Sondaggio.
I giovani e la pubblicità: un rapporto complesso
che adesso viaggia anche su Internet
Generazione Spot
di Francesco Ognibene (Avvenire, 19/02/98)
Intossicati, assuefatti, teleguidati. No, anzi: ipercritici,
implacabili, persino prevenuti. I teen-ager italiani con la pubblicità televisiva
intrattengono un rapporto ambiguo indecifrabile. Mentre sorbiscono dosi massicce di spot
adeguandosi a consumi indotti con una disinvoltura media che lascia allibiti gli adulti,
sanno poi dimostrare verso le campagne pubblicitarie un distacco critico che arriva alla
derisione feroce.
E' quel che emerge dal sondaggio «Smonta lo spot»
tra le scuole superiori italiane che sarà presentato domani al salone dello Studente di
Milano (in Fiera alle15.30.), su iniziativa della rivista telematica Educazione
& Scuola (la ricerca si serve prevalentemente di Internet), della rivista Campus
e del giornale economico ItaliaOggi.
Un maxiesame alla réclame catodica da parte degli
adolescenti, partito a inizio anno e destinato a durare fino a maggio. Un centinaio sinora
gli istituti che si sono fatti vivi all'indirizzo digitale (spot@edscuola.com) e a quello postale (via Paganini,3
- 20131 Milano), o che hanno prelevato al sito www.edscuola.com
la scheda di partecipazione, forse allettati dalla possibilità di mettere alla sbarra
alcuni dei professionisti più noti dell'advertising nostrano, come Marco Testa, Emanuele
Pirella, Maurizio D'Adda e Gavino Sanna, che rispondono via Internet ribattendo i colpi
ma, talvolta, anche accusandoli, perché le critiche arrivano da gente che se ne intende.
Tra spot, tivù e linguaggi giovanili non c'è infatti più
linea di confine: lo slogan diventa slang nel giro di pochi passaggi sul teleschermo. Gli
stessi consumi seguono il flusso degli spot. Ma attenzione a pensare a una lobotomia via
etere. I giovani sanno smontare gli spot da smaliziati conoscitori di un mondo nel quale
sono nati e cresciuti. Sulla bacheca elettronica del progetto i messaggi dei ragazzi
recano critiche circostanziate, tecniche, persino moraleggianti. E rivelano che i trucchi
del prestigiatore televisivo sono ormai arcinoti.
Un ragazzo lamenta che «la Pubblicità progresso contro le
stragi del sabato sera non parla il linguaggio dei giovani». E Maurizio D'Adda
ammette che «in Italia la pubblicità sociale è poca e spesso abbastanza inutile. Questo
avviene perché chi la fa è un volontario, lavora gratis e un po' a tempo perso».
E cosa diciamo della campagna che per promuovere la
sicurezza di un'auto ci fa salire Claudia Schiffer lasciandola schiantare contro un muro?
Allo studente che scrive inorridito, un esperto in giurisprudenza pubblicitaria replica -
senza convincere - che no, è solo una finzione e dunque le denunce già piovute al Giuri
di autodisciplina sono state archiviate.
E contro le proteste per l'uso massiccio di testimonial
(«Il prodotto non basta per farsi notare?»), Pirella ribatte che è
sempre stato così, e poi ormai gli attori, benché famosi, costano poco.
Ma i ragazzi incalzano: trovano ridicola l'evocazione della
battaglia degli indios messicani per vendere scarpe che "libererebbero" chi le
porta, trovano stupido l'uso del corpo (femminile o maschile) al di fuori di ogni contesto
narrativo e solo per "vendere", sono durissimi contro la «strumentalizzazione
della donna», si scagliano contro l'ambiguità delle metafore sessuali associate ai
prodotti più disparati, se la ridono del bucato che più bianco non si può; protestano
per la violenza troppo esplicita. Sembrano più grandi degli adulti.
Il sondaggio in realtà ha anche una parte propositiva,
chiamando i ragazzi a creare «lo spot che non c'è» con tanto di concorso che premierà
i lavori più "professionali". Ma i giovani che si esprimono per «snafuz»: «o
così o pomi» e «bella alcachofa» lanciano un messaggio molto chiaro: «Ci dicono che
si fanno acchiappare dalla nostra seduzione solo se gli va e non perché non è possibile
resistere», spiega Gavino Sanna che si dice «sempre più sorpreso da
questa generazione»: «Più li guardo in branco più penso che siano vuoti, manipolabili.
E invece quando accendono la loro capacità critica diventano categorici: nei loro
messaggi vedo un livello sbalorditivo di consapevolezza sulla comunicazione. Nessuno può
menarli per il naso sui codici mediatici, hanno la forza di alzare le spalle davanti alle
stupidaggini, percepiscono la volgarità, e se l' accettano è per gioco. Ma sanno
distinguere un valore. quando gli viene mostrato».
La pubblicità vive di finzione, «e i ragazzi questo lo
sanno bene, al contrario dei loro genitori che ci "cascano" molto più
volentieri - concorda Giorgio Triani, sociologo della comunicazione,
anch'egli consulente del progetto -. Il problema della nostra scuola non è solo che
snobba l'alfabeto dei media: il fatto è che la parte dei docenti litiga ancora col
videoregistratore e non vuol sentire parlare di computer». Intanto i giovani si fanno la
loro competenza, praticamente da autodidatti.
Gli oltre 900 studenti intervistati dalla Federazione
italiana psicologi - che domani al convegno milanese illustrerà quest'indagine
sull'immaginario scolastico- hanno dichiarato in blocco che linguaggi televisivi e
pubblicitari dovrebbero diventare materia di insegnamento. Forse perché in cattedra
vogliono andarci loro.