ETICA E REGOLE NELLA PUBBLICITÀ
PER IL PLURALISMO DELL'INFORMAZIONE

in occasione del referendum sulla legge Mammì

liberamente tratto da Avvenimenti del 29 marzo 1995

So che metà della pubblicità che faccio è inutile.
Ma non so quale sia
la metà utile.

Henry Ford

Quegli spot sono ingannevoli

  • Credo che la pubblicità politica sia la metafora della pubblicità commerciale. E noi siamo passati da un rapporto programmi/informazione di programmi, a un rapporto sogni/realtà, in cui il fatto di vendere un interesse di parte come interesse generale dell'insieme della società diventa un elemento di realtà, e tutto cià che poi confligge con questa realtà diventa un elemento di ostacolo.
  • I referendum non intervengono sulle reti, ma sulla proprietà delle reti; chiedono che le tre tv della Fininvest siano di tre proprietari diversi e non di un solo proprietario.
  • Un altro spot diceva: "Con i referendum vogliono togliere la pubblicità dai film". Anche questo è falso: il referendum chiede solo che la pubblicità sia inserita all'inizio, nell'intervallo e alla fine del film, come nel resto d'Europa.

Stefano Semenzato
coordinatore del Comitato per il referendum sulla legge Mammì.

Noi registi e i pubblicitari

  • Meno spot, meno film? È una falsificazione totale. Il signor Barilla se ha interesse ad avere pubblicità nello spazio di un film, se non potrà per legge farlo nei momenti della storia, lo farà necessariamente in quei momenti e in quegli spazi che sono legittimi: tra il primo e il secondo tempo, dove ci sarà un affollamento e un costo maggiorato.
  • Il costo dello spazio pubblicitario nei film in Italia è il più basso che esista, non solo in Europa, ma nel mondo intero. E non ci sarà una diminuzione di interesse o di introiti. Qualunque pubblicitario serio sa che è grottesco pensare che se un cliente ritiene utile fare pubblicità su canale 5 o Rete 4, rinuncerebbe al suo intervento pagato.

Citto Maselli
presidente Ass. Autori di Cinema

Antitrust sì, ma con regole semplici

  • Noi siamo un paese che ha un'ottima Costituzione. Il nostro paese però ha atteso per realizzare alcuni punti della Costituzione otto, undici, ventitre, trent'anni. Mi riferisco alla Corte Costituzionale, alle Regioni, alla regolamentazione sindacale, al diritto allo sciopero. Non è un caso che si debba parlare di antitrust, che l'America ha dal 1900 e la germania dal 1948. Ce ne accorgiamo adesso perché c'è un problema dirompente. Bisogna avere il coraggio di ammettere che le regole vengono reclamate quasi esclusivamente quando si è colpiti e quindi non sono proiezioni di un'etica.

Enrico Montangero
vicepresidente dell'AssAP

Non demonizzare, ma regolamentare

  • Otto mesi fa a giugno, un certo Giorgio Mendella aveva pubblicizzato su pagine intere del Corriere della sera e della Repubblica, la vendita di azioni della Compagnia Italiana Sviluppo per comperare una rete Rai o una rete Fininvest che non erano in vendita. L'Istituto di Autodisciplina lo assolse, l'Antitrust lo condannò. Quando è arrivata questa sentenza? Dopo cinque mesi, quando già migliaia di risparmiatori avevano sborsato 500.000 lire e acquistato azioni di questo "Telesogno".
  • La cattiva pubblicità provoca danni enormi. I vari Mendella negli ultimi dieci anni hanno prodotto dissesti finanziari per 5.000 miliardi, hanno ridotto sul lastrico qualcosa come 200.000 risparmiatori.
  • Per avvicinare i cittadini alle regole, dovrebbe esserci presso ogni sede televisiva e radiofonica un ufficio aperto al pubblico, per raccogliere -e nel giro di pochi minuti, attraverso le reti telematiche far arrivare- la protesta del cittadino agli organi competenti, e questi dovrebbero a loro volta rispondere con sollecitudine.

Elio Lannutti
presidente dell'ADUSBEF

Quando il mercato non è sano

  • Il problema vero con cui ci stiamo misurando è che quella che viene definita "l'anomalia italiana", cioè il duopolio televisivo e nei fatti anche quello pubblicitario, non consente la costruzione del mercato sano.
  • Di fatto il duopolio favorisce solo un mercato chiuso, non consente l'entrata di nuovi soggetti, ha già messo in crisi quelli più deboli, offre agli utenti un prodotto a dir poco scadente e determina sofferenza tra lavoratori del settore dell'informazione, con tutte le implicazioni che ciò comporta sul terreno democratico.

Francesca Santoro
responsabile dell'informazione della CGIL

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