Dibattito a Tre
di
Maurizio Tiriticco
Ho sotto gli occhi
la relazione che Bertagna non ha
potuto svolgere al convegno SDI il 14/12 e l’articolo
del Corsera del 16/12. Rapidamente vi rappresento alcuni punti che
ritengo chiave ai fini di un
approfondimento dei vostri scritti.
1.
Apprezzo molto il vostro lavoro, defatigante e coraggioso. Però,
in primo luogo, adoperatevi perché si cancelli quell’orribile termine
di bipartisan che sa tanto di pastetta della peggiore specie,
quando è invece più che giusto che si proceda il più possibile
“insieme” per affrontare la difficile sfida della riforma del sistema
di istruzione.
2.
Va sostenuto un Sistema di Istruzione
Pubblica con apporti diversi, pubblici in senso stretto (Stato,
Regione, Comune et al.) e in senso lato (paritari, enti, privati in
genere); va superato il concetto di scuola di Stato e,
conseguentemente va superata la sterile contrapposizione “scuola di
Stato – scuola privata” che aveva un senso ai tempi dell’ADESPI, ma
che oggi è solo di retroguardia e ci fa perdere di vista gli obiettivi
reali. E va, peraltro, difesa e applicata
la Legge 62/2000.
3.
Le vie da percorrere sono già tracciate da due importanti
innovazioni istituzionali e costituzionali, il processo autonomistico
(che, tra l’altro, non investe solo della scuola) e la Legge
Cos. 3/2001.
3.1
Il DPR 275/99 (che regolamenta la
Legge 59/97) afferma che: a) il sistema di istruzione si deve far
carico di educazione, istruzione, formazione (tre concetti
molto forti, che hanno precisi significati e che indicano ben
precisi impegni); b) il sistema di istruzione deve garantire a
ciascun cittadino/alunno il successo formativo (art. 1, c.
2); c) vanno definiti obiettivi nazionali (sic!) e percorsi
funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere.
(specificherei, ad un apprendimento efficace!) (art. 4, c 1). Sono
tre indicazioni di intenti che da sole
sconvolgono tutto l’impianto del sistema scolastico che è ancora
vigente!
3.2
Il Titolo V Cos. affida allo Stato la
potestà legislativa esclusiva per quanto riguarda le “norme generali
dell’istruzione” e la “determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale”. Quest’ultimo comma
richiama l’articolo Cos. n. 2 che recita:
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si
svolge la sua personalità, (e la scuola è una formazione
sociale, n.d.a.), e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili
di solidarietà politica, economica e sociale”.
3.3
Tocca pertanto allo Stato definire i curricoli – come recita
l’epigrafe dell’art. 8 del DPR 275/99 – in cui vanno indicati gli
obiettivi generali del processo formativo, le discipline, gli
standard relativi alla qualità del
servizio e tutto ciò che dal medesimo articolo è indicato.
4.
Non occorre, quindi, scrivere Programmi – e
lo dite anche voi – ma la norma non dice
neanche che bisogna scrivere Indicazioni, che poi devono essere
stemperate e mitigate da Raccomandazioni. Occorre allora che
centralmente si “scriva” solo quello che
detta l’articolo 8 e lasciare che siano le scuole (magari ai livelli
di reti e consorzi, interagendo con le istanze del territorio, come si
evince dal D. Lgs 112/98. Mi limito a ricordare che è delegata
alla Regioni – tra altre – la seguente
funzione amministrativa: la programmazione dell'offerta formativa
integrata tra istruzione e formazione professionale) a declinare gli
obiettivi generali e gli standard di qualità in ordine
alle situazioni in cui operano e alle vocazioni socioculturali del
territorio, ma coordinate con quelle dell’Unione europea (in un mondo
che si globalizza occorre evitare ogni ghettizzazione e
marginalizzazione!). Obiettivi e standard vanno “manu-tenuti”,
monitorati, corretti, aggiornati anno dopo
anno da un comitato ad hoc, stante lo sviluppo sempre più
veloce delle conoscenze, dei saperi, delle tecnologie, dei profili
professionali.
5.
La questione dell’obbligo
5.1
Obbligo di istruzione (l’espressione
obbligo scolastico non è corretta: è la Cos.
art. 34,che parla di istruzione inferiore obbligatoria e
gratuita!) – Le leggi 9/99 e 30/2000, a tutt’oggi non abrogate
(qualsiasi “sospensione” di sorta non ha validità giuridica!),
prescrivono un obbligo di istruzione di 10 anni, che, tuttavia, in
sede di prima applicazione ha la durata
di 9 anni e si deve adempiere nella scuola secondaria di Stato. A
mio vedere, va recuperato ed attuato l’obbligo decennale. Semmai, si
potrebbe prevedere che dopo la licenza media (dopo il 14° anno
di età) gli alunni possano adempiere gli
ultimi due anni anche nell’istituendo sistema di istruzione e
formazione professionale purché gli obiettivi terminali
essenziali dell’obbligo medesimo e la qualità del servizio siano
indicati centralmente. Ma è una norma che va ben ponderata e
scritta… Si pensi alla sentenza del TAR
Lombardia a proposito del protocollo MIUR-Regione!
5.2
Obbligo formativo – l’impostazione normativa è corretta, va
attuata ed incrementata.
5.3
Il diritto-dovere dodecennale di cui al ddl
1306 non mi convince ed apre le porte ad ogni possibile
scelta di percorso (in quali scuole, con quali curricoli, con quali
obiettivi?) che favorirebbe un impoverimento di una formazione
iniziale essenziale, non “minima”, forte ed unitaria valida per
tutto il territorio nazionale.
5.4
Mi sembra che la stesura del Profilo educativo, culturale e
professionale dello studente alla fine del primo ciclo
di istruzione (6-14 anni) che compare nei
documenti propositivi del ministro Moratti in effetti nasconda
questo disegno: con la scuola media si conclude un primo ciclo
obbligatorio (per altro dissolto nel dodecennio!) e, per quanto
riguarda il percorso successivo, si aprono tutte le possibili porte,
anche nella FP regionale o chissà dove… senza alcun controllo
centrale di sorta.
6.
La questione del nesso tra istruzione che possiamo chiamare “gratuita”
e istruzione “finalizzata”. Quando tutti
hanno gridato al lupo al lupo alla prima uscita della proposta
Moratti, io non mi sono affatto scandalizzato. Tutti accusavano la
Moratti di voler instaurare un sistema duale, una scuola per i ricchi
ed una per i poveri! Ma non si erano mai accorti che nel nostro Paese
un sistema duale sui generis è
sempre esistito?! E che la stessa Legge 30
lo lasciava tale e quale? Ma… se in quella
proposta, per la prima volta, anche se in modo assolutamente rozzo e
impasticciato si voleva proporre il problema di un rapporto corretto
tra i due sistemi, allora… parliamone!
6.1
Bertagna e Maragliano affermano – e sono d’accordo!
– che vanno superate, e definitivamente, alcune
barriere, ereditate da una visione della cultura e dell’educazione
funzionale ad una scuola “divisa” (liceo e addestramento
professionale), funzionale ad un lavoro a sua volta “diviso”
(intellettuale e manuale) e funzionale una società a sua volta
“divisa” (i “ricchi” e i “poveri”, per dirla con larga
approssimazione!). Le barriere sono:
-
la divisione tra percorsi curricolari e non curricolari;
in effetti ogni percorso, se è formativo,
è un curricolo;
-
la divisione rigida e arbitraria tra le discipline in funzione di
una visione modulare dei processi di
insegnamento/apprendimento;
-
la divisione tra materie generali, di base, culturali e materie
di indirizzo, professionali, in funzione
di una unitarietà dei saperi;
-
la divisione tra professioni “alte” e “mestieri” di basso profilo;
in effetti è in atto una rilettura
completa dei profili professionali che tutti richiedono conoscenze,
competenze e capacità di elevato profilo.
-
se si vuole, la divisione tra
educazione e istruzione, tra atteggiamenti e comportamenti, tra
condotta e profitto e relativi voti.
6.2
Afferma Bertagna “La
«formazione professionale», finora, è stata
considerata dal punto di vista del lavoro e non della persona. Con
la «formazione professionale» si impara
un mestiere, ci si adatta alle dinamiche economiche del mercato, ma
non si cresce in cultura e non ci si educa come persone. Questa
concezione, tuttavia, non è più presentabile, oggi”.
Ed è così. La Legge quadro in materia di
formazione professionale n. 845, che è del 1978, afferma chiaramente
che la FP è “strumento della politica attiva del lavoro, si svolge
nel quadro degli obiettivi della
programmazione economica e tende a favorire l'occupazione, la
produzione e l'evoluzione dell'organizzazione del lavoro in armonia
con il progresso scientifico e tecnologico”. E’ la legge che 24 anni
fa sanciva la separazione tra due concezioni della formazione: da
una lato quella finalizzata al
proseguimento degli studi e alle professioni che una volta si
chiamavano liberali; dall’altro quella finalizzata ai riequilibri
del mercato e dell’occupazione!
6.3
Ma molti di noi, consapevoli che il diaframma tra i due settori
formativi, quello “nobile” e quello “meccanico”, sotto i profili
culturale, civile, educativo – e con i cambiamenti che già 20 anni
fa si avvertivano nel sociale – si sono sempre adoperati per
nobilitare il secondo. Il Progetto 92 (Istr.
Prof.), l’area di Progetto (Istr. Tecn.), il Progetto 2002 hanno
profondamente rinnovato da oltre un decennio l’istruzione
professionale e tecnica arricchendole di contenuti forti, proprio al
fine di superare la separatezza delle “due culture”.
Ma anche nella Formazione professionale
si sono fatti grossi balzi in avanti (ho esperienza diretta
dell’ENAIP!). E’ tutto un patrimonio che va assolutamente
valorizzato, in quanto orienta per gli
stessi processi di innovazione!
7.
Veniamo al dunque delle prospettive che si aprono dopo il varo del
Titolo V!
7.1
Non sono assolutamente d’accordo con Bertagna quando scrive: “In
tempi più o meno rapidi dovrà essere regionale, accanto
all’attuale formazione professionale (che interessa il 5,5% degli
studenti oltre i 15 anni), anche l’attuale istruzione professionale
statale (che coinvolge il 20% degli studenti a partire dai 14 anni)
e quella parte di istruzione tecnica
statale (39% sul totale degli studenti dai 14 ai 19anni) che
rilascia diplomi ad alta terminalità professionale (circa il 50%
degli istituti tecnici esistenti)”. La norma Cos.
è una cosa, la sua applicazione un’altra!
L’art. 117 dice: “Sono materie di legislazione concorrente quelle
relative a:… istruzione, fatta salva l’autonomia delle istituzioni
scolastiche e con esclusione della
istruzione e della formazione professionale…”. La norma detta una
linea di principio e non dice che gli istituti professionali e
una parte di quelli tecnici debbono
passare sic et
simpliciter alle Regioni!!! Saranno le leggi e i
regolamenti applicativi – e i dibattiti che le accompagneranno – ad
indicare le scelte operative!
7.2
E’ noto che molti istituti secondari superiori in questi ultimi
anni sono diventati “istituti comprensivi
orizzontali” e che nel liceo x c’è una sezione professionale, come
nell’istituto professionale y c’è una sezione classica! E quanti IP
e IT si stanno consorziando, per giungere forti ad
una eventuale
redde rationem! In
forza dell’autonomia, le offerte educative si stanno moltiplicando e
vanno oltre gli ordini a cui siamo
abituati! Ed ancora! Situazioni di stage,
di tirocinio, di alternanza con regioni,
imprese et al. danno vita a percorsi per certi versi assolutamente
nuovi, proprio in forza di quella pluralità di offerte che un
Sistema Pubblico di Istruzione consente, autorizza e sollecita! Si
aprirà, così una stagione di corrispondenze in cui caso per caso
Stato, Regioni, Istituti autonomi, Enti di formazione professionale
nel quadro di una norma di cornice
stabiliranno come, dove e perché attivare certi percorsi e non
altri!
7.3
Insomma, occorre dar vita ad una pluralità di percorsi indotti,
appunto, da un sistema pubblico di istruzione
aperto e pluralista, e – non si dimentichi – interculturale
anche, ma che persegua pur sempre obiettivi di profilo elevato,
per tutti! Qui occorre la massima attenzione! Non sono d’accordo
con Bertagna quando fa questa
affermazione: “La scelta tra istruzione (liceale) e
formazione (professionale) perde, quindi, la sua drammaticità
alternativa ed assume piuttosto le vesti di un continuo adeguamento
agli stili personali di apprendimento e ai personali progetti di
vita che ciascuno ha il diritto di veder sostenuti”. E’
una affermazione pericolosa! Gli stili
personali di apprendimento e i
personali progetti di vita in larghissima misura sono indotti
dai condizionamenti sociali. E si
correrebbe il grosso rischio di avallare differenze sociali
come differenze personali e di imputare al soggetto la
responsabilità di libere scelte che libere, invece, non sono
affatto! Del resto ormai la stessa ricerca sociologica
ed educativa riconosce che gli stessi
concetti di capacità e di merito, come indicati
nell’articolo Cos. 34, sono totalmente da rileggere… e da
riscrivere!
Roma, 16 dicembre 2002