategia di
investimento sull'istruzione che questo disegno di legge lascia del
tutto ai margini.
Vengo ora al quinto punto. La prova decisiva delle vere intenzioni
del Governo sono le risorse che non vediamo. Senza di esse qualsiasi
disegno di riforma si affloscia. Resterà sulla carta. È quanto si
evince all'articolo 7 di questo disegno di legge. Il meccanismo
generale di copertura del provvedimento, con riferimento alle norme
di delega, è integralmente imperniato sul rinvio agli strumenti
finanziari della sessione di bilancio. Oggi sappiamo che la
finanziaria per il 2003 non prevede risorse per questa riforma, anzi
opera tagli pesantissimi sulle spese di gestione e su quelle future
di investimento (si vedano le tabelle A, B e C).
Si tratta di un'indubbia forzatura del vincolo costituzionale di
copertura delle leggi di spesa di cui al quarto comma dell'articolo
81 della Costituzione. Secondo l'impostazione avallata dalla
Commissione bilancio, dunque, l'intera riforma dell'istruzione
proposta dal Governo dovrebbe essere valutata come poco più di un
insieme di norme meramente programmatiche, che delineano una sorta
di «provvedimento-manifesto» privo di contenuto giuridico
rilevante.
Noi, invece, proponiamo un piano straordinario di investimento
sull'istruzione che vogliamo vedere nella prossima legge finanziaria
e un aggancio organico al PIL delle risorse per la scuola.
Onorevoli senatori – e mi avvio a concludere –, questo disegno
di legge non va incontro alla scuola italiana, la quale non ha
chiesto né l'anticipo, né la riduzione dell'obbligo, né la
sperimentazione, né il taglio delle classi, né l'aumento degli
alunni per classe. Non lo hanno chiesto le famiglie italiane.
È contrario agli interessi delle nuove generazioni, agli interessi
del Paese. È tutto sotto il segno meno: riduce l'offerta formativa,
toglie l'obbligo di istruzione, taglia istituzioni scolastiche,
personale, risorse, autonomia, mette ai margini i più deboli.
Toglie certezze, peggiora gli standard della scuola pubblica, rende
più insicuro il futuro della scuola. Con la richiesta della delega
si sottrae al dibattito e toglie spazio al Parlamento. Pretende di
cambiare la cultura della scuola. La scuola italiana è più avanti
di questo disegno di legge. Non di rado la scuola è più avanti
delle leggi, più ricca grazie alle sfide che ha affrontato, più
aperta alle differenze, più forte contro le diseguaglianze.
La cultura della scuola italiana è una cultura costituzionale, alla
quale è estraneo l'approccio privatistico e aziendalistico. La
scuola sa che deve essere efficiente, che deve produrre risultati.
Lo sa e lo sa anche fare. La cura del Governo invece la colpisce
duramente, anche e proprio nella sua efficienza.
Mentre questo provvedimento attraversa il Senato, e in attesa del
suo approdo alla Camera dei deputati, la scuola e la società civile
discutono del loro futuro. Noi difendiamo questo futuro, con la
nostra opposizione a questo disegno di legge, un'opposizione sui
contenuti, sulle finalità, sui metodi, senza sconti perché alto e
rigoroso è il profilo della nostra proposta.
È una proposta per l'oggi e per i prossimi anni; una proposta che
intende misurarsi con i grandi obiettivi dell'innovazione piuttosto
che fermarsi alla difesa dell'azione del centro-sinistra negli anni
che sono alle nostre spalle; una proposta che dice al Governo di
fermarsi, di sgombrare il campo, di mettere da parte la delega, il
disegno di legge, una sperimentazione che quasi non c'è.
Si cambi radicalmente l'impostazione politica: si investa
sull'autonomia, si mettano a disposizione risorse, si rispetti la
cultura della scuola italiana e il suo radicamento sociale. La
strada imboccata dal Governo porta il sistema fuori rotta. Sono
pericolose le leggi il cui pensiero è debole. Se si prosegue così
si rende irrilevante il senso dell'esperienza culturale e civile
della scuola italiana. Così non si è in Europa, si porta l'Italia
lontana dalla sua storia e dal futuro europeo che le appartiene.
È necessario darsi un obiettivo comune: non uno di meno!
Scommetta il Paese sulle sue nuove generazioni, scommetta sulla
scuola. Perché il punto non sono le riforme, e neppure – oso dire
– la scuola in sé, ma come potranno continuare a vivere le
generazioni future. È questo che chiedono le famiglie, che chiede
l'Italia: una scuola per tutti. Governare significa affrontare le
cose reali, non ridurre la realtà a finzione, a comunicazione
massmediatica.
L'Ulivo è pronto, non teme il confronto. L'Ulivo pensa che questo
sia il momento per rilanciare nel Paese una grande stagione di
rafforzamento e di innovazione nella scuola. L'Ulivo ha indicato con
questa relazione di minoranza le cinque priorità che riteniamo
indispensabili perché il sistema di istruzione e di formazione non
rimanga ai margini, tagliato fuori dal progresso e dalle nuove
conoscenze. L'Ulivo è con la scuola, è con il Paese, convinto che
un'Italia che sa è un'Italia che vale. Nell'Europa e nel mondo.
Signor Presidente, la ringrazio, mi fermo qui e rimando alla
relazione scritta.
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