DdL
A.S. 1306, Delega al Governo per
la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli
essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione
professionale
DdL A.S. 1251,
Legge-quadro in materia di riordino dei cicli dell'istruzione
DIBATTITO SENATO
(09.04.02 - 15.05.02)
(09.04.02) Riferisce alla Commissione il presidente
relatore ASCIUTTI, il quale compie preliminarmente un excursus
storico sulle riforme dell'ordinamento scolastico a partire dalla legge
Casati del 1859 ai giorni nostri. Al riguardo, osserva che quando il
ministro Gabrio Casati, nel novembre 1859, elaborò la prima e unica
legge organica dell'ordinamento scolastico italiano prima della riforma
Gentile, non solo l'Italia stava vivendo il momento culminante del suo
processo di unificazione, ma era anche pienamente nel vivo il dibattito
sulla istituzione delle regioni. L'anno successivo il ministro Terenzio
Mamiani, cui spettò il compito di attuare la legge Casati attraverso
regolamenti e programmi, pensò di istituire una commissione con il
compito di discutere e preparare un ordinamento nuovo delle leggi
scolastiche conforme ai voti manifestati dal Parlamento e ai princìpi
amministrativi del nuovo Regno. Non si istituirono le regioni e non si
modificò sostanzialmente la legge Casati, ma la successiva riforma
scolastica, che porta il nome di Giovanni Gentile, vide la luce assieme
al nuovo assetto dello Stato fascista. In era repubblicana, nella XIII e
ora nella XIV legislatura, il Parlamento pone nuovamente mano
all'articolazione del sistema scolastico in concomitanza con un processo
riformatore che ha ridisegnato il rispettivo ruolo dello Stato e delle
regioni e che ha preso corpo grazie alla nuova formulazione del Titolo V
della Costituzione. In altri termini, è la stessa storia dell'Italia
che testimonia di come le classi dirigenti del Paese abbiano sempre
interpretato il problema dell'organizzazione della scuola come un
aspetto fondamentale dell'ordinamento dello Stato.
Tornando alla legge Casati, essa rifletteva la realtà piemontese e
lombarda per cui era stata concepita. Sceglieva infatti risolutamente la
strada dell'accentramento già delineata nel Piemonte sabaudo, divideva
l'istruzione umanistica da quella tecnica considerando quest'ultima
inferiore alla prima e inoltre affidava l'istruzione professionale al
Ministero dell'agricoltura e del commercio, il quale del resto dal 1861
avrà anche la responsabilità degli istituti tecnici.
L'istruzione elementare, affidata ai comuni, era divisa in due gradi,
inferiore e superiore, ognuno formato da due classi distinte.
L'istruzione elementare era gratuita, con obbligatorietà del corso
inferiore per tutti i fanciulli dai sei agli otto anni, e veniva
impartita dallo Stato per mezzo dei comuni. Anche l'istruzione
secondaria classica era articolata in due gradi: il ginnasio della
durata di cinque anni e il liceo di tre. Gli altri tipi di scuole erano
le tecniche – la scuola tecnica e l'istituto tecnico entrambi di
durata triennale – e le scuole normali della durata biennale o
triennale per la preparazione rispettivamente dei maestri elementari di
grado inferiore o superiore. Infine, tutte le autorità scolastiche,
oltre che i membri del Consiglio superiore dell'istruzione e di quelli
provinciali, erano di nomina regia o ministeriale, mentre la spesa per
l'istruzione pubblica si concentrava sull'università e sull'istruzione
secondaria classica, gravando totalmente sui comuni i costi
dell'istruzione primaria, dal reperimento dei locali al pagamento dei
maestri.
Un primo e rilevante intervento riformatore si ebbe poi nel giugno 1877
con la legge voluta dal ministro Michele Coppino, i cui punti
caratterizzanti erano l'obbligatorietà dell'istruzione elementare
inferiore dai sei ai nove anni d'età, la sua gratuità e
aconfessionalità. L'applicazione della legge era graduale e subordinata
al raggiungimento di una determinata proporzione tra il numero dei
docenti e la popolazione complessiva dei comuni, ma le autorità
preposte avevano la facoltà di procedere a impostare d'ufficio la spesa
necessaria nei bilanci comunali al fine di ottemperare all'obbligo di
istituzione e mantenimento delle scuole.
Nello stesso periodo di tempo, gli istituti tecnici vennero riportati
nell'ambito della pubblica istruzione, ma furono organizzati confermando
il modello originale casatiano. Erano cioè divisi in cinque sezioni (fisico-matematica,
industriale, agronomica, commerciale e ragioneria), di cui solo la prima
permetteva peraltro l'iscrizione alle facoltà di scienze matematiche,
fisiche e naturali. Indi, nel 1879-1880, due successive circolari del
Ministero dell'agricoltura e del commercio sollecitarono enti locali e
camere di commercio a creare scuole di arti e mestieri, cogliendo
un'effettiva domanda proveniente dal mondo artigiano e dalla stessa
classe lavoratrice.
In epoca giolittiana fu il settore elementare ad essere attraversato da
importanti riforme, fra cui in primo luogo la legge Orlando del 1904,
che estendeva l'obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età, ma
solo nei comuni che avessero istituito il corso elementare superiore, e
stabiliva che coloro i quali intendevano proseguire gli studi potevano
sostenere, compiuta la quarta classe elementare, un esame speciale di
maturità per l'ammissione alle scuole secondarie.
Successivamente la legge Daneo-Credaro del 1911 avocò allo Stato gran
parte dell'istruzione primaria, ma tale passaggio venne limitato ai
comuni non capoluogo ed inoltre le scuole sottratte ai comuni vennero
amministrate da un consiglio scolastico provinciale la cui composizione
prevedeva comunque una forte componente di membri direttamente designati
dai consigli comunali.
Le ulteriori e profonde esigenze di rinnovamento che percorsero tutta
l'istruzione non si tradussero invece in una proposta organica. La crisi
economica strisciante fra il 1907 e il 1911 e poi la guerra impedirono
che si realizzasse nella sua massima ampiezza l'ipotesi di riforma che
l'età giolittiana aveva elaborato.
Dopo un ultimo tentativo nel dopoguerra di affrontare i problemi della
scuola nel quadro dello Stato liberale da parte di Giolitti e Croce, il
nuovo sistema di istruzione venne elaborato nell'ambito dello Stato
fascista con i decreti legge che compongono la riforma Gentile. In base
al nuovo assetto, si propugnava una selezione delle classi dirigenti
nell'asse portante liceo-università e attraverso la preminenza del
liceo classico, unica scuola che apriva l'accesso a tutte le facoltà
universitarie. L'istruzione tecnica e professionale erano affidate ad
altri Ministeri specifici, risultandone implicitamente la considerazione
largamente minore in cui erano tenute. Solo i ragionieri e i geometri
rimanevano nel quadro della pubblica istruzione. Più nel dettaglio,
l'istruzione elementare era articolata in tre gradi: preparatorio, per i
fanciulli dai tre ai sei anni, non obbligatorio; inferiore, della durata
di tre anni; superiore, di due anni. Ma il corso elementare vero e
proprio veniva stabilito in cinque anni, abolendo la possibilità,
contemplata nella legge Orlando del 1904, di sostenere l'esame di
ammissione alla scuola secondaria alla fine della quarta classe.
L'istruzione obbligatoria veniva elevata al quattordicesimo anno d'età
e prevedeva, oltre il livello della scuola elementare, la frequenza di
un ulteriore corso integrativo di avviamento professionale della durata
di tre anni. Le scuole secondarie erano a loro volta articolate in una
serie di gradi di durata diversa, a seconda della loro tipologia.
L'accesso ad esse era regolato secondo il criterio dell'esame di
ammissione e prevedeva per ogni istituto un numero chiuso. Il livello più
basso dell'istruzione secondaria veniva impartito nella scuola
complementare, nel corso inferiore dell'istituto tecnico e dell'istituto
magistrale, e nel ginnasio. Il livello ulteriore si articolava nel corso
superiore dell'istituto tecnico e di quello magistrale, nel liceo
scientifico, nel liceo classico e infine nel liceo femminile di durata
triennale e senza ulteriori sbocchi.
Ma il regime fascista, prima della sua caduta, intervenne ancora sul
sistema d'istruzione con la Carta della scuola ideata da Giuseppe Bottai
nel 1939, che avrebbe dovuto costituire la risposta agli impetuosi
processi sociali della seconda metà degli anni Trenta, che in termini
scolastici si tradussero in un notevole sviluppo quantitativo
dell'istruzione, soprattutto per quanto riguarda gli istituti tecnici
industriali, i licei scientifici e le magistrali. Il calendario
dell'attuazione della riforma prevedeva la predisposizione di cinque
leggi fondamentali, da approvare gradualmente. Di queste l'unica
effettivamente promulgata fu la n. 899 del 1940, relativa
all'istituzione della scuola media di durata triennale valida per
l'accesso alle scuole dell'ordine superiore, al liceo artistico e alle
scuole dell'ordine femminile.
Dopo la liberazione, il dibattito sulla scuola si sviluppò in seno
all'Assemblea costituente. In quella sede il compromesso tra le istanze
della sinistra e quelle dei cattolici produsse l'obbligo scolastico fino
ai 14 anni, il diritto allo studio, ma per i più capaci e meritevoli, e
la libertà dei privati di creare scuole, ma senza oneri per lo Stato.
Per rinvenire tuttavia un significativo intervento legislativo occorre
risalire fino al 1962, anno di approvazione della legge n.1859, firmata
dal ministro Luigi Gui, che istituiva la scuola media unica e
obbligatoria fino a 14 anni. Tale legge sanciva tra l'altro
l'eliminazione dell'obbligatorietà del latino, prevedendolo come
materia autonoma e facoltativa nella terza classe. L'esame di licenza
era trasformato in esame di Stato e dava accesso a tutte le scuole e
istituti di istruzione secondari di secondo grado, ma la prova di latino
era considerata obbligatoria per poter accedere al liceo classico.
Infine, si sanciva che il diploma di maturità scientifica dava accesso
a tutte le facoltà universitarie esclusa quella di lettere e filosofia;
eccezione che cadrà nel 1969, quando venne liberalizzato l'accesso a
tutti i corsi di laurea ai diplomati di qualsiasi istituto di istruzione
secondaria di secondo grado.
Nel frattempo, nel 1968, con la legge n. 444 lo Stato organizzò la
scuola materna per l'accoglimento dei bambini nell'età prescolastica da
tre a sei anni, con fini di preparazione alla frequenza della scuola
dell'obbligo. Ancora una volta quindi i nodi da sciogliere rimanevano la
secondaria e l'università. E in effetti, dopo la legge n. 119 del 1969
che introduceva in via sperimentale alcune innovazioni negli esami di
Stato di maturità, dal 1970 si sono succedute nel tempo numerose
proposte legislative per il riordino della scuola secondaria superiore,
nessuna delle quali è riuscita a terminare il proprio iter
legislativo: dal testo predisposto dall'allora ministro Misasi nella V
legislatura a quello, d'iniziativa della senatrice Alberici e di altri
senatori, approvato dal solo Senato nel settembre 1993. Nel frattempo,
ancora una volta il Parlamento legiferava in tema di scuola elementare,
approvando la legge n. 148 del 1990, che ha introdotto il cosiddetto
"modulo organizzativo" di tre insegnanti su due classi (o di
tre su quattro), ha previsto l'aggregazione delle materie per ambiti
disciplinari e ha reso obbligatorio l'insegnamento della lingua
straniera.
E' infine nella XIII legislatura – come è a tutti noto – che ha
visto la luce la legge quadro di riforma dei cicli scolastici delineata
dal ministro Berlinguer e a sua volta preceduta dalla legge n. 59 del
1997, che ha attribuito alle istituzioni scolastiche autonomia
didattica, organizzativa, di ricerca e di sviluppo dotandole peraltro di
personalità giuridica, dalla legge n. 425 del 1997, che ha riformato
gli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione
secondaria superiore, e dalla legge n. 9 del 1999, con la quale
l'obbligo scolastico è stato elevato da otto a dieci anni, sebbene il
medesimo obbligo d'istruzione sia rimasto di durata novennale fino
all'approvazione del nuovo sistema scolastico e formativo.
Oggi, prosegue il presidente relatore, a quasi un anno dall'insediamento
del Governo Berlusconi, il Parlamento si trova ad affrontare di nuovo il
problema del riordino dei cicli scolastici, che ormai necessita di
urgente risoluzione. Già in campagna elettorale la Casa delle Libertà
aveva del resto annunciato l'intento di rielaborare, di concerto con i
diretti fruitori del sistema scolastico, una riforma del reparto scuola
largamente attesa.
Altro elemento che impone la revisione del sistema scolastico è
peraltro l'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3, che, modificando il titolo V della Costituzione, rivede le
competenze di regioni, comuni e province e vincola al rispetto
dell'autonomia delle istituzioni scolastiche.
La precedente riforma tendeva a livellare il sistema mettendo in
pericolo perni fondamentali della formazione culturale che lo Stato deve
invece garantire. Il disegno di legge n. 1306 presentato dal Governo
intende dunque ripartire da alcuni precisi ed essenziali presupposti: il
rispetto della Costituzione, che sancisce il diritto allo studio per
tutti; il rispetto della più recente normativa di riordino delle
specifiche competenze legislative sulla materia, ripartite tra Stato e
Regioni (come chiarito dall'articolo 1); il rispetto del diritto dei
giovani a formarsi sia attraverso l'istruzione, sia attraverso la
formazione professionale col presupposto, anch'esso sancito per legge,
che entrambi i canali costituiscono due diverse modalità per giungere
al medesimo obiettivo: quello della crescita e della formazione di una
precisa individualità culturale e sociale.
Il rispetto di questi basamenti strutturali, insieme alle modalità
attraverso le quali la riforma si snoda, garantisce anche il sistematico
adeguamento a quello che è il panorama scolastico europeo, ad oggi
innegabilmente più idoneo del nostro a formare individui in grado di
affrontare in futuro le sfide del mercato globalizzato.
L'impegno del legislatore deve pertanto essere quello di costruire un
sistema che, tenendo conto dei presupposti appena citati, riesca a
garantire una elevata qualità culturale e professionale attraverso un
sistema unitario, ma al tempo stesso sufficientemente elastico da
consentire ampia flessibilità, nella cornice del valore legale dei
titoli di studio.
L'articolo 2 regola il percorso di formazione scolastica attraverso due
cicli: uno primario, costituito dalla scuola primaria e da quella
secondaria di primo grado; uno secondario, costituito dal sistema dei
licei e da quello parallelo dell'istruzione e della formazione
professionale.
Movendo da criteri che individuano il compito precipuo dell'istruzione
nella promozione in tutto l'arco della vita delle forme di apprendimento
atte a formare e valorizzare la soggettività e la spiritualità umana,
nonché nella valorizzazione delle attitudini e delle scelte individuali
al fine ultimo di strutturare una personalità consapevole di sé, ma
anche della propria appartenenza civile e storica, il disegno di legge
n. 1306 interpreta ed esaurisce appieno il significato etimologico del
verbo educare. Perché questo è il processo educativo in sostanza: una
trasformazione progressiva che, attraverso l'apprendimento, produce un
risultato. In questo senso, il sistema scolastico, che eroga metodi e
contenuti di questo processo, deve necessariamente essere di qualità
elevata ed adeguato al compito che si prefigge.
Secondo l'asse del provvedimento, il cammino formativo prende il via con
la scuola dell'infanzia, della durata di tre anni; essa per prima
interviene, attraverso adeguate metodologie, ad educare lo sviluppo del
bambino in termini di motricità, affettività e socialità: pone cioè
le prime essenziali condizioni per quello che sarà il futuro
inserimento nel mondo scolastico. L'intento annunciato di
consentire l'ingresso in questa fase anche a bambini che compiono
i tre anni entro il 30 aprile dell'anno scolastico di
riferimento consente un ingresso anticipato con la prospettiva di
condurre l'alunno alla fine dei due cicli all'età di poco più dei
diciotto anni. Si tenta infatti di adeguare la scuola italiana a quella
europea, anche se esiste un cospicuo numero di nazioni nelle quali la
durata degli studi necessari per accedere agli studi universitari è di
13 anni, per cui l'uscita avviene dopo i diciotto anni: la Germania, la
Finlandia, la Danimarca, la Svezia, il Lussemburgo. Anche paesi come la
Francia, che pure prevedono l'uscita prima dei diciannove anni,
richiedono poi un bachillerato triennale di ulteriore preparazione per
l'accesso universitario che in definitiva ritarda tale evento.
Al riguardo, il presidente-relatore mette peraltro a disposizione dei
senatori uno schema riassuntivo dell'articolazione dei cicli scolastici
nei principali paesi dell'Unione europea.
In considerazione delle scelte adottate nei vari paesi dell'Unione, il
presidente-relatore invita quindi a concepire una soluzione non tanto
mirata ad un pedissequo adeguamento all'Unione, ma fondata invece su due
criteri essenziali: il primo è la contestualizzazione del provvedimento
con il bagaglio culturale, storico ed economico del nostro Paese; il
secondo attiene una serie di valutazioni di carattere psico-pedagogico.
Nella valutazione dell'opportunità di anticipare l'età scolare va ad
esempio considerato che il percorso evolutivo dell'individuo necessita
di un tempo preciso (e quindi non contraibile) per raggiungere la
maturità necessaria ad affrontare le metodologie e i contenuti di
studio che l'università impone.
Quanto al primo ciclo scolastico, esso comincia a sei anni (ma anche in
questo caso vi è la possibilità di iscriversi prima, qualora il
compimento dei sei anni avvenga entro il 30 aprile) e si snoda secondo
due moduli, di cui uno di cinque anni e il secondo di tre. Il primo
modulo, quinquennale, si articola in un primo anno (in cui si conducono
gli alunni al possesso di elementi cognitivi di base) e successivamente
in due bienni didatticamente distinti. Ritenendo inoltre che già da
questa fase sia di fondamentale importanza l'apprendimento di una lingua
dell'Unione europea, come pure l'approccio al mondo informatico, sono
state inserite queste due discipline. Gli obiettivi sono impegnativi
poiché si intende promuovere prima attraverso l'alfabetizzazione, poi
attraverso l'acquisizione di conoscenze e di abilità soggettive di
base, quello sviluppo della personalità che proseguirà nella fase
successiva.
Il secondo modulo, triennale, consta di un primo biennio e
successivamente di un anno, volto sia al completamento didattico dei due
precedenti che al raccordo con il successivo ciclo scolastico, con
funzioni di consolidamento.
Il ciclo superiore è finalizzato alla crescita soggettiva
dell'individuo attraverso le discipline di studio; ha la durata di
cinque anni e si sviluppa in due bienni più un anno di completamento e
consolidamento del percorso al termine del quale l'alunno dovrà
sostenere un esame di Stato per poter accedere all'università. Tale
fase si conclude successivamente al compimento del diciottesimo anno di
età.
In questo periodo della vita evolutiva si accrescono e organizzano le
conoscenze e si tende soprattutto a far acquisire quell'autonomia di
studio che si proietterà in futuro in tutti gli aspetti della vita
dell'individuo.
Il disegno di legge prevede l'introduzione di una seconda lingua
dell'Unione europea nonché l'approfondimento delle tecnologie
informatiche. Esso indirizza in particolare il secondo ciclo
all'educazione personalizzata e mira a potenziare le caratteristiche
soggettive, tenendo sempre in considerazione il contesto sociale e
storico in cui l'individuo si realizza.
E' durante questa fase che può essere realizzata la scelta tra sistema
di istruzione e sistema di formazione: due percorsi assolutamente
paralleli, aventi la caratteristica di pari dignità e come tali
tutelati per legge. Questi due blocchi non sono intesi come due sistemi
rigidi e a sé stanti, ma per loro intrinseca struttura dovranno
garantire la possibilità, in itinere, di rivedere le proprie
scelte ed eventualmente modificare il percorso di studio. Tale elasticità
consente anche l'alternanza tra scuola e lavoro (come disposto
dall'articolo 4) da effettuarsi sotto la diretta responsabilità
dell'istituzione scolastica, ma di concerto con le imprese, nonché con
enti pubblici e privati che siano disponibili ad accogliere gli studenti
per periodi di tirocinio. Anche da queste esperienze deriveranno
valutazioni che andranno a costituire il credito formativo dell'alunno.
I due canali sono diversi per durata (cinque anni il sistema dei licei e
quattro più uno facoltativo per l'istruzione e formazione
professionale) e per la natura dei programmi disciplinari, ma si
concludono entrambi con l'esame di Stato.
Nel nuovo scenario qui delineato, lo Stato ha il compito di dettare le
norme generali affinchè sia garantito a tutti e su tutto il territorio
nazionale il diritto allo studio; alle Regioni è trasferito il compito
concorrente di emanare dispositivi in ordine all'intero sistema
educativo, ovvero all'istruzione e alla formazione professionale
garantendo la ottimale validità e qualità del servizio sul territorio
in accordo coi dettami nazionali.
Attraverso l'articolo 4 viene inoltre ribadito quanto previsto
dall'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, che aveva previsto
tirocinii e stages di orientamento.
L'innovazione che vede la formazione professionale quale canale
formativo parallelo a quello dell'istruzione realizza appieno le
possibilità di realizzazione individuali: si avranno, per entrambi,
percorsi che esiteranno in titoli e qualifiche spendibili su tutto il
territorio nazionale e utili per l'accesso alla formazione superiore.
Per ciò che concerne le verifiche del sistema educativo, di cui
all'articolo 3, esse sono affidate al corpo docente, avranno carattere
periodico e verranno regolarmente certificate. La valutazione periodica
verificherà il passaggio alla fase didattica successiva e, in caso di
mancata idoneità, l'alunno sarà costretto a ripetere non l'intero
biennio, ma solo il secondo anno dello stesso periodo. In stretto
riferimento con quanto appena detto si manifesta la necessità di una
significativa permanenza del corpo docente tesa a garantire quella
continuità didattica imprescindibile anche per una corretta
valutazione. In tale ambito concettuale, è sembrato inoltre opportuno
reinserire la tradizionale valutazione del comportamento generale
dell'alunno a fronte della sperimentata convinzione che tale strumento
offra, a lungo termine, un valido parametro di orientamento per i
docenti, per le famiglie e per lo stesso alunno. Inoltre viene affidato
all'Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione il
compito periodico di effettuare la valutazione dell'intero sistema
attraverso la verifica del livello di conoscenze raggiunte dagli alunni,
allo scopo di monitorare la complessiva validità dell'apparato
scolastico e formativo: anche in questo senso ci allineeremo ai metodi
già in atto in vari paesi dell'Unione europea. In ultimo, come già
accennato, è previsto l'esame di Stato come tappa conclusiva dei due
cicli scolastici da svolgersi sotto il controllo di una commissione
esaminatrice e avente come contenuto prove stabilite dall'Istituto
nazionale per la valutazione del sistema di istruzione: i criteri di
scelta delle prove si fondano sulla base degli specifici obiettivi di
apprendimento dell'intero corso, nonché in relazione ai curricoli
dell'ultimo anno.
L'articolo 5 entra nel merito della formazione degli insegnanti
prevedendo che siano i decreti legislativi emanati dal Governo e
previsti dall'articolo 1 a disciplinarne i contenuti. Tale formazione
dovrà realizzarsi nelle università presso corsi di laurea
specialistica, il cui accesso è programmato in base ai posti
effettivamente disponibili in ogni regione e nei ruoli organici. Le
classi dei corsi di laurea sono individuate attraverso decreti adottati
ai sensi dell'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127;
tali decreti dovranno inoltre regolamentare le attività didattiche
inerenti l'inserimento degli alunni portatori di handicap prevedendo
che la formazione possa essere realizzata anche all'estero. Per accedere
ai corsi di laurea specialistica si prevede il possesso di requisiti
minimi curricolari oltre ad una adeguata formazione personale. Il
conseguimento infine della laurea specialistica viene determinato da un
esame di laurea avente valore abilitante di uno o più insegnamenti.
Tutti coloro che, già docenti laureati, intendano immettersi nei ruoli
dovranno svolgere un periodo di tirocinio con appropriati contratti di
formazione-lavoro. In questo senso le università dovranno definire
l'istituzione e il funzionamento di apposite strutture di formazione
atte a sostenere i rapporti, mediante convenzioni, con le istituzioni
scolastiche.
Inoltre le università avranno il compito della formazione in servizio
dei docenti interessati ad assumere funzioni di supporto, di tutoraggio,
di coordinamento delle attività didattiche e gestionali delle
istituzioni scolastiche e formative.
Per ciò che riguarda le regioni a Statuto speciale e le province
autonome di Trento e di Bolzano, l'articolo 6 mantiene la loro autonomia
in conformità ai loro statuti, alle norme di attuazione e alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n.3.
Infine, l'articolo 7 detta le disposizioni finali ed attuative
individuando le materie nelle quali lo Stato potrà intervenire mediante
uno o più regolamenti. Viene anche previsto che il Ministro relazioni
ogni tre anni al Parlamento sul sistema educativo di istruzione e
formazione per permettere la valutazione dell'efficacia delle nuove
norme e, nel caso, per consentire iniziative conseguenti.
Il comma 3 prevede altresì che, dall'anno scolastico 2002-2003,
potranno iscriversi alla scuola d'infanzia i bambini che compiranno i
tre anni entro il 28 febbraio 2003, mentre potranno iscriversi alla
prima classe elementare i bambini che compiranno il sesto anno entro il
28 febbraio 2003. Successivamente, attraverso i decreti legislativi,
saranno date disposizioni per arrivare al regime di iscrizione fino alla
data del 30 aprile prevista dall'articolo 2.
Infine sono stabilite le disposizioni di carattere finanziario e sancita
l'abrogazione della legge 10 febbraio 2000, n. 30.
Il Presidente relatore giudica conclusivamente il disegno di legge n.
1306 idoneo a mettere mano ad una riforma indispensabile per rendere il
nostro sistema scolastico attuale, valido e competitivo, senza per
questo mettere in secondo piano la nostra tradizione culturale, storica
e sociale. A tal fine, opportunamente esso considera l'individuo quale
soggetto attivo del complesso processo di strutturazione della
personalità, prevedendo uno sviluppo graduale e sequenziale delle
capacità di apprendimento, ed afferma inequivocabilmente il diritto di
tutti allo studio, anche attraverso l'innovativa attribuzione della
piena dignità alla formazione professionale, evitando la ghettizzazione
di coloro che scelgono un percorso anticipatamente pragmatico rispetto a
quello squisitamente intellettuale.
Il Presidente relatore si sofferma quindi sul disegno di legge n. 1251,
il quale dispone da un lato l'abrogazione della legge n. 30 del 2000 di
riordino dei cicli dell'istruzione, ma dall'altro ne conferma
l'impostazione prospettando l'adozione di un sistema fondato su due
cicli, primario e secondario, rispettivamente di sette e cinque anni, il
secondo dei quali articolato nelle stesse aree previste dal testo
elaborato dall'allora ministro Berlinguer, e prefiggendosi dunque di
abbassare l'età del diploma a diciotto anni.
Per quanto concerne invece i punti in cui il provvedimento si discosta
dalla legge attualmente in vigore sui cicli scolastici, il
presidente-relatore segnala, all'articolo 1, l'espresso richiamo
all'obiettivo di formare la persona ai valori di cittadinanza europea e
mondiale e l'estensione dell'obbligo scolastico al diciottesimo anno
d'età e, all'articolo 2, relativo alla scuola dell'infanzia,
l'esplicito riferimento a un piano pluriennale di investimenti che
consenta di estendere a tutto il territorio nazionale la presenza di
scuole dell'infanzia statali o comunali.
Le differenze riguardanti la scuola di base attengono l'introduzione del
concetto di pari dignità – nell'ambito dei nuovi mezzi espressivi da
apprendere – per ogni forma di linguaggio e di espressione artistica,
compresa la musica, e la soppressione dell'indicazione orientativa per
la successiva scelta dell'area e dell'indirizzo in sede di esame di
Stato conclusivo.
Due sono anche le innovazioni previste in tema di scuola secondaria,
poiché vengono meno sia le attività complementari e le iniziative
formative da realizzare – laddove sia richiesto – già al secondo
anno del ciclo, sia l'acquisizione di crediti a seguito della frequenza
positiva di segmenti della formazione professionale. In altri termini,
la possibilità di effettuare esperienze professionalizzanti esterne
alla scuola viene limitata all'ultimo triennio.
Vengono inoltre ampliati l'ambito di intervento del programma
quinquennale che dovrà essere presentato dal Governo al Parlamento e
gli obiettivi da realizzare usufruendo dei risparmi conseguenti alla
riduzione di un anno del percorso formativo. Sotto il primo profilo, il
predetto programma dovrà anche individuare i criteri per la
generalizzazione dell'insegnamento della musica nel ciclo di base e nel
ciclo secondario, nonché per la formazione della cittadinanza europea e
mondiale. Dal punto di vista invece dell'utilizzazione di maggiori somme
eventualmente disponibili, oltre alla istituzione di periodi sabbatici,
il disegno di legge Cortiana propone periodi di formazione e
aggiornamento dei docenti anche all'estero, di tutoraggio degli studenti
che passano dalla scuola all'università o alla formazione superiore e
infine di supporto contrattualmente incentivato in aree territoriali
critiche di particolare marginalità sociale.
Del tutto innovativi rispetto alla legge n. 30 del 2000 sono poi
l'articolo 5, afferente il raccordo della scuola con la realtà
territoriale da realizzarsi attraverso percorsi interdisciplinari
dedicati alla conoscenza del territorio di appartenenza, anche al fine
di favorire l'esercizio consapevole del diritto di cittadinanza attiva e
di partecipazione democratica a livello locale, e il comma 9
dell'articolo 7, che prevede, in caso di inadempienza o inefficienza
delle amministrazioni competenti relativamente all'adeguamento
infrastrutturale, l'intervento sostitutivo del Governo mediante la
nomina di commissari ad acta. (10.04.02) Interviene il senatore
BRIGNONE, il quale dichiara di aver ascoltato con vivo interesse la
relazione svolta dal presidente Asciutti nella seduta di ieri e di
aver apprezzato in particolare la sua digressione storica relativa
alle grandi riforme intervenute in Italia nel campo della pubblica
istruzione. Ripercorre quindi a sua volta alcune tappe di quel
percorso storico, rilevando come esso si sia sempre accompagnato con
le vicende politiche del Paese e con l'andamento dei rapporti fra lo
Stato e la Chiesa, soprattutto fino al 1929. Egli stesso aveva del
resto evidenziato tale compenetrazione nella relazione effettuata
nella scorsa legislatura in merito all'insegnamento della religione
cattolica.
Ricorda poi come il concetto di gratuità introdotto dalle riforme dei
ministri Casati e Coppino fosse riferito esclusivamente al profilo
dell'iscrizione, non contemplando la problematica dei costi legati
alla frequenza della scuola. Quelle riforme, d'altro canto, dovettero
fare i conti con la grave carenza di insegnanti elementari che ne
pregiudicò gli esiti complessivi. Da questo punto di vista egli
ritiene sia stato più semplice il compito del ministro Gentile.
Svolge quindi alcune riflessioni sulla istituzione della scuola media
unica obbligatoria a partire dal 1962, anch'essa ostacolata
dall'inadeguatezza del corpo insegnante che per quasi un decennio fu
costituito da insegnanti senza laurea e da presidi non in possesso dei
titoli richiesti.
In sostanza, la storia delle riforme scolastiche italiane dimostra
come le autorità preposte abbiano proceduto per segmenti e da ultimo,
invece di riformare l'unico segmento ancora disciplinato dalla vecchia
normativa, vale a dire la scuola secondaria superiore, si è preferito
adottare una nuova legge quadro al fine di armonizzare l'intero
sistema scolastico.
L'oratore sottolinea inoltre che non è possibile comprimere le
problematiche del sistema di istruzione nelle sole questioni
concernenti l'ordinamento scolastico e i cicli di studio. Vi sono
infatti profili che attengono il rapporto di lavoro e lo stato
giuridico dei docenti, l'edilizia scolastica e l'autonomia degli
istituti. Anche il tema dell'offerta formativa e del suo ampliamento
è per certi aspetti più rilevante del prolungamento o della
riduzione di un anno dei cicli scolastici. Per queste ragioni il
Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca non potrà
intervenire da solo per riformare il mondo della scuola, ma dovrà
agire di concerto con gli altri Ministri.
Dopo aver ricordato le linee essenziali della riforma introdotta
dall'ex ministro Berlinguer, egli entra nel merito del testo
presentato dal Governo, che a suo avviso rappresenta il miglior
compromesso attualmente possibile, salvo alcune correzioni che sarà
opportuno introdurre in sede di esame. Egli osserva tuttavia che
qualsiasi intervento riformatore non dovrebbe comunque essere ispirato
ai dati diffusi dall'OCSE, che dovrebbero essere valutati più
cautamente, dal momento che fanno riferimento a valori medi, mentre la
scuola italiana non presenta affatto caratteri che siano mediamente
omogenei, contenendo in sé punte di assoluta eccellenza e realtà del
tutto inadeguate dal punto di vista dell'offerta formativa. Al tempo
stesso, non sembra essere un traguardo significativo la riduzione di
un anno del percorso formativo, quando poi gli studenti universitari
italiani impiegano mediamente tre anni in più dei loro colleghi
europei per laurearsi.
Occorre peraltro tenere conto delle difficoltà e degli ostacoli che
in ogni caso un intervento riformatore incontrerebbe, in quanto
qualsiasi innovazione apportata ai cicli scolastici da un lato
ingenera la reazione negativa delle categorie di insegnanti coinvolte
e dall'altro determina comunque un onda anomala. Ad esempio, la
questione emersa più recentemente riguarda gli insegnanti della
scuola materna che si sono dichiarati contrari all'ingresso anticipato
nel sistema di istruzione; ma al riguardo si deve registrare l'impegno
assunto espressamente dal Governo in favore degli asili nido, che
rappresenterebbe certamente una maniera più onerosa di affrontare il
problema.
Entrando nel dettaglio del disegno di legge n. 1306, egli giudica
eccessivamente ampio il termine di 24 mesi entro cui il Governo deve
esercitare la delega prevista all'articolo 1 in materia di norme
generali sull'istruzione, mentre viceversa gli appare assai ristretto
il periodo di 30 giorni concesso alle Commissioni parlamentari per
esprimere il parere sui conseguenti decreti legislativi, così come
troppo ridotto viene ritenuto il termine di 90 giorni entro cui il
Ministro deve predisporre il piano programmatico di interventi
finanziari. Egli segnala peraltro come le finalità di quest'ultimo
siano armonizzate con gli interventi prioritari a cui è destinato
l'atto del Governo n. 94, concernente la ripartizione del Fondo per
l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e per gli
interventi perequativi, attualmente all'esame della Commissione.
In relazione all'articolo 2, dal momento che esso fissa i principi e i
criteri direttivi a cui il Governo deve attenersi nell'esercizio della
predetta delega, propone di spostare le lettere a), b) e c) del comma
1 all'articolo 1, in modo da rendere più omogeneo l'insieme delle
disposizioni attinenti alla delega. Circa poi la lettera e) del
medesimo comma 1 dell'articolo 2, egli ne condivide l'intento di
anticipare la possibilità di iscrizione alla scuola dell'infanzia,
che può risultare utile al fine di frammentare l'onda anomala e di
ovviare alla carenza degli asili nido.
Per quanto concerne la scuola primaria, di cui alla lettera f), egli
propone invece di invertire la sua articolazione interna, adottando
una scansione suddivisa in due periodi didattici biennali e in un
quinto anno finale. Infatti, a fronte della sempre più elevata
frequenza di alunni di origine extracomunitaria, si può supporre che
un solo anno dedicato all'acquisizione delle strumentalità di base
sia insufficiente per consentire a questi allievi di mettersi al passo
con gli altri. In proposito è preferibile un ciclo biennale, mentre
un singolo anno scolastico di collegamento con le medie inferiori potrà
garantire un miglior coordinamento, per quanto l'efficacia di tali
scelte sia comunque legata all'attività didattica effettivamente
espletata.
In merito poi all'articolazione interna del secondo ciclo, di cui alla
successiva lettera g), esprime alcune perplessità sulla suddivisione
in due periodi biennali e in un quinto anno di completamento del
percorso disciplinare. L'esperienza degli istituti magistrali e dei
licei artistici di durata quadriennale dimostra infatti come il quinto
anno possa essere valorizzato come corso propedeutico agli studi
universitari o essere vissuto come un inutile prolungamento del ciclo
secondario.
In materia di formazione e istruzione professionale, disciplinata
dalla lettera h), egli rimarca l'esigenza del rispetto della
competenza regionale, in linea con la recente riforma del Titolo V
della Costituzione. Quindi, dopo aver sottolineato la possibilità di
accedere all'università con i titoli o le qualifiche conseguiti al
termine dei percorsi del sistema dell'istruzione e della formazione
professionale, previa frequenza di apposito corso annuale, evidenzia
la difficoltà di valutare adeguatamente i crediti formativi acquisiti
grazie alla frequenza positiva di segmenti del secondo ciclo e validi
per i passaggi tra i diversi percorsi formativi. Si chiede infatti
quale valenza possano avere crediti formativi come quelli attualmente
acquisiti al di fuori del sistema scolastico e certificati dalle
amministrazioni provinciali, che non hanno certamente una competenza
diretta sotto il profilo educativo e dell'istruzione.
Passando all'articolo 4 del provvedimento, egli giudica anzitutto
l'alternanza scuola-lavoro, una scelta coraggiosa, che richiede
tuttavia l'esistenza di un sistema di istruzione e formazione maturo e
lo stanziamento di adeguati interventi finanziari a sostegno. Egli
concorda poi sulla opportunità di anticipare l'apprendistato ad una
età precedente i diciotto anni, ma ritiene si tratti di un percorso
ancora da costruire così come non pare significativa l'esperienza
degli stages estivi di tirocinio.
Infine, per quanto riguarda la formazione degli insegnanti,
regolamentata dall'articolo 5, giudica eccessivo il percorso formativo
previsto per gli insegnanti della scuola dell'infanzia, mentre ritiene
assai rilevante il ruolo degli insegnanti interessati ad assumere
funzioni di supporto, di tutorato e di coordinamento dell'attività
educativa, didattica e gestionale delle istituzioni scolastiche e
formative. Si deve infatti mirare a creare una nuova figura
professionale che assicuri sia il sostegno agli altri colleghi sia
l'opportuno collegamento con gli altri soggetti che operano nel mondo
della scuola.
Apprezzamento per la puntuale relazione del Presidente viene espresso
anche dal senatore CORTIANA, il quale dichiara di essere rimasto
particolarmente colpito dall'excursus storico ripercorso dalla
medesima relazione, con particolare riferimento al passaggio
concernente la Carta della scuola ideata da Giuseppe Bottai negli anni
Trenta e allo sviluppo quantitativo dell'istruzione che si registrò
nella seconda metà di quel decennio. Egli prende spunto da ciò per
rapportare quella visione della scuola con la filosofia che sottende
alla riforma proposta dal ministro Moratti. Dichiara pertanto di
concepire un'idea della scuola del tutto opposta a quella prospettata
dal Governo, che non sembra voler affatto fondare la propria
impostazione sulle finalità proprie dell'educazione e
dell'istruzione. Lo stesso ruolo delineato per le famiglie e per le
imprese, ad avviso dell'oratore, non ha attinenza diretta con i
compiti specifici della scuola e afferma che l'attuale opposizione,
nell'approvare nel corso della passata legislatura la legge sulla
parità scolastica (n. 62 del 2000), non intendeva affatto modificare
le finalità precipue del sistema di istruzione. Ritiene quindi che
l'impostazione emergente da alcuni aspetti del disegno di legge n.
1306 faccia venir meno qualsiasi possibilità di interlocuzione e di
dialogo con l'opposizione.
In particolare, critica l'ipotesi della cosiddetta
"canalizzazione", che considera paralleli i percorsi
dell'istruzione e della formazione. In merito a ciò, la questione
centrale non sta nell'età in cui si prevede la facoltà di operare la
scelta, bensì nell'esigenza – disattesa invece dal progetto
governativo - di tenere sempre la funzione dell'istruzione a
fondamento di qualunque sistema scolastico, anche in una visione di
educazione permanente.
L'altro elemento su cui egli dichiara la propria decisa contrarietà
è afferente all'anticipazione di un anno per l'entrata nel sistema
scolastico formativo. Si tratta infatti di una nociva ingerenza
nell'età più delicata dell'infanzia, che coinvolge aspetti evolutivi
e cognitivi assai rilevanti che non possono trarre giovamento
dall'inizio anticipato del percorso formativo di istruzione.
L'oratore si sofferma quindi sul disegno di legge n. 1251, che lo vede
primo firmatario, e che si propone di sviluppare e arricchire quanto
già realizzato grazie alla riforma dei cicli varata dal Governo
dell'Ulivo nella XIII legislatura. Più specificamente, fra gli scopi
di questo disegno di legge vi è la formazione di una cultura fondata
su uno spirito di cittadinanza attiva, consapevole e praticata, dotata
perciò di adeguati strumenti critici. Il provvedimento si propone
inoltre di limitare all'ultimo triennio del secondo ciclo la
possibilità di effettuare esperienze professionalizzanti e nel
contempo esalta il raccordo fra il mondo della scuola e la realtà
territoriale, intesa non solo dal punto di vista ambientale, ma anche
sotto il profilo storico, culturale, urbanistico ed economico.
Il progetto da lui presentato prevede poi di utilizzare i risparmi
conseguenti alla riduzione di un anno del percorso formativo al fine
di istituire periodi sabbatici per gli insegnanti, di assicurare la
formazione e l'aggiornamento dei docenti anche all'estero, oltre che
il tutoraggio degli studenti che passano dalla scuola all'università;
obiettivi tutti che mirano a garantire una più alta dignità al ruolo
svolto dal corpo insegnante. Infine, tra gli scopi del disegno di
legge n. 1251, egli pone in evidenza l'innalzamento dell'obbligo
scolastico ai 18 anni.
In considerazione della rilevante difformità tra i due provvedimenti
all'ordine del giorno della Commissione, che trovano le loro radici in
visioni culturali opposte, ritiene sia arduo trovare un terreno di
confronto che consenta di apportare miglioramenti al testo presentato
dal Governo. Pertanto, nell'eventualità che i tentativi di dialogo
non dovessero portare ad esiti positivi, la scelta dell'ostruzionismo
da parte dell'opposizione non sarebbe strumentale, ma rappresenterebbe
una battaglia fondamentale di civiltà attorno alla difesa della
scuola, a prescindere dalla posizione politica e dalla sensibilità
religiosa di ciascuno. (11.04.02) Interviene il senatore GABURRO, il
quale ritiene la riforma della scuola uno dei temi centrali del
programma del Governo e della nuova maggioranza, pur nella
consapevolezza delle difficoltà che si incontreranno nel cammino
riformatore. Qualsiasi soluzione dei problemi della scuola, infatti,
deve tenere comunque conto delle diverse esigenze e dei diversi valori
culturali in campo, nonché dei conseguenti rischi di
strumentalizzazione sempre in agguato. In proposito, è un esempio per
tutti quanto avvenuto lo scorso anno negli Stati Uniti d'America,
paese che si è persuaso dell'importanza fondamentale di una più
seria qualificazione della scuola e ha quindi assistito a un impegno
unitario del Congresso attorno al progetto di rinnovamento del sistema
d'istruzione.
Venendo al disegno di legge presentato dal Governo, egli ritiene che
esso rappresenti una proposta politica significativa fondata su una
visione umanistica della persona, dell'educazione e quindi della
società intera. Ne apprezza inoltre il carattere di progetto
complessivo che abbraccia il sistema d'istruzione dalla scuola
dell'infanzia fino alle soglie dell'università e del mondo del
lavoro.
Per quanto riguarda poi gli aspetti specifici del provvedimento che
meritano di essere positivamente sottolineati, egli fa espresso
riferimento alla valorizzazione della formazione professionale,
considerato uno dei temi più qualificanti del progetto, agli otto
diversi tipi di liceo, alla flessibilità che attraverso il sistema
dei crediti consente il passaggio da un liceo all'altro e dal sistema
dell'istruzione a quello della formazione professionale, al nuovo
rapporto con le imprese fondato sulla valutazione degli stages
aziendali e infine al nuovo sistema di valutazione. Quanto al profilo
attinente alla formazione dei docenti, egli ritiene si tratti di uno
degli snodi determinanti per la qualificazione della scuola; ma
proprio la crucialità di questo aspetto esigerebbe un impegno ancora
più forte attraverso la previsione di un ulteriore anno da destinare
alla formazione.
Tuttavia, più che soffermarsi sui singoli punti del disegno di legge,
egli esprime l'intenzione di svolgere alcune riflessioni sulla visione
culturale che ne sta alla base. Al riguardo, pone in evidenza il
cambiamento del ruolo dello Stato nelle politiche educative, che si
sostanzia in una funzione di garanzia, controllo e supervisione,
piuttosto che di gestione diretta. Tale cambiamento prende corpo in un
contesto che vede la scuola dinanzi alle sfide poste dalle nuove
tecnologie dell'informazione, dallo sviluppo della civiltà
scientifica e tecnica e dalla mondializzazione dell'economia. Tutto ciò
esige una riforma complessiva del sistema scolastico che sia in grado
di portare la totalità dei giovani, soprattutto quelli più
svantaggiati, al livello più alto di qualificazione e di competenza;
obiettivo perseguito dal provvedimento in esame attraverso il
rafforzamento del sistema integrato che, garantendo la competizione
fra le scuole, la diversificazione dell'offerta e il confronto
qualitativo, consente di ottenere una più elevata qualificazione dei
livelli di istruzione.
L'altra sfida che la scuola italiana si trova ad affrontare concerne
la difficoltà di elaborare e proporre percorsi formativi fondati su
valori condivisi in una società complessa, culturalmente frammentata
e policentrica. Da questo punto di vista, il progetto di riforma mira
ad offrire alle giovani generazioni una solida formazione umana, che
consenta la crescita come persone e la formazione di soggetti liberi,
solidali e responsabili, evitando di cadere in una concezione
utilitaristica dell'educazione finalizzata esclusivamente alla
qualificazione.
A fondamento del disegno di legge governativo vi è inoltre il
riconoscimento da un lato che l'educazione è una responsabilità
della società intera e dall'altro che allo Stato spetta un
irrinunciabile compito di promozione, garanzia e controllo rispetto ai
diritti della persona di ricevere una istruzione adeguata. Si propone
pertanto il passaggio da una scuola dello Stato a una scuola della
società civile nella linea della sussidiarietà, affermando la piena
libertà dell'educazione basata sul diritto di ciascuno, sancito dalla
Costituzione, ad educarsi e ad essere educato secondo le proprie
convinzioni e sul correlativo diritto-dovere dei genitori di decidere
in merito all'educazione e ai valori da offrire ai propri figli
minori. Per affermare tali principi è quindi necessario rimuovere gli
ostacoli che ancora limitano la piena esplicazione della normativa sul
sistema pubblico integrato.
Affrontando poi le questioni inerenti il nuovo assetto istituzionale
determinato dalla riforma del Titolo V della Costituzione e dunque le
nuove competenze regionali sancite in materia di istruzione e
formazione professionale, egli osserva come il disegno di legge in
esame si ispiri al concetto chiave della sussidiarietà, ampliando sia
le responsabilità degli enti locali, sia il coinvolgimento di tutti i
soggetti che operano nel mondo della scuola e garantendo l'estensione
dell'autonomia delle singole istituzioni formative. Ne consegue il
rispetto della libertà dei soggetti educativi (docenti, genitori e
studenti), nonchè la capacità di aprire le strutture formative alle
esigenze locali, rendendole più sensibili e attente ai bisogni del
territorio.
La riforma scolastica intende inoltre garantire la valorizzazione
delle differenti identità culturali attraverso i piani dell'offerta
formativa degli istituti, anche in risposta a una domanda educativa
della società civile sempre più diversificata, ma senza rinunciare a
rafforzare l'unitarietà del sistema di istruzione, che va perseguita,
a suo avviso, attraverso un chiaro riferimento alla tradizione
umanistica e cristiana e all'educazione religiosa e morale.
In relazione poi al rapporto tra formazione professionale e scuola,
esprime il proprio consenso per una integrazione armonica fra
formazione generale, scientifica, tecnica e professionale, che
riconosca a un tempo la valenza formativa e culturale delle
professioni e del lavoro e l'indispensabile centralità degli aspetti
umanistici e personalistici della educazione, la quale dovrà emergere
chiaramente sia negli indirizzi generali sia nei curricoli
dell'istruzione scolastica e della formazione professionale.
Conclusivamente, ritiene che nel progetto di riforma appaiano
rispettate e valorizzate le connotazioni culturali che costituiscono
il fondamento della visione umanistica e cristiana della persona,
della famiglia e della società. Garantire tali riferimenti
rappresenta l'apporto che la maggioranza e in particolare il Gruppo
Unione democristiana e di Centro sente di dover dare al bene comune
della società e della scuola, nella convinzione che questo fermento
culturale costituisca un contributo decisivo per creare condizioni di
piena umanità per tutti. Il senatore BETTA ritiene che le tematiche
della scuola debbano essere gestite in modo tale da non creare
fratture fra le forze politiche ed in questo senso dà atto al
presidente Asciutti di essersi sempre impegnato, sin dall'inizio della
legislatura, per giungere a soluzioni condivise. Nel medesimo senso
egli interpreta del resto il pregevole excursus storico con cui
il Presidente relatore ha avviato la relazione introduttiva sui
disegni di legge di riforma, excursus al quale egli aggiunge
peraltro un riferimento alla riforma scolastica di Maria Teresa
d'Austria che, in una situazione caratterizzata da forte
differenziazione culturale e linguistica, ha introdotto per la prima
volta la scuola dell'obbligo.
Egli si sofferma quindi sugli aspetti più critici del provvedimento,
tra i quali in primo luogo il rapporto fra Stato e regioni in tema di
istruzione e formazione professionale. Al riguardo, egli ritiene che
l'approccio del disegno di legge n. 1306 sia eccessivamente timido. In
particolare, ritiene che l'articolo 1, delegando al Governo la
definizione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di
istruzione formazione professionale, si ponga in un'ottica errata,
atteso che la materia attiene assai più alla sfera di competenza del
Parlamento che a quella del Governo. Del resto, la valenza del
provvedimento si incentra proprio nella sua capacità di innovare,
trasferendo alle istituzioni scolastiche e alle autonomie locali una
effettiva capacità di autogoverno.
Pur riconoscendo peraltro che l'originaria impostazione centralistica
del provvedimento sia stata progressivamente mitigata, introducendo
l'intesa della Conferenza Stato-regioni-città su una molteplicità di
profili per i quali era precedentemente previsto il mero parere, e
siano state altresì salvaguardate le competenze delle regioni a
statuto speciale e delle provincie autonome, sollecita quindi il
Governo ad andare oltre, attivando una collaborazione più
significativa con le regioni, anche con riferimento al sistema di
valutazione di cui all'articolo 3.
Quanto poi al diritto-dovere di istruzione per 12 anni, egli ricorda
che la riforma varata dal Governo dell'Ulivo aveva innalzato l'obbligo
scolastico fino a 16 anni, onde garantire un'elevata qualificazione di
base a tutti gli studenti. Nel testo dell'attuale Governo, l'obbligo
cogente d'istruzione viene invece sostituito, assai discutibilmente,
da un diritto-dovere che non risulta affatto vincolante. Inoltre, esso
prevede forti differenziazioni nei percorsi formativi, perdendo
totalmente di vista quella funzione egualitaria che l'obbligo
scolastico aveva nella riforma dell'Ulivo. Nell'esprimersi pertanto in
senso nettamente contrario ad una riforma scolastica che non assicuri
una omogenea preparazione di base a tutti gli studenti, ma anzi li
induca a scelte precoci, egli osserva che essa non consegue neanche
l'obiettivo di allineare l'Italia agli altri paesi europei, prevedendo
l'uscita dal sistema formativo a 19 anni. Né l'anticipo dell'età di
ingresso sembra rappresentare una valida soluzione, tanto più in
considerazione dei problemi di ordine psicologico e pedagogico che
esso pone e del conseguente potenziale contenzioso con gli enti
locali, competenti su strutture e risorse.
Terzo aspetto critico, prosegue l'oratore, riguarda l'ampiezza della
delega richiesta dal Governo. La previsione del parere parlamentare
sugli schemi dei decreti legislativi, nonché dell'intesa con la
Conferenza Stato-regioni-città, non mitiga infatti le preoccupazioni
connesse all'ampio spettro della delega richiesta, tanto più che i
pareri parlamentari non sono vincolanti. Pur essendo infatti diritto
del Governo e della sua maggioranza di essere posti nelle condizioni
di decidere e governare, non può prescindersi – in una materia così
delicata – da un pieno confronto parlamentare ed istituzionale. In
tal senso valuta ancor più negativamente la mancata previsione del
parere parlamentare sul piano programmatico di interventi finanziari
previsto dal comma 3 dell'articolo 1.
Infine, egli si sofferma sull'alternanza scuola-lavoro, di cui
all'articolo 4, osservando che si tratta di una metodologia su cui il
settore della formazione ha conseguito finora maggiori risultati
rispetto a quello dell'istruzione. Critica tuttavia la scelta di
erogare incentivi alle imprese per lo svolgimento di tali compiti,
atteso che il ruolo sociale dell'impresa impone di per sé a
quest'ultima una significativa apertura in tal senso.
Avviandosi alla conclusione, egli richiama l'attenzione della
Commissione su tre ulteriori profili di criticità. In primo luogo,
preso atto degli obiettivi ambiziosi del Governo, si augura che la
maggioranza non voglia proseguire nella strada imboccata con il
congelamento della legge n. 30 del 2000, blindando anche il
provvedimento in esame, ma dimostri al contrario disponibilità al
confronto parlamentare. In secondo luogo si augura che agli obiettivi
ambiziosi corrispondano tempi di elaborazione ragionevole, senza
inopportuni contingentamenti del dibattito parlamentare. Infine,
esprime dubbi sulla permanenza della fase di sviluppo che era alla
base del progetto della maggioranza e si augura conseguentemente che
alla riforma siano assicurate risorse economiche sufficienti. Il
senatore TESSITORE formula un giudizio positivo sulla relazione svolta
dal presidente Asciutti, ritenendo in particolare corretta la
prospettiva storica in cui è stata inquadrata la vicenda delle
riforme scolastiche italiane. A conclusione di quella vicenda si è
giunti nella scorsa legislatura all'approvazione della legge n. 30 del
2000 sul riordino dei cicli scolastici, che l'attuale Governo ha però
ritenuto di non attuare, trovandosi ora nella condizione di imprimere
una forte accelerazione alla nuova riforma elaborata dal ministro
Moratti. Sarebbe stato forse meglio però procedere attraverso
interventi correttivi alla legge quadro predisposta dall'ex
ministro Berlinguer, poiché oggi appare difficile ipotizzare
l'entrata in vigore del nuovo sistema già dal settembre 2002. Come
senatore dell'opposizione, egli dovrebbe peraltro augurarsi che quella
ipotesi non si realizzi, in quanto ciò rappresenterebbe il sicuro
segnale del fallimento della riforma medesima; e del resto anche la
predetta legge n. 30 ebbe a subire contraccolpi negativi
dall'accelerazione che si tentò di imprimere al riordino dei cicli.
Ma in nome dell'interesse generale e soprattutto nel rispetto dei
destinatari della riforma scolastica occorre evitare che
l'approvazione di quest'ultima si dispieghi attraverso tempi biblici,
pur nella consapevolezza che la serietà dei temi trattati deve far
scongiurare nel contempo immotivati sconti temporali.
Egli denuncia poi come l'impianto complessivo del progetto governativo
costituisca un ritorno all'impostazione verticale del sistema
dell'istruzione, che non lascia alternative tra l'uscita dal sistema
attraverso il conseguimento della laurea e l'incremento della mortalità
scolastica. Una simile impostazione poteva essere giustificata in
altre epoche storiche, ma oggi non è più coerente con l'assetto
sociale del Paese. Viceversa, un rimedio al grave fenomeno della
mortalità scolastica sarebbe rappresentato da un sistema d'istruzione
che consentisse differenziate uscite orizzontali.
Senza voler soffermarsi quindi sui singoli punti del disegno di legge
in esame, egli affronta in particolare il tema della formazione degli
insegnanti, dando atto al Governo di aver acquisito la consapevolezza
del fallimento delle scuole di specializzazione: una superfetazione
del sistema formativo rispetto alle istituzioni universitarie. Al
tempo stesso, egli dichiara di non condividere il rimedio offerto
dalla laurea specialistica, la quale mantiene la stessa opzione di
fondo delle scuole di specializzazione che egli identifica nel
panpedagogismo. Si tratta di una scelta che dequalifica invece proprio
il profilo pedagogico e si fonda solo sulle esigenze connesse al
potere accademico di un gruppo disciplinare. Ma il potere culturale
dei gruppi è assicurato dalla loro autorevolezza e non dal numero dei
docenti che li compongono.
La formazione culturale dovrebbe piuttosto separare la disciplina che
si insegna dalle modalità con cui la si insegna. E la formazione
professionale dovrebbe realizzarsi attraverso una preparazione
culturale idonea, che badi alla sostanza delle cose e non si ispiri ai
metodi assolutizzanti di quelle pseudoscienze che indicano il modo in
cui si deve fare qualcosa senza che però si sappia cosa sia.
Nel dettaglio della normativa proposta, egli stigmatizza poi
l'istituzione delle classi dei corsi di laurea specialistica
finalizzate alla formazione degli insegnanti, che si verranno a
sovrapporre alle quasi tremila classi di laurea infaustamente già
attivate dalla recente riforma universitaria. Si viene così a
determinare un assurdo organizzativo attraverso un parallelismo che fa
venire meno il collegamento fra una scienza e la didattica ad essa
relativa; parallelismo e superfetazione che vengono riproposti con la
previsione di un'apposita struttura di ateneo per la formazione degli
insegnanti. Queste lauree specialistiche del resto sono caratterizzate
da insussistenza logica e metodologica, in quanto l'apprendimento del
come insegnare non può prescindere dall'adeguata conoscenza della
materia oggetto dell'insegnamento.
Egli propone pertanto un sistema alternativo, che preveda un periodo
di tirocinio successivo alla laurea, organizzato sotto la
responsabilità delle università ma da tenersi presso le strutture
scolastiche. Il valore abilitante della laurea dovrebbe essere
successivo al tirocinio, che dovrebbe a sua volta essere affiancato
dal tutorato o da un master. Si darebbe così fondamento alla
formazione post-universitaria, destinata a rafforzare il rapporto tra
l'università e il mondo produttivo e delle professioni. D'altra
parte, la rilevanza e l'urgenza delle tematiche concernenti la
formazione degli insegnanti non possono sfuggire a nessuno, non
dovendosi dimenticare il livello qualitativo del personale docente che
l'università ha consegnato alla scuola a partire dal biennio
1968-1969.
Anche per le ragioni sopra esplicitate, egli esprime di conseguenza un
giudizio negativo sul provvedimento, ma dichiara altresì il proprio
rammarico per tale contrarietà, in quanto rappresenterebbe un momento
storico quello in cui si realizzasse la convergenza delle forze
politiche non solo sulla constatazione della centralità della scuola
nel sistema Paese, come struttura portante della società civile, ma
anche sull'esigenza di affrontare questi temi senza pregiudizi di
parte, senza tentativi surrettizi di coprire tali pregiudizi, senza
presumere di avere in tasca la verità, ma invece essendo tutti
disponibili a prestare ascolto alle opinioni degli altri. Rivolge
quindi un appello al Governo a riflettere in maniera approfondita
sulle questioni in campo, dando con ciò una prova di forza e non di
debolezza. Il senatore FAVARO ricorda in primo luogo il vasto
dibattito che ha preceduto l'elaborazione del provvedimento
legislativo in esame e che è culminato nell'iniziativa degli Stati
Generali della scuola. Ne è scaturito un testo che è frutto di un
compromesso anche tra le posizioni inizialmente non del tutto
coincidenti all'interno della stessa maggioranza, ma che testimonia
nel contempo come per questo Governo la scuola sia un bene comune e
abbia un ruolo centrale per la crescita della società italiana.
Tuttavia, le anticipazioni e gli annunci che hanno accompagnato
l'elaborazione del disegno di legge hanno nel contempo caricato di
tensione politica l'attuale fase parlamentare, anche in considerazione
del fatto che il provvedimento viene proposto da forze politiche che
hanno avversato l'approvazione della legge n. 30 del 2000. Nonostante
ciò, egli rivela di nutrire la sensazione che certi toni polemici
particolarmente accesi trovino giustificazione più nel ricordo di una
situazione politica contrassegnata da nette contrapposizioni di parte
che nella realtà attuale. Fortunatamente il documento elaborato dalla
commissione guidata dal professor Bertagna e la stessa relazione del
presidente Asciutti sembrano voler attenuare i toni polemici e
sottolineare gli elementi di continuità anche rispetto a
provvedimenti approvati nella precedente legislatura. Questo
atteggiamento potrà risultare più vantaggioso per le esigenze del
mondo scolastico e per la serenità di un dibattito all'interno del
quale la maggioranza non chiede sconti, ma di poter portare avanti un
progetto di scuola che ritiene rispondente alle esigenze di crescita
dei ragazzi e allo sviluppo di una società pluralista avanzata. Fra
l'altro, la riforma che ci si accinge ad approvare si va a inserire in
un contesto ancora mobile, caratterizzato dalle recenti trasformazioni
istituzionali e dal nuovo rapporto fra Stato e regioni, che ancora non
trova soluzioni certe e condivise.
L'oratore si sofferma quindi su alcuni aspetti particolarmente
significativi del progetto governativo, a partire dall'affiancamento
della formazione professionale al sistema dei licei, con la possibilità
di passaggi reciproci fra l'uno e l'altro canale. La pari dignità fra
i due percorsi è peraltro un obiettivo di assoluto valore destinato
però a incontrare numerose resistenze e che proprio per questo va
perseguito con ogni mezzo. Al riguardo, egli propone di sperimentare
un sistema integrato, che faccia coesistere i due canali all'interno
degli stessi istituti.
Affrontando poi la questione dell'alternanza scuola-lavoro, di cui
all'articolo 4 del provvedimento, si domanda se sarà la scuola a fare
da traino all'economia o viceversa. La formulazione della norma in
oggetto lascia intendere che l'iniziativa venga rimessa alle
istituzioni scolastiche, ma gli incentivi previsti per le aziende e
per l'assistenza tutoriale agli studenti in formazione prefigurano il
rischio di una sorta di assistenzialismo in favore delle imprese e in
proposito condivide le riserve già espresse dal senatore Betta.
Successivamente, egli svolge una analitica disamina del nuovo
meccanismo di valutazione, che contempla anche il cosiddetto voto in
condotta e che assume un'importanza particolare in una scuola che
persegue una didattica fondata sulla pari dignità formativa di tutte
le discipline. Le finalità che il provvedimento intende perseguire
sotto questo profilo riguardano la riduzione degli sprechi educativi,
la riconduzione della scuola alla sua funzione sociale e
l'evidenziazione del ruolo degli insegnanti cui la valutazione è
affidata.
Significativa è inoltre la disposizione introdotta dalla lettera l)
del comma 1 dell'articolo 2 relativa ai piani di studio, che dovranno
contenere un nucleo fondamentale attinente alla cultura e all'identità
nazionale e una quota riservata alle regioni concernente gli aspetti
di interesse specifico delle stesse, anche in collegamento con le
realtà locali. Si tratta di una vera svolta del sistema, che
consentirà agli istituti di arricchire l'offerta formativa
all'interno di una visione organica dell'autonomia, superando
l'uniformità dei programmi con percorsi flessibili e personalizzati.
Attraverso la riforma, si mira infatti ad attuare il federalismo
inteso non come mero decentramento, bensì come affermazione di un
sistema scolastico destinato alla collettività e alle singole
persone. Ciò non toglie che dovrà essere adeguatamente approfondito
il profilo delle competenze regionali rapportate all'autonomia
didattica e organizzativa.
In relazione alla formazione degli insegnanti, disciplinata
dall'articolo 5, egli considera una conquista strategica il rilievo
conferito alla formazione iniziale universitaria per tutti i docenti,
così come ritiene una scelta culturale e politica qualificante
l'impegno a sostenere la formazione in servizio, che non può essere
ricondotta esclusivamente a dimensioni accademiche senza tenere conto
della tradizione formativa interna al sistema scolastico. Indi, circa
la possibilità di anticipare la frequenza della scuola materna e di
quella elementare, presume che l'opzione diventerà presto regola, con
implicazioni negative soprattutto per la scuola dell'infanzia. Occorre
del resto riconoscere che questa previsione normativa riflette un
compromesso finalizzato ad anticipare al diciottesimo anno l'uscita
dalla scuola senza intaccare la durata tradizionale dei cicli. E' un
aspetto che suscita dubbi e perplessità, sia perché non sembra che
ci si allinei al resto d'Europa, bensì solo ad alcuni Paesi (come è
emerso anche dalla relazione del Presidente), sia perché appare
inutile conseguire questo anticipo quando poi il vantaggio ottenuto si
disperde nell'elevato numero di anni dedicato mediamente agli studi
universitari.
Un'attenzione particolare egli riserva alla questione dell'alternanza
scuola-lavoro. Il sistema scolastico è ancora infatti orientato
prevalentemente alla continua e indefinita prosecuzione degli studi,
fino al livello universitario, senza tenere conto delle aspettative
dei giovani né delle domande del mondo economico, come se il lavoro
non fosse la risorsa fondamentale nella costruzione dell'identità
personale di ciascun cittadino. Si è dovuta peraltro registrare fino
ad oggi la mancanza di un canale di formazione professionale degno di
questo nome, dal momento che, nonostante la previsione costituzionale
che assegna alle regioni la competenza in questo settore, nulla si è
fatto per sostenere uno strumento così prezioso per lo sviluppo
dell'economia e della cultura locali. Anche la recente riforma della
legge sulla formazione professionale è timida e limitata, oltre che
risentire della mancanza di adeguate risorse.
Da questo punto di vista, persino l'innalzamento dell'obbligo
scolastico risente di una impostazione classista, non riconoscendo
alle giovani generazioni il diritto a percorrere itinerari formativi
diversi e alternativi rispetto a quello scolastico tradizionale e
confermando il difetto cronico del sistema di istruzione nazionale
rappresentato dalla rigidità e uniformità dell'offerta formativa.
Del resto, i giovani meno predisposti allo studio e che si inseriscono
più facilmente nel mondo del lavoro non sono per definizione i meno
dotati o coloro che meno riusciranno nella vita, come dimostra
l'esperienza degli imprenditori del Veneto tradizionalmente
provenienti dai corsi di formazione professionale regionali. Al tempo
stesso, oggi appare anche superata la polemica sull'esigenza di
assicurare una solida cultura di base anche a coloro che scelgono la
formazione professionale; esigenza che ormai nessuno più disconosce.
La valorizzazione del lavoro e perciò della formazione professionale,
infine, contribuisce ad attenuare il grave fenomeno della mortalità
scolastica e al riguardo egli si dissocia dalle conclusioni del
senatore Cortiana circa i pericoli di una scuola troppo attenta al
mondo del lavoro e meno rivolta all'istruzione vera e propria. In una
Repubblica fondata sul lavoro, infatti, non c'è cittadinanza piena, né
integrazione nella società, senza inserimento e realizzazione nel
mondo del lavoro.
In conclusione, egli ritiene che il disegno di legge governativo sia
il primo passo di un processo riformatore che dovrà poi essere
implementato con l'adozione dei provvedimenti attuativi. Fin da ora,
tuttavia, si registrano numerose reazioni critiche, che dimostrano la
sensibilità delle categorie interessate soprattutto quando si
interviene sugli organici. Egli ricorda però come la riduzione della
spesa destinata all'istruzione e la sua riqualificazione rappresentino
una scelta non attribuibile al Governo in carica. I tagli al personale
della scuola erano stati decisi già nel corso della precedente
legislatura, sebbene quegli obiettivi non solo non siano stati
raggiunti, ma si sia ottenuto il risultato opposto a fronte di un
aumento del personale pari al 5,75 per cento.
Gli operatori della scuola, i quali debbono inevitabilmente
partecipare al processo riformatore, sono inoltre allarmati dalle
incertezze relative ai tempi e alle modalità della riforma stessa. In
proposito, l'oratore non si dichiara fiducioso sulla possibilità che
il Parlamento riesca a pronunciarsi in tempo per poter far entrare in
vigore il nuovo sistema sin dal prossimo anno scolastico ed auspica
pertanto una comunicazione tempestiva agli utenti e agli operatori
della scuola in relazione ai tempi che saranno realisticamente
necessari per l'approvazione della riforma e alle scelte riguardanti
gli organici, al fine di assicurare maggiore tranquillità sia
all'ambiente scolastico che al dibattito politico. (16.04.02)
Nel dibattito interviene il senatore BERLINGUER, il quale registra
anzitutto che il blocco della riforma avviata con la legge n. 30 del
2000 ha comportato un brusco arresto di significative innovazioni, fra
cui l'introduzione della lingua straniera nella scuola elementare, il
potenziamento dell'educazione fisica, alcune importanti novità
curricolari in campo matematico e scientifico, l'avvio dell'istruzione
e formazione tecnica superiore, la strutturazione dell'ultimo anno
dell'obbligo scolastico, il consolidamento dell'obbligo formativo a 18
anni, il rafforzamento dei centri di educazione per adulti. Non
condividendo il giudizio del Presidente-relatore Asciutti che,
nell'esposizione introduttiva (di cui invece egli apprezza
significativamente altri profili), aveva criticato la legge n. 30 per
aver livellato le basi culturali tradizionali, ritiene infatti che
l'azione riformatrice del centro-sinistra aveva avuto, nella scorsa
legislatura, proprio nella scuola uno dei campi di maggiore
espressione.
A fronte di tante innovazioni, il blocco voluto dal centro-destra
appare dunque segnato da un improvvido esprit de revanche, che
finisce peraltro per ricadere sulla scuola anziché sui responsabili
dell'innovazione e rende contemporaneamente assai difficile il
necessario approccio bipartisan. Sarebbe stato al contrario
assai più ragionevole operare di cesello, attraverso adeguamenti
anche in itinere, evitando comunque l'attuale paralisi.
E' vero, prosegue l'oratore, che il nuovo Titolo V della Costituzione
imponeva una revisione. E' discutibile tuttavia che il disegno di
legge del Governo contenga effettivamente le norme generali richieste
dal nuovo ordinamento costituzionale, oltre ad ogni considerazione
critica sull'opportunità di dare attuazione a norme costituzionali
attraverso il ricorso ad una delega legislativa. Né il disegno di
legge governativo pare rispondente all'impegno annunciato in campagna
elettorale di un forte coinvolgimento, sociale a maggior ragione
parlamentare, sui contenuti della riforma. Assai più proficuo sarebbe
stato svolgere un lavoro ricognitivo delle norme generali e dei
livelli essenziali già esistenti (autonomia scolastica, innalzamento
dell'obbligo, legge n. 30 e parità scolastica), onde poter
successivamente procedere ad una migliore definizione degli ambiti
oggetto di legislazione esclusiva, di quelli oggetto di legislazione
concorrente e conseguentemente individuare la sfera di potestà
regolamentare, sia statale che regionale. In tal senso, certo non
appare sufficiente l'articolo 6 del disegno di legge n. 1306.
Quanto poi ai contenuti, egli lamenta che la centralità della
continuità curricolare alla base della legge n. 30 (che pure avrebbe
potuto essere più coraggiosa sotto questo profilo), risulti ora del
tutto vanificata nel progetto del Governo. Con riferimento invece alla
scuola secondaria, sollecita una tempestiva discussione sulle
discipline e sui curricoli.
Egli si sofferma poi criticamente su alcuni aspetti specifici della
riforma, quali l'anticipo dell'età scolare a cinque anni e mezzo (che
giudica un compromesso fra opposte corporazioni e con riferimento al
quale invita ad un confronto ragionevole senza cedimenti sul piano
dell'innovazione), i piani di studio, l'attribuzione alle regioni di
competenza curricolare (in merito alla quale evidenzia i rischi di
incostituzionalità nel caso in cui non sia definitivamente approvato
il disegno di legge Bossi sulla devolution).
Lamenta altresì la confusione, operata nel disegno di legge
governativo, fra obbligo formativo e obbligo scolastico, deplorando
che quest'ultimo scompaia in favore del diritto all'istruzione. A
fronte di un processo comune a tutta l'Europa, di estensione della
scolarizzazione di base, appare infatti un vulnus sociale ed
etico, prima ancora che culturale, attenuare la pregnanza dell'obbligo
scolastico.
Né appaiono opportune le modifiche riferite al sistema di
valutazione, atteso che le innovazioni introdotte dal centro-sinistra
in questo campo avevano riportato l'Italia fra i paesi evoluti dopo
una lunghissima assenza.
Dichiarando di non voler entrare nel dettaglio delle questioni legate
ai docenti, egli si sofferma infine sugli aspetti finanziari del
provvedimento, criticando la scelta di rinviare ad un decreto
successivo il piano degli interventi finanziari. Ritiene infatti che
la copertura del provvedimento debba essere assicurata contestualmente
ad esso, pena l'incorrere nella violazione dell'articolo 81 della
Costituzione.
Conclude osservando come l'impresa legislativa cui il Governo chiama
il Parlamento sia profondamente rischiosa, tanto più in una
prospettiva assai incerta dal punto di vista finanziario, e
sostanzialmente determinata da un esprit de revanche i cui
effetti, una volta esaurito il furore iconoclasta, saranno pagati
dalla scuola italiana. Il senatore VALDITARA
prende atto che il Parlamento sia oggi chiamato a scegliere fra il
mantenimento in vigore della legge n. 30, varata dall'ex
maggioranza di centro-sinistra, e l'approvazione della riforma
proposta dal nuovo Governo. Premesso che contrasterebbe con i principi
democratici più elementari negare il diritto alla nuova maggioranza
di centro-destra di riformare la scuola appena riformata, atteso che
ciò era nel programma elettorale su cui ha raccolto il consenso
popolare, egli si interroga quindi sui nodi cruciali dell'ordinamento
scolastico attuale, nel quale rinviene punti di forza (la scuola
elementare, che è considerata fra le migliori d'Europa, e i licei, in
particolare classico e scientifico) e punti di debolezza (la scuola
media, la mancanza di un adeguato canale di istruzione e formazione
professionale, lo scarso rapporto fra scuola e mondo del lavoro,
l'inidoneità dei curricoli tecnico-professionali).
A tali problematiche, non dava tuttavia sufficiente risposta la
riforma Berlinguer. Essa sopprimeva infatti le scuole medie, che
rappresentano invece un passaggio indispensabile per la maturazione
degli alunni, con conseguente elementarizzazione del percorso
corrispondente e grave abbassamento delle basi culturali dei giovani.
Inoltre, essa sconvolgeva ed annullava nella sua identità la scuola
elementare. Lo stesso liceo risultava indebolito con il biennio comune
e dunque caratterizzato da una preparazione livellata verso il basso:
troppe erano infatti le possibilità di passaggio da un modulo
all'altro, secondo esigenze legate più all'orientamento che
all'approfondimento. Ancora, essa non prevedeva alcuna qualificazione
per coloro che avessero deciso di non continuare gli studi, la
formazione era vista come un percorso di serie B e la formazione in
azienda era limitata a brevi stage. Oltre a non approfondire i
collegamenti con l'università, la riforma Berlinguer incideva poi
pesantemente sugli organici, con una perdita di 70-80.000 posti di
lavoro. Infine, l'"onda anomala" avrebbe comportato
l'esigenza di massicci investimenti sull'edilizia scolastica, che la
riforma non prevedeva affatto, pretendendo al contrario di essere a
costo zero.
A tale riforma il centro-destra contrappone ora il progetto presentato
dal ministro Moratti che, sia pure configurato quale delega, appare
assai più dettagliato ed articolato di quanto non fosse la riforma
Berlinguer. Il ricorso alla delega operato dal disegno di legge n.
1306 ha del resto una sola funzione: graduare l'applicazione della
riforma nel tempo, considerato che essa ha costi finanziari rilevanti,
quantificati e previsti. Peraltro egli preannuncia fin d'ora la
presentazione di un ordine del giorno che impegni il Governo a
stanziare, nei prossimi cinque anni, risorse pari a 8-9,5 miliardi di
euro per la scuola italiana.
Egli si sofferma quindi sui punti qualificanti della riforma.
Innanzitutto, sottolinea la distinzione fra elementari e medie,
fortemente voluta da Alleanza Nazionale, che consente di salvaguardare
la tradizione delle elementari sia pure articolate in una forma atta a
rafforzare la preparazione del bambino. Anche la valutazione prevista
al termine della quinta elementare avrà caratteristiche analoghe
all'attuale esame.
Per la prima volta, si individua poi una funzione rivolta al futuro
per la scuola media, che diventa una piattaforma forte verso la scuola
secondaria di secondo livello. Nel rivendicare ad Alleanza Nazionale
questa innovazione rispetto all'impostazione originaria della
Commissione Bertagna, egli dichiara poi che, sotto il profilo dei
programmi, la sua parte politica si attende in particolare il
potenziamento dei contenuti logico-linguistici.
Quanto al doppio canale, egli registra che si tratta del modello che
ha dato migliori risultati all'estero ed era contenuto nel programma
elettorale del centro-destra. Non si tratta in alcun modo di un canale
di serie B, bensì di un pilastro del sistema della produzione, con
riferimento al quale Alleanza Nazionale giudica fondamentale
salvaguardare lo studio di materie culturalmente qualificanti come
italiano, matematica e storia. Egli sottolinea poi che il disegno di
legge non prevede un'istruzione professionale necessariamente
quadriennale: in tal caso, Alleanza Nazionale non avrebbe infatti dato
il suo assenso al provvedimento. Al contrario, l'articolato sancisce
un diritto alla formazione per almeno dodici anni e la possibilità di
accesso all'università per coloro che provengano da corsi di
istruzione professionale "almeno" quadriennali. Si tratta
del resto di un'intuizione di cui lo stesso ex ministro Berlinguer ha
riconosciuto la bontà e che era presente anche nel manifesto
elettorale dell'Ulivo, ancorchè poi non compiutamente realizzato. Nel
sottolinearne poi la rispondenza a logiche culturali conformi alla
visione cristiana, tesa a valorizzare la persona in relazione ai suoi
talenti, egli nega che possa avere effetti discriminatori, stanti le
molteplici possibilità di passaggio dal sistema della formazione a
quello dell'istruzione.
Con particolare riferimento all'alternanza scuola-lavoro, che Alleanza
Nazionale giudica essenziale, osserva che essa dovrà essere applicata
prevalentemente nei licei tecnologici, economici e professionali.
Anche in questo caso, si tratta di un'innovazione già presente nel
programma dell'Ulivo, nonostante ora sia oggetto di serrata critica da
parte della CGIL e della Sinistra in generale, specificatamente per la
previsione di incentivi alle imprese. E' evidente peraltro che
dovranno essere realizzati accordi tra direzioni generali scolastiche
e associazioni imprenditoriali e dovranno essere previste sanzioni per
evitare usi distorti di tale strumento.
Egli rivendica poi ad Alleanza Nazionale la scelta di mantenere
quinquennale la durata dei licei, con un quinto anno destinato a
completare il percorso disciplinare nonché ad approfondire le
conoscenze richieste per l'accesso all'università.
Giudica altresì positivamente le valutazioni biennali, che
rappresentano un passo avanti rispetto al sistema dei debiti infiniti
e possono incentivare la responsabilizzazione degli studenti.
Preannuncia peraltro un ordine del giorno di Alleanza Nazionale che
impegni il Governo a valutare, in sede di verifica triennale della
riforma, gli effetti concreti di questa innovazione.
Soffermandosi indi sull'anticipo scolastico, il senatore Valditara
osserva che esso si configura come una possibilità lasciata alla
discrezione delle famiglie e finalizzata a garantire ai bimbi precoci
di non perdere un anno. Alleanza Nazionale, pur non avendola proposta,
ha dato e mantiene pertanto il suo assenso a questa innovazione che,
come dimostrato del presidente relatore Asciutti nella sua esposizione
introduttiva, è comune del resto a molti paesi europei. Né va
dimenticato che fu proprio il centro-sinistra a proporre inizialmente
un anticipo dell'età scolare. Esso dimostra d'altro canto che la
riforma Moratti non regala nulla alle scuole private, togliendo anzi a
queste ultime il monopolio delle "primine".
La riforma del Governo risolve poi, una volta per tutte, il problema
decisivo del reclutamento degli insegnanti, che potrà essere
maggiormente selettivo, garantirà una formazione più approfondita e
consentirà, grazie al numero programmato, di adeguare la domanda con
l'offerta. Per quanto riguarda il percorso universitario dei docenti,
Alleanza Nazionale ritiene che esso non possa prescindere da una
riforma del 3+2 ed auspica conseguentemente un diverso modulo (4+2).
La sua parte politica considera altresì indispensabile che le scuole
di specializzazione non si caratterizzino per la prevalenza di
contenuti pedagogici ma costituiscano prioritariamente una sede di
approfondimento disciplinare. Ritiene altresì doveroso, prima che il
nuovo sistema vada a regime, procedere ad un'equa sistemazione degli
attuali docenti precari.
Egli sottolinea infine con favore la reintroduzione del voto di
condotta, giudicando fondamentale l'etica dei doveri per la
costruzione di una società equilibrata ed una cittadinanza matura e
responsabile.
Avviandosi alla conclusione, il senatore Valditara valuta il progetto
governativo pienamente compatibile con il nuovo articolo 117 della
Costituzione. Dichiara tuttavia che per Alleanza Nazionale i curricoli
e i programmi sono importanti quanto il federalismo per la Lega e
registra che nel Paese sta crescendo la richiesta di una rinnovata
attenzione per tutta la storia culturale italiana e la nostra identità
nazionale.
Poste a confronto, le riforme Berlinguer e Moratti sono dunque
entrambe legittime ma profondamente diverse l'una dall'altra: la
prima, come del resto la riforma universitaria del 3+2, consegue ad un
impianto ideologico egualitalista e massificatore, volto ad appiattire
i livelli di preparazione dei giovani verso il basso; la seconda è
volta invece a valorizzare la persona, i suoi talenti, le sue
potenzialità. Preannuncia conseguentemente un sostegno convinto e
leale al progetto del Governo. Il senatore
MONTICONE, premesso di intervenire scevro da qualunque condizionamento
legato a schieramenti politici, osserva anzitutto che il progetto del
Governo non offre ragioni convincenti per una delega così ampia,
prevalentemente rivolta ad aspetti organizzativi. Nel sottolineare lo
stretto collegamento fra mutamenti profondi della società civile e
riforme scolastiche, evidenziato del resto anche dal presidente
relatore Asciutti nella sua esposizione introduttiva, deplora che il
disegno di legge n. 1306 non si ponga un orizzonte nuovo, né si cali
in un'idea attuale dell'Italia, nel contesto europeo e mondiale.
La Commissione Bertagna aveva svolto un lavoro apprezzabile sul piano
tecnico, offrendo alcune indicazioni prospettiche interessanti. La
traduzione politica di tali spunti nel disegno di legge n. 1306 non è
tuttavia all'altezza dei fondamenti culturali richiesti, trascurando
totalmente di calarsi nella storia del proprio tempo e di svolgere il
suo ruolo di raccordo con la società.
Al contrario, sarebbe stato necessario uno stretto legame con i più
significativi mutamenti dell'ultimo ventennio: rivoluzione tecnologica
e comunicativa, orizzonte mondialistico dei diritti umani e
globalizzazione.
La riforma del ministro Moratti sembra così approntata dagli adulti
per i ragazzi rispettando la loro originalità, ma sostanzialmente
incapace di storicizzare la formazione della persona in termini di
cittadinanza, secondo i valori della Costituzione italiana e i
fondamenti di quella europea.
Quanto ai contenuti, è senz'altro per il tramite degli insegnanti che
essi saranno veicolati e in tal senso è indubbiamente opportuno
l'impegno per la loro formazione. E' tuttavia altrettanto fondamentale
l'acquisizione sui testi ed in tal senso il progetto del Governo
appare particolarmente carente.
Egli si sofferma indi sui rapporti tra contenuti offerti e soggettività
dell'alunno, interrogandosi su quale parte abbia la sperimentazione
nel progetto governativo. Non ritiene infatti che l'alternanza
scuola-lavoro sia sufficiente, atteso che la soggettività dell'alunno
deve essere correlata – a suo giudizio – con la sperimentazione in
tutto il percorso formativo. Invita poi a riscoprire il senso della
comunità scolastica, nel contesto dell'autonomia, dando fin d'ora un
indirizzo chiaro non delegabile a decreti successivi.
In assenza dei chiarimenti di fondo suesposti, egli individua infine
due punti di maggiore criticità nel progetto avanzato dal ministro
Moratti: anzitutto, l'anticipazione della scelta fra i due canali
formativi a 14 anni (neanche sempre compiuti); in secondo luogo,
l'anticipo dell'età scolare, sia pure in termini di mera possibilità.
Con riferimento al primo aspetto, non ritiene sufficienti le
possibilità di passaggio fra i due percorsi, atteso che la precoce
canalizzazione non rispetta la soggettività dei ragazzi e rischia di
non corrispondere alla loro originalità. Con riferimento al secondo,
ritiene che disparità di crescita possano essere consentite solo in
casi eccezionali e non di norma.
Conclusivamente, pur dichiarandosi non pregiudizialmente contrario
alla riforma proposta dal Governo, esprime un giudizio severamente
critico sul suo impianto culturale e politico. (17.04.02)
Nel dibattito interviene la senatrice ACCIARINI, la quale ricorda
anzitutto come il ministro Moratti, nelle sue dichiarazioni
programmatiche, avesse sottolineato l'assenza di ogni intento
persecutorio nel blocco della legge n. 30, disposto invece dal nuovo
Governo nella prospettiva di coinvolgere tutti gli operatori
interessati. Tale obiettivo appare tuttavia miseramente fallito, come
dimostra anche l'esperienza degli Stati generali dell'istruzione. La
stessa scelta di operare attraverso il ricorso ad una amplissima
delega legislativa, che abroga peraltro una legge quadro
democraticamente votata dal Parlamento, nega l'intento di
coinvolgimento e dimostra al tempo stesso l'arroganza e la debolezza
del nuovo Governo nei confronti delle tematiche della scuola. Lo
stesso Consiglio nazionale della pubblica istruzione ha del resto
espresso un parere fortemente critico sul provvedimento, con una
schiacciante maggioranza di voti.
Con riferimento al piano programmatico di interventi finanziari, cui
è rinviata la realizzazione delle finalità della legge, ella osserva
poi che esso rende aleatorio se non addirittura improbabile il
reperimento delle risorse finanziarie necessarie, in quanto soggetto a
potenziali rimodulazioni ad opera delle leggi finanziarie annuali. Né
appare valido il metodo di calcolo adottato per i costi connessi
all'anticipo dell'età scolare, in quanto essi dovrebbero essere
commisurati all'intero gruppo demografico potenzialmente interessato
dall'innovazione.
La senatrice Acciarini si sofferma poi sul silenzio, giudicato
preoccupante, relativo alle norme sull'obbligo scolastico. A fronte
della disciplina attualmente vigente, assai chiara, il disegno di
legge del Governo prevede infatti una gradualità di applicazione del
diritto-dovere all'istruzione e formazione, rimessa ai decreti
legislativi. Si tratta di un grave abbaglio, che perde di vista il
carattere costituzionale dell'obbligo scolastico e che del tutto
inopinatamente lega la gradualità dell'applicazione al reperimento di
adeguate risorse. La stessa durata variabile del percorso formativo
(dodici anni nel caso dell'istruzione professionale quadriennale, che
scendono tuttavia ad undici nel caso del conseguimento di una
qualifica professionale triennale ma risalgono a tredici nel caso
dell'istruzione liceale quinquennale) appare fortemente discutibile.
Il progetto del Governo restaura inoltre un'antica dicotomia fra chi
prosegue negli studi e chi è costretto ad interromperli per dedicarsi
ad attività di carattere esecutivo, compiendo un vistoso passo
indietro rispetto ad elementi di riforma ordinamentale, realizzati
anche attraverso atti di natura secondaria, che – grazie all'impegno
delle forze democratiche contro la discriminazione sociale ma anche al
senso di responsabilità del mondo industriale – ne avevano nel
tempo significativamente ridotto i margini.
L'opzione precoce fra due canali formativi fortemente distinti fra
loro oscura invece il ruolo integrativo della formazione professionale
rispetto all'istruzione. In tal senso, la scelta del Governo appare
socialmente discriminatoria tanto quanto l'intenzione di rivedere
l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, minando in modo assai
simile le basi del tessuto sociale nazionale.
La stessa articolazione dell'istruzione liceale in due bienni seguiti
da un anno conclusivo, rompendo la tradizionale articolazione di un
biennio seguito da un triennio, sembra confermare che l'anno finale
sia sostanzialmente un anno integrativo per chi proviene dalla
formazione professionale e quindi nient'affatto fondante per la
preparazione agli studi universitari.
Ella sottolinea quindi conclusivamente i gravi effetti di
disarticolazione del sistema di istruzione inevitabilmente conseguenti
al progetto del Governo, dando voce ai timori provenienti dagli
istituti professionali che, ricorda, la legge Berlinguer prevedeva
entrassero a far parte del sistema dei licei. Il
senatore BEVILACQUA nega che la riforma governativa sia stata varata
senza tener conto del contributo della società civile, ricordando che
il relativo dibattito è ormai in corso da oltre sei mesi, durante i
quali il Ministro ha incontrato numerosissimi esponenti dei diversi
settori interessati.
Il disegno di legge n. 1306 arriva del resto in Parlamento
nient'affatto blindato, a differenza della legge Berlinguer alla quale
il Senato non poté apportare alcuna modifica rispetto al testo varato
dalla Camera, subendo così un esproprio delle proprie funzioni assai
maggiore di quello oggi lamentato.
Se i decreti attuativi della legge Berlinguer non sono stati
approntati in tempo, prima della fine della legislatura, ed il
centro-destra – che aveva sempre osteggiato la riforma nel corso
dell'esame parlamentare – ha fatto del loro ritiro uno dei punti
qualificanti del suo programma elettorale, raccogliendo un ampio
consenso popolare, ciò non appare certo contrario ai principi
democratici; non esime peraltro la maggioranza dall'esprimere alcuni
dubbi sul testo.
Anzitutto, egli chiede dunque chiarimenti in ordine alla necessità,
prefigurata nella relazione introduttiva, di vincolare
contrattualmente i docenti alla permanenza nella stessa sede per i
bienni, quale parametro di continuità didattica: teme infatti che
tale scelta possa vincolare i docenti in eterno presso la medesima
sede.
Osserva poi che l'affermazione di un diritto-dovere di istruzione di
dodici anni non pone in discussione la vigenza della legge n. 9 del
1999 sull'obbligo scolastico decennale. Chiede tuttavia precisazioni
sulla sorte di quei ragazzi che non conseguissero una qualifica
nell'arco dei dodici anni.
Quanto all'articolazione del percorso formativo in un canale liceale
ed in un altro dedicato all'istruzione e formazione professionale, si
dichiara d'accordo in linea di principio. Si interroga tuttavia sulla
effettiva flessibilità fra i due canali, soprattutto negli ultimi
anni. Invita pertanto il Governo a valutare la possibilità di
limitare i momenti di passaggio al primo biennio.
Ritiene poi che la durata quadriennale dell'istruzione professionale,
comprimibile peraltro a tre anni ai fini della qualifica, rischi di
confermarne il carattere dequalificato. Suggerisce pertanto
un'articolazione quinquennale, ovvero il suo trasferimento tout
court nel sistema liceale.
Dopo aver convenuto sulle innovazioni relative alla valutazione del
sistema scolastico, egli si sofferma quindi sulla formazione
universitaria degli insegnanti, sottolineandone le difficoltà
applicative. Paventa inoltre che tale aggravio del percorso formativo,
se disgiunto da un significativo riordino dello stato giuridico della
docenza, finisca per disincentivare le giovani generazioni
dall'intraprendere detta professione soprattutto con riferimento alla
scuola materna ed elementare, a fronte di alternative ben più brevi e
remunerative. Si augura comunque che non vengano ripetute esperienze
negative quali i corsi di formazione per gli insegnanti, troppo spesso
gestiti in passato dalle organizzazioni sindacali per finalità
nient'affatto corrispondenti agli obiettivi prefissi.
Nega infine che l'anno finale dell'istruzione liceale sia da
intendersi come anno integrativo, al quale sarebbe egli stesso
contrario. Il senatore TOGNI ritiene che il
compito primario della scuola debba essere la trasmissione dei valori,
culturali, nazionali, familiari. Il disegno di legge del Governo ha
tuttavia palesato una certa confusione e la sostanziale spaccatura
dell'Italia fra due opposte concezioni di riforma scolastica. Esso
testimonia del resto, a suo giudizio, la difficoltà del centro-destra
a misurarsi con un interlocutore di opposizione assai agguerrito e
fornito di ottimi argomenti, conseguenti ad approfondite riflessioni
svolte nel tempo con successo.
La legge n. 30, voluta dall'ex ministro Berlinguer, aveva infatti
senz'altro molti lati positivi, che adesso appare difficile voler
modificare ad ogni costo. Ciò, indipendentemente da raffronti con
altre esperienze europee, non sempre pertinenti, stante la forte
tradizione culturale italiana che a suo avviso deve essere
salvaguardata in quanto tale.
Egli mette quindi in luce alcuni profili critici del progetto Moratti:
la riduzione dell'insegnamento a 25 ore settimanali, con evidente
impoverimento dell'apprendimento dei ragazzi; l'abolizione di alcune
discipline, che non favorisce lo sviluppo globale di tutti i
linguaggi; la distinzione fra istruzione liceale e istruzione e
formazione professionale, cui sarebbe preferibile un quadriennio
unico, seguito da un anno integrativo per l'accesso all'università.
Egli ritiene altresì che il disegno di legge n. 1306 non offra
effettive pari opportunità a tutti gli studenti e si disperda
eccessivamente nella disciplina di dettagli organizzativi perdendo di
vista la sostanza dei contenuti, nonché l'esigenza di assicurare
pluralità, creatività e motivazione così all'insegnamento come
all'apprendimento.
Prende conclusivamente atto delle due visioni programmatiche a
confronto, di cui l'una a suo giudizio più valida contenutisticamente
e l'altra volta unicamente ad escogitare un terreno di modifica, e si
augura che le correzioni che il centro-destra si appresta ad
introdurre nell'ordinamento scolastico vigente non siano così
squassanti da farne vacillare l'impianto. La
senatrice SOLIANI accoglie l'invito al confronto sul presente e il
futuro della scuola italiana cui il Parlamento è chiamato, in un
tempo peraltro a suo giudizio troppo breve.
Ella sottolinea anzitutto i passaggi fondamentali che dovranno
caratterizzare la futura società italiana: coesione nazionale (di cui
il sistema di istruzione rappresenta un pilastro), cittadinanza
attiva, dinamismo e competizione, patto fra istituzioni, società ed
economia affinché l'Italia svolga il suo ruolo nel contesto mondiale.
In tal senso, l'istruzione e la formazione sono l'infrastruttura
decisiva del Paese, nei confronti della quale il progetto del Governo
sembra tuttavia intervenire con aggiustamenti di piccolo cabotaggio
anziché con una iniziativa di ampio respiro. Ciò testimonia, a suo
avviso, il ruolo residuale che la scuola riveste a fini di cambiamento
nell'ottica di centro-destra, sì da non meritare neanche
l'approntamento di adeguati investimenti. Al contrario, ella ritiene
che la riforma scolastica metta in gioco i diritti sociali e civili
dei cittadini.
E' ben vero che la riforma del Titolo V della Costituzione impone un
intervento di adeguamento dell'ordinamento scolastico; il disegno di
legge n. 1306 non si pone tuttavia affatto in quest'ottica, bensì in
quella di sostituire di per sé la legge n. 30. Esso non ridetermina
infatti i ruoli fra Repubblica e sistema di istruzione, così come fra
istituzioni scolastiche, regioni, enti locali e società civile,
evitando di dare risposte precise in assenza di una chiara indicazione
programmatica. Né esso risponde ad una nuova, forte domanda
proveniente dalla società civile e relativa alla costruzione della
cittadinanza. In linea con una visione mercantilistica della società,
esso prevede infatti una rigida separazione fra il canale
dell'istruzione liceale e quello dell'istruzione e formazione
professionale, tralasciando l'impegno a non perdere alcun soggetto nel
percorso formativo.
La senatrice Soliani si sofferma quindi sugli aspetti di maggior
debolezza del provvedimento governativo, in termini di autonomia:
risulta infatti cancellato il curricolo delle istituzioni scolastiche
autonome, inopinatamente sostituito dai piani di studio, così come
viene dimenticato l'obiettivo di un'autonomia del sistema scolastico
dentro il Paese, che dialoghi ma non dipenda da altre strutture.
Ella lamenta poi che il disegno di legge non garantisca in modo
sufficientemente chiaro l'indirizzo di unità nazionale, su valori
condivisi, nella cornice europea, ponendo scarsa attenzione al forte
dibattito culturale in corso sull'argomento presso le istituzioni
scolastiche.
Quanto all'accesso anticipato al percorso formativo, ella giudica
negativamente la conseguente precarizzazione, che mette in difficoltà
le famiglie e si connette a suo giudizio ad un altrettanto precario
accesso al mondo del lavoro. Osserva altresì che esso rischia di
attribuire un ruolo assistenziale alla scuola dell'infanzia.
Dopo essersi soffermata sulla tematica dell'obbligo scolastico,
rammentandone i termini costituzionali e materiali, ella afferma con
decisione che le logiche di mercato non possono rappresentare il perno
della politica scolastica, la quale deve essere invece in stretta
sintonia con la società civile. Contesta al riguardo l'ipotesi
prefigurata dal senatore Valditara di accordi fra direzioni
scolastiche ed imprese per la regolamentazione dell'alternanza
scuola-lavoro, in quanto incuranti della centralità delle istituzioni
scolastiche.
Nel deplorare lo svilimento del ruolo rivestito dall'istruzione nella
costruzione della vita sociale del Paese nell'ottica di centro-destra,
ella critica poi la scelta di anticipare l'opzione fra prosecuzione
degli studi e istruzione e formazione professionale, che contrasta con
l'obiettivo di coniugare il percorso intellettuale e la cultura del
lavoro.
Il disegno di legge del Governo modifica altresì, prosegue la
senatrice Soliani, le relazioni fra docenti e studenti, in una visione
frammentaria del processo formativo.
Del tutto insufficiente appare infine l'approccio per la formazione
dei docenti, cui la società moderna chiede una visione integrata e di
prospettiva. La riforma perde pertanto l'occasione di fare un salto di
qualità su questo piano, corrispondendo ad una crescente domanda di
educazione e formazione, di visione prospettica, di competitività, e
cancella quella visione unitaria che aveva invece caratterizzato la
stagione del centro-sinistra. Il senatore
DELOGU nega che il ricorso alla delega legislativa espropri il
Parlamento del suo ruolo istituzionale, come dimostrato dall'ampio
dibattito in corso. Né peraltro l'opposizione pare sempre rispettare
le decisioni assunte in sede parlamentare, promuovendo contro di esse
scioperi e girotondi.
Quanto ai contenuti del disegno di legge n. 1306, egli ne apprezza
anzitutto la centralità assicurata agli studenti. Né può del resto
ipotizzarsi che la legge costituzionale n. 3 dello scorso anno, di
riforma del Titolo V della Costituzione, possa condurre ad effetti
devastanti quali un diverso valore dei titoli di studio conseguiti
nelle diverse regioni. Correttamente pertanto il progetto governativo
fissa parametri validi su tutto il territorio nazionale, assicurando
ai piani di studio nuclei omogenei.
Si sofferma quindi sulla separazione fra istruzione liceale e
istruzione e formazione professionale, convenendo al riguardo con le
osservazioni del senatore Bevilacqua in ordine alle difficoltà di una
effettiva fluidità fra i due canali. Sollecita pertanto una
riflessione sull'opportunità di assicurare reali possibilità di
passaggio fra un canale e l'altro. La
senatrice MANIERI dichiara di condividere in linea di principio
l'intento di riformare il sistema dell'istruzione del Paese. Nega
tuttavia che il disegno di legge Moratti possa considerarsi il primo
progetto di ampio respiro dopo la riforma Gentile. La stessa
esposizione introduttiva del presidente relatore Asciutti ha del resto
messo in evidenza gli stretti legami storici fra crescita demografica
e istruzione di massa, fra sviluppo economico e ampliamento dei
diritti dei cittadini, fra cui in primo luogo quello all'istruzione.
La prima riforma di sistema dell'Italia repubblicana si ebbe pertanto,
a suo giudizio, nel 1962 allorché il primo Governo di centro-sinistra
varò la scuola media unificata, l'innalzamento dell'obbligo
scolastico a 14 anni e l'abolizione dell'avviamento professionale.
Oltre alla liberalizzazione degli accessi universitari disposta dalla
legge Codignola sull'onda della contestazione studentesca, la seconda
riforma di sistema fu poi quella dell'autonomia varata dal Governo
dell'Ulivo nella scorsa legislatura.
Ciò dimostra inequivocabilmente come l'istruzione rappresenti un
elemento essenziale del processo di modernizzazione e di lotta alla
diseguaglianza sociale.
La politica scolastica italiana è peraltro costellata anche di
fallimenti, dal riordino della scuola secondaria superiore (che
avrebbe dovuto seguire la scuola media unica) alla riforma in senso
autonomistico dello Stato (che avrebbe dovuto seguire l'autonomia
scolastica). Le ragioni del fallimento non risiedono tuttavia in un deficit
di informazione e consultazione, bensì in un eccesso di
contrapposizione ideologica e nell'incapacità di risolvere il nodo
della formazione professionale, oltre che nel peso rivestito dalla
Chiesa cattolica.
Sembrava dunque che, superata l'impostazione gentiliana e tramontata
la cultura tardo-comunista a favore di una scuola unica per tutti, la
società italiana fosse pronta per una riforma ragionevole, non
ideologica, in linea con l'integrazione europea.
Il disegno di legge n. 1306 testimonia invece il contrario e la
senatrice Manieri muove pertanto obiezioni di metodo e di merito nei
suoi confronti, lamentando l'immaturità politica del Governo nel non
prestare ascolto ai movimenti di piazza.
Nel sottolineare l'irresponsabilità del Governo nel non dare
attuazione ad una legge vigente, formalmente non ancora abrogata, ella
ritiene del resto che il progetto governativo, viziato di totalismo
riformatore, contenga già in sé il germe del suo fallimento, anche
per le difficoltà che inevitabilmente incontrerà nel percorso
parlamentare, con particolare riferimento al parere che su di esso
dovrà esprimere la Commissione parlamentare per le questioni
regionali nella composizione integrata prevista dall'articolo 11 della
legge costituzionale n. 3 dello scorso anno.
Quanto ai contenuti del provvedimento, ella critica che la riforma
riapra un dibattito che per anni ha ostacolato qualunque riforma:
quello sulla distinzione tra istruzione liceale e istruzione e
formazione professionale. Al riguardo, il centro-sinistra aveva
raggiunto una larga convergenza nel Paese e fra le forze politiche
consegnando alla scuola la titolarità del diritto all'istruzione fino
al quindicesimo anno di età. Ora invece l'obbligo scolastico
trascolora in un obbligo formativo di durata peraltro variabile
(dodici, undici o tredici anni), che contrasta con il concetto stesso
di obbligo.
Se peraltro si conviene che la formazione professionale sia un sapere
forte e non residuale, come era nella concezione gentiliana, non si può
prescindere dalla constatazione delle differenze territoriali che
caratterizzano il Paese. Occorre dunque che lo Stato si impegni a
garantire un sistema dignitoso ed omogeneo prima di consegnare
l'istruzione e formazione professionale alle regioni.
Conclude confermando le forti perplessità sul provvedimento che, a
suo giudizio, introduce gravi disparità e rischia comunque di essere
fallimentare. (07.05.02) La senatrice
Vittoria FRANCO riconosce che il disegno di legge governativo si
ispira ad alcuni principi condivisibili, con i quali tuttavia si
pongono in contrasto sia alcuni passaggi della medesima proposta
legislativa, sia altre misure adottate dal Governo in relazione al
comparto dell'istruzione; fra queste ultime ella cita in particolare
la riduzione delle risorse complessive destinate alla scuola e degli
organici funzionali, scelte che avranno una incidenza negativa sulle
possibilità di realizzazione del tempo pieno. Rilievi critici nei
confronti del provvedimento, del resto, sono stati avanzati dallo
stesso Consiglio nazionale della pubblica istruzione, il cui parere
invita il Presidente ad acquisire.
Nel merito del disegno di legge n. 1306, si sofferma sulle
problematiche concernenti la scuola dell'infanzia, momento cruciale
per la crescita del bambino e passaggio indispensabile per lo sviluppo
della personalità. Nonostante questo segmento del sistema formativo
sia fra i migliori del percorso scolastico italiano e sia considerato
all'avanguardia anche a livello internazionale, e nonostante le
scansioni cronologiche per l'asilo nido e per la scuola dell'infanzia
(da zero a tre anni e da tre a sei anni) siano ormai sperimentate e
consolidate, il Governo propone l'ingresso anticipato alla stessa
scuola dell'infanzia, sollevando su questo punto le critiche del
Consiglio nazionale della pubblica istruzione e delle associazioni dei
genitori, proprio quest'oggi audite dall'Ufficio di Presidenza della
Commissione. L'anticipo infatti non sembra motivato da un diverso
disegno pedagogico, bensì appare come il frutto di una scelta
improvvisata che finisce per stravolgere un modello educativo fino ad
oggi molto apprezzato. E in proposito risulta ulteriormente
peggiorativo il fatto che la scelta relativa all'anticipo venga
rimessa alle famiglie, in quanto vi sono seri dubbi che queste ultime
siano realmente in grado di assumere da sole tale decisione.
L'anticipato ingresso alla scuola dell'infanzia, inoltre, incide sul
servizio offerto ai bambini da zero a tre anni, dal momento che si
passa dal rapporto di un insegnante ogni otto bambini previsto per gli
asili nido al rapporto di un insegnante ogni ventotto bambini che
caratterizza la scuola materna. Infine, l'aspetto discriminatorio e
casuale che sembra contrassegnare questa previsione di anticipo
risulta vieppiù rafforzato dalla disposizione introdotta al comma 4
dell'articolo 7, che condiziona l'anticipata iscrizione alla
disponibilità dei posti e delle risorse finanziarie dei comuni, nel
rispetto dei limiti posti alla finanza comunale dal patto di stabilità,
in questo modo pregiudicando ulteriormente l'adempimento del dovere
che incombe sullo Stato di garantire una effettiva uguaglianza delle
opportunità offerte al percorso formativo di ciascun cittadino.
Lo spirito della Costituzione viene peraltro stravolto anche dalla
concezione dell'obbligo scolastico come promanazione dell'autorità
statale, che andrebbe pertanto rimosso in favore del diritto
all'istruzione. In realtà, il principio dell'obbligo scolastico ha il
fine di richiamare lo Stato al suo dovere di garantire il rispetto del
diritto all'istruzione anche nei confronti di coloro che altrimenti vi
si sottrarrebbero. Tanto meno appare chiaro il significato sotteso
alla proclamata esigenza di un passaggio da una scuola di Stato ad una
scuola della società civile, che fa presagire la criticabile
intenzione di indurre lo Stato stesso ad abdicare dai propri compiti
nel campo del servizio dell'istruzione.
Quanto al profilo della formazione, concordemente con l'obiettivo
condiviso da tutti i Paesi dell'Unione europea di un elevamento
culturale dei propri cittadini, ella richiama l'esigenza che la scuola
formi gli individui nel contesto di una realtà mondiale in continuo
mutamento, che richiede pertanto l'acquisizione di nuovi saperi e la
conoscenza di nuove tecnologie. Non si tratta quindi di consentire
semplicemente la formazione professionale, bensì di radicare la
capacità di apprendimento e formazione lungo tutto l'arco della vita,
anche in connessione con un nuovo modello di lavoro. Al riguardo,
sarebbe perniciosa la reintroduzione delle gerarchie sociali, che
inevitabilmente deriverebbe da una specializzazione nel canale
dell'istruzione o della formazione professionale imposta già in
precoce età adolescenziale. Si dovrebbe invece perseguire l'obiettivo
di un miglioramento del sistema complessivo dell'istruzione e della
formazione professionale, così da consentire la realizzazione dei
progetti di vita di ciascuno.
In considerazione infine delle dichiarazioni rilasciate da esponenti
del Governo circa la disponibilità ad introdurre eventuali correttivi
al provvedimento in esame, ella si augura che il confronto fra le
parti politiche possa effettivamente realizzarsi allo scopo di
migliorare alcuni aspetti rilevanti della riforma scolastica proposta
dell'Esecutivo. La senatrice BIANCONI ritiene
che il processo riformatore rappresenti un utile occasione per
riconsiderare le ragioni di fondo su cui deve basarsi il sistema
dell'istruzione. Da questo punto di vista, il vero nodo da sciogliere,
a suo avviso, è rappresentato dagli insegnanti, non solo sotto il
profilo della loro preparazione, ma anche relativamente alla loro
tradizione culturale e alla loro capacità di fornire
un'interpretazione e un significato alle nozioni che essi impartiscono
agli studenti. Ella delinea quindi le caratteristiche che dovrebbero
contraddistinguere i docenti nell'ottica di un sistema di istruzione
che sia al servizio della società nel suo complesso e possa
assicurare un percorso formativo equilibrato fra i vari aspetti del
sapere.
Esprime quindi apprezzamento per l'impostazione riformatrice prescelta
dal Governo, che in modo innovativo parte dai principi generali per
procedere poi a una razionalizzazione della disciplina normativa
concernente la scuola attraverso la proposta di adozione di una legge
quadro che risulti chiara e comprensibile. Sottolinea inoltre
positivamente il ruolo che nel futuro sistema di istruzione viene
attribuito allo Stato, così da garantire l'omogeneità
dell'ordinamento scolastico su tutto il territorio nazionale.
Richiamando poi alcuni punti del provvedimento d'iniziativa
governativa che considera particolarmente salienti, ella si sofferma
sulla scelta di caratterizzare il cambiamento in atto in senso
graduale, in modo da non delineare una trasformazione rivoluzionaria,
bensì un processo appunto graduale e non definitivo che consenta
aggiustamenti in corso d'opera, ed esalta il ruolo attivo assegnato a
tutti i soggetti interessati al mondo della scuola nella definizione
dei percorsi formativi.
Dopo aver valutato favorevolmente il nuovo esame di Stato che il
Governo intende introdurre, ella evidenzia la pari dignità che
finalmente viene conferita alla formazione tecnico-professionale
rispetto al sistema dei licei, colmando così una disparità che
l'Italia scontava rispetto agli altri Paesi europei. I centri di
formazione professionale, del resto, rappresentato il portato di una
straordinaria esperienza, finora tuttavia penalizzata nella fase di
distribuzione delle risorse. Sollecita pertanto il Governo a prestare
la giusta attenzione al settore della formazione professionale, anche
in previsione del venir meno del sostegno finora assicurato dal Fondo
sociale europeo.
L'alternanza scuola-lavoro, la certezza dei necessari finanziamenti,
la flessibilità fra i canali dell'istruzione e della formazione
professionale, nonché la formazione specifica e il tirocinio
garantito a tutti gli insegnanti rappresentano gli altri profili del
provvedimento particolarmente meritevoli di considerazione. Da essi si
evince peraltro la complessità di un disegno riformatore che esige
pertanto il ricorso alla delega legislativa. La proposta governativa
del resto non configura affatto una richiesta di delega in bianco,
indicando al contrario i criteri che debbono caratterizzare il sistema
dell'istruzione e tenendo conto della compresenza di aspetti diversi
fra loro e dell'esigenza di un'attuazione graduale della riforma. In
altri termini, si tratta di un progetto di grande respiro, che ella si
augura possa davvero prendere avvio sin dal prossimo anno scolastico. Il
senatore D'ANDREA dichiara che il Gruppo Margherita – DL – L'Ulivo
non si riconosce nello schema tracciato dal professor Bertagna,
secondo il quale gli oppositori al progetto governativo si
suddividerebbero fra coloro che non ritengono necessaria alcuna
riforma della scuola e coloro che considerano intangibile
l'ordinamento delineato dall'ex ministro Berlinguer. Infatti,
il suo Gruppo si schiera con coloro che riconoscono l'esigenza di una
riforma del sistema di istruzione, tant'è che ha sostenuto con
convinzione il processo riformatore avviato dall'allora Governo
dell'Ulivo, ma nel contempo riconosce che l'impostazione
berlingueriana richiede inevitabilmente delle modifiche, soprattutto
alla luce della nuova formulazione del Titolo V della Costituzione.
Giudica pertanto assai criticabile la decisione del nuovo Esecutivo di
bloccare la riforma dei cicli scolastici avviata nel corso della XIII
legislatura, non formulando un'adeguata risposta nei confronti dei
rilievi eccepiti dalla Corte dei conti in merito agli schemi di
regolamento che predisponevano i nuovi curricoli, né elaborando dei
provvedimenti alternativi. Non appare infatti corretto dal punto di
vista istituzionale non adempiere a quanto previsto da una legge non
ancora abrogata, né modificata.
Egli non pone in causa il diritto di una nuova maggioranza politica di
apportare innovazioni a una disciplina normativa introdotta da un
Governo precedente, ma per perseguire tale finalità non si deve
adottare un metodo che alteri il rapporto tra disposizioni legislative
e obblighi amministrativi conseguenti. D'altra parte, di questo tipo
di scorrettezza istituzionale si era già avuta una anticipazione
all'epoca del primo Governo Berlusconi, che non diede seguito alla
delega legislativa in materia di autonomia scolastica. Chiede inoltre
chiarimenti al Governo in merito ad alcune anticipazioni
giornalistiche che lasciano supporre un intendimento
controriformistico dell'Esecutivo anche nel campo degli ordinamenti
didattici universitari, in contrasto con le dichiarazioni
programmatiche rese dallo stesso Ministro dinanzi alla Commissione.
Nel disegno di legge n. 1306 del resto non si coglie affatto
un'impostazione di ampio respiro e in ogni caso i profili della legge
n. 30 del 2000 che pure avrebbero richiesto un intervento riformatore
vengono nuovamente disciplinati in senso peggiorativo. Dopo aver
rapidamente enumerato i punti maggiormente criticabili del
provvedimento, egli ribadisce quindi che sarebbe stato più saggio
dare corso alla riforma dei cicli scolastici introdotta nella XIII
legislatura per poi correggerla in corso d'opera, risparmiando così
incertezze e dubbi a tutti i soggetti interessati al settore
scolastico, anche in considerazione del fatto che sembra poco
credibile l'introduzione del nuovo sistema sin dal prossimo anno
scolastico. Il Governo ha invece preferito investire con una critica
globale l'intera riforma delineata dall'allora Governo dell'Ulivo,
travolgendo così anche gli aspetti ormai assimilati dal sistema.
Soffermandosi poi su alcune specifiche disposizioni, egli critica la
previsione di un ingresso anticipato nel sistema scolastico, che
sarebbe contrario ai ritmi naturali dell'età evolutiva e avrebbe
perniciose ricadute anche sui successivi passaggi del percorso
formativo. Uguale contrarietà manifesta inoltre nei confronti di una
scelta eccessivamente precoce fra il sistema dell'istruzione e quello
della formazione professionale, che finirebbe per essere
prevalentemente determinata dalle condizioni socio-ambientali.
Stigmatizza quindi il tentativo di eliminare il principio dell'obbligo
scolastico, ricordando le radici storiche in cui esso affonda e
ritenendo impraticabile l'equiparazione di tale obbligo con quello
connesso alla coscrizione militare, come da taluni sostenuto;
l'obbligo scolastico, infatti, deve essere inteso non come un servizio
che deve essere reso dal cittadino, bensì come un servizio che lo
Stato deve rendere al cittadino.
Dopo aver complessivamente criticato l'ordinamento scolastico che il
progetto governativo intende delineare, in quanto non appare garantita
la centralità dell'autonomia delle singole istituzioni scolastiche,
l'oratore svolge alcune riflessioni sul percorso legislativo che si
intende seguire, condannando il proposito di delegificare materie
rientranti nella riserva di legge. Anche la richiesta della delega
legislativa del resto appare contrassegnata dalla mancanza di principi
e criteri direttivi chiari e puntuali, risultando assolutamente non
rispettosa delle competenze statali e regionali e con ciò lasciando
emergere profili di incostituzionalità. La scelta di una delega in
bianco, inoltre, appare tanto meno comprensibile in considerazione
dell'ampia maggioranza parlamentare di cui dispone il Governo.
Un'ultima critica egli rivolge poi al modo in cui si tenta di ovviare
al problema delle risorse finanziarie necessarie ad avviare la
riforma, dal momento che la soluzione proposta in merito non appare
seria, né adeguata.
Egli auspica infine che la legge di riforma del sistema scolastico sia
frutto di un effettivo confronto parlamentare, affinché la nuova
normativa che verrà licenziata sia la migliore possibile e sia capace
di rilanciare la scuola pubblica soddisfacendo le esigenze degli
studenti e degli operatori del settore. Al riguardo, e laddove vi sia
una reale apertura al confronto nel merito, assicura la disponibilità
della propria parte politica ad accelerare l'iter del
provvedimento. In caso contrario, il dissenso del suo Gruppo si
concretizzerà in una coerente opposizione al progetto governativo. Il
senatore COMPAGNA ritiene che l'attuale discussione riproduca le
polemiche e riproponga le perplessità già emerse in occasione del
dibattito attorno alla riforma dei cicli scolastici voluta dalla ex
maggioranza. Si configura così una ritualità nella enunciazione
delle diverse opinioni soprattutto nella contrapposizione fra
conservatori e riformatori e nella critica allo strumento della delega
legislativa, registrandosi il passaggio dall'una all'altra posizione a
seconda del cambio di maggioranza politico.
Entrando quindi nel merito delle scelte operate dal Governo, esprime
apprezzamento per il ritorno alla tradizionale suddivisione fra i
cinque anni dell'insegnamento elementare e i tre anni della scuola
media, ritenendolo rispettoso dello spirito con cui il centro-destra
– e in particolare gli esponenti del Gruppo Unione democristiana e
di Centro – si era opposto alla legge n. 30 del 2000 e quindi
rispettoso del programma dell'attuale Governo.
Affrontando poi la questione inerente la qualità del sistema
scolastico nazionale, egli dichiara di aver condiviso l'excursus
storico tracciato dal presidente relatore Asciutti relativamente alla
politica scolastica dello Stato italiano unitario, sempre estremamente
attento alla qualità dell'istruzione, considerata veicolo di riscatto
della nazione dopo la pigra autarchia che aveva contraddistinto gli
Stati preunitari. Ritiene tuttavia si debba ancor più fortemente
ribadire come la riforma Gentile possa essere associata al regime
fascista solo da un punto di vista cronologico, mentre essa era
certamente conforme allo spirito liberale proprio della tarda età
giolittiana di cui era portatore il precedente ministro
dell'istruzione, Benedetto Croce. Ne scaturì pertanto un sistema di
istruzione che, soprattutto a livello di scuola secondaria ha prodotto
risultati eccellenti, garantendo sia una esemplare preparazione
umanistica che l'acquisizione di una solida cultura scientifica di
base.
Ora che le forze politiche della Casa delle libertà sono investite da
responsabilità di Governo, debbono pertanto chiedersi quali siano le
ragioni che hanno determinato l'abbassamento della qualità del
sistema scolastico negli ultimi trent'anni, quali errori abbia
commesso la classe politica italiana. Se ne ricaverà, ad avviso
dell'oratore, che la scuola non avrebbe dovuto abdicare alle proprie
finalità selettive a causa di un male inteso democraticismo che
assegnava ingiustamente caratteri elitari ai più capaci e meritevoli.
Quello spirito contrario alla selettività ha condizionato del resto
la stessa procedura di reclutamento dei docenti e, pur riconoscendo
come non sia sufficiente sapere per poter insegnare, egli sostiene nel
contempo che non è possibile insegnare ciò che non si sa. In tal
senso, è stato proprio il moltiplicarsi di docenti culturalmente
poveri a depauperare il panorama scolastico italiano.
A tutto ciò non ha posto rimedio il precedente Governo di
centro-sinistra, che ha invece affermato la retorica dell'interdisciplinarietà
e della fungibilità dei docenti. Ma neppure l'attuale proposta
governativa offre un'adeguata soluzione alla mancata definizione delle
discipline, dal momento che la rinvia a un successivo intervento
normativo. Al contrario, si dovrebbe rovesciare l'impostazione
interdisciplinare cara all'ex ministro Berlinguer, tornando ad
una più netta suddivisione delle materie e al riconoscimento delle
doti dei singoli docenti negli specifici insegnamenti.
Appare viceversa condivisibile la previsione del doppio canale
dell'istruzione e della formazione professionale, che supera la
genericità e la mancanza di chiarezza proprie dell'impostazione
interdisciplinare. Tuttavia, questa canalizzazione non deve essere
disincentivata attraverso una eccessiva flessibilità e occorre
assicurare alla formazione professionale eguale valore rispetto al
sistema dei licei, attribuendo pari dignità alla formazione pura e a
quella rivolta all'acquisizione di un saper fare concreto. In
proposito, sarebbe preferibile ispirarsi al modello tedesco di
istruzione, dove persino a livello universitario si determina una
distinzione fra studi teorici e studi rivolti alla preparazione
professionale.
La qualità degli insegnanti assume pertanto un significato
fondamentale ed egli invita quindi il Governo a incalzare
l'opposizione anche su terreni diversi dalla riforma scolastica vera e
propria. Ad esempio, per quanto concerne il contratto collettivo del
comparto della scuola, sarebbe bene avviare un proficuo dialogo con il
sindacato ma, laddove non dovesse essere trovato un comune terreno di
intesa, il Governo dovrebbe rappresentare con forza al Paese
l'esigenza di procedere ad un rinnovo contrattuale che distingua la
posizione dei docenti da quella del personale amministrativo, tecnico
e ausiliare. In altri termini, occorre dare segnali concreti in
direzione di un miglioramento della qualità del sistema scolastico più
di quanto finora abbia fatto anche l'attuale Governo. (14.05.02)
Interviene il senatore PASSIGLI, il quale ritiene che la rilevanza
della riforma scolastica sia tale da non attenere solamente agli
aspetti specifici del comparto in oggetto, coinvolgendo bensì lo
stesso concetto di formazione del cittadino e quindi riguardando
l'interesse di tutti. Da questo punto di vista, non appare una scelta
felice il ricorso alla delega legislativa, che non garantisce lo
sviluppo di un dibattito ampio e approfondito, tanto più che non si
è in presenza né di una particolare urgenza, né di provvedimento
che richieda particolari tecnicismi da rimettere all'Esecutivo, né di
un'esigua maggioranza parlamentare. Mancano dunque le ragioni che
abitualmente inducono a ricorrere alla delega legislativa. Attraverso
il percorso prescelto si finisce invece per consegnare la definizione
dei meccanismi che dovranno regolare il sistema scolastico alla
burocrazia ministeriale.
Egli denuncia peraltro il clima di incertezza che affligge il mondo
della scuola già dall'inizio dell'anno scolastico in corso e che si
prolungherà almeno per tutto il prossimo anno scolastico, non
potendosi certo immaginare una rapida emanazione dei decreti
legislativi che dovranno seguire alla delega che il Governo ha
richiesto al Parlamento, il cui significato sembra pertanto
sostanziarsi in un messaggio squisitamente politico, che sta a
indicare la volontà di annullare quanto concluso a livello
legislativo nel corso della XIII Legislatura dalla precedente
maggioranza.
Inoltre, il progetto governativo non appare realmente innovativo, né
dotato della necessaria compiutezza. Al tempo stesso, l'esiguità
delle risorse finanziarie destinate al settore dell'istruzione non
solamente suscita perplessità in merito alle possibilità di successo
del disegno riformatore, ma svuota anche di significato l'attuale
assetto dell'autonomia scolastica e pone in discussione la
salvaguardia del tempo pieno nella scuola elementare; né sono oggi
prevedibili maggiori investimenti in presenza delle esigenze di
risanamento del bilancio statale.
Egli affronta poi alcune questioni di merito relative al provvedimento
in esame, dichiarando che, a suo avviso, l'anticipato ingresso alla
scuola elementare non pone particolari problemi, mentre il medesimo
anticipo di quattro mesi riferito alla scuola dell'infanzia si
caratterizza come una scelta grave, che prefigura una prosecuzione del
segmento pre-materno più che l'inizio del percorso formativo vero e
proprio, andando così in senso contrario al naturale processo
evolutivo del bambino. Del resto, se la frequentazione della scuola
materna venisse intesa – come sarebbe auspicabile – quale parte
integrante del percorso formativo, la relativa iscrizione sarebbe
allora un diritto di tutti e ne discenderebbe l'esigenza di reperire
le risorse adeguate.
Dopo aver rilevato criticamente come si sia rinviata l'estensione
dell'obbligo scolastico, egli si sofferma sulla previsione del doppio
canale nella scuola secondaria, giudicando negativamente la differente
durata della formazione professionale rispetto al sistema dei licei e
la mancanza di un reale collegamento fra i due percorsi, che si
dovrebbe realizzare attraverso la previsione di curricoli integrabili,
più che mediante l'istituzione di un anno integrativo alla formazione
professionale ai fini dell'accesso all'università. D'altra parte, la
distinzione fra i due percorsi rappresenta un modello di retroguardia,
di tipo gentiliano, coerente con una realtà nazionale ormai risalente
nel tempo, quando l'Italia era povera di risorse e vi era l'esigenza
di formare una classe dirigente distinta dagli altri ceti sociali.
Riproporre oggi quel modello è segno di arretratezza culturale, dal
momento che le esigenze socio-economiche di un Paese moderno, di
fronte alle sfide della globalizzazione, richiedono la formazione di
un capitale umano che si mostri capace di flessibilità e di
cambiamento fra i diversi percorsi professionali. Il
senatore TONINI richiama l'opportunità di un confronto approfondito
su questioni che toccano intessi vitali per la nazione tutta e che
andrebbero perciò sottratte a logiche di schieramento politico.
D'altra parte, le riforme del sistema scolastico non possono avere la
medesima durata dei normali cicli politici in cui si verifica
l'alternanza fra le diverse maggioranze. Al riguardo, occorre tenere
presente l'esempio fornito dagli Stati Uniti d'America, dove si è
assistito a un ampio spirito di collaborazione tra le forze politiche
in merito alla riforma del sistema scolastico. Del resto, pur
giudicando sbagliata la decisione del Governo di bloccare l'attuazione
della legge n. 30 del 2000, egli rileva come anche l'attuale
maggioranza si trovi di fronte alla necessità di dare soluzione alle
medesime questioni e ai medesimi intenti che indussero il
centro-sinistra ad approvare la predetta legge.
La prima di tali questioni concerne l'esigenza di rimodulare la
formazione del cittadino, in modo da rendere più compatta e più
breve la formazione iniziale e dare vita a un sistema di formazione
continua che consenta l'apprendimento lungo l'arco di tutta la vita.
In proposito, però, appare difficile il passaggio dalle enunciazioni
teoriche all'attuazione pratica.
In secondo luogo, occorre accelerare l'innalzamento del tasso di
scolarizzazione, che rappresenta un elemento di debolezza strutturale
del sistema sociale e produttivo italiano rispetto agli altri paesi
industrializzati. Ancora oggi, infatti, è eccessivamente esiguo il
numero dei giovani che consegue la laurea. E' necessario inoltre
assicurare centralità alla cultura del lavoro, superando la grande
tradizione idealista che ha impregnato la cultura italiana del
Novecento e ha comportato la divaricazione fra l'istruzione teorica e
la formazione volta al conseguimento di un sapere pratico. Occorre
invece prevedere più cultura nel lavoro e più lavoro nella fase di
trasmissione culturale.
A suo avviso, risultano più convincenti le risposte che l'ex
ministro Berlinguer fornì alle questioni sopra esposte, pur
riconoscendo egli i limiti di un riformismo a volte incapace di
incontrare il senso comune del Paese, anche nelle sue componenti
sociali che tradizionalmente fanno riferimento alle forze politiche di
sinistra. Ma, proprio per questo, l'attuale Governo dovrebbe
raccogliere il senso di quell'esperienza e rinunciare a inopportune
forzature legislative, così come dovrebbe evitare di procedere nel
percorso riformatore al solo scopo di annullare quanto realizzato in
precedenza. Si rende pertanto ineludibile un approfondimento
costruttivo sui temi poc'anzi richiamati.
Quanto agli aspetti specifici del provvedimento, e in particolare alla
previsione di un ingresso anticipato alla scuola dell'infanzia e a
quella elementare, chiede al Governo se si tratti di misura
transitoria che prelude a una sistemazione di questi segmenti
scolastici improntata a un anticipo generalizzato, oppure se debba già
ora considerarsi un dato permanente del nuovo sistema scolastico; in
quest'ultimo caso, le perplessità sarebbero anche maggiori,
soprattutto sotto il profilo dell'uguaglianza delle opportunità, con
la quale confliggerebbe la norma che condiziona l'anticipato ingresso
alla disponibilità dei posti e delle risorse finanziarie dei comuni.
In relazione poi al doppio canale della scuola secondaria, dichiara di
non essere pregiudizialmente contrario alla formazione professionale
come seconda gamba del sistema, ma nel contempo afferma che sarebbe
stato preferibile confermare un biennio di orientamento comune,
rinviando la scelta fra i due canali a un'età più elevata e a un
livello più alto del percorso formativo; ciò, al fine di scongiurare
il rischio di una formazione professionale di base che vincoli i
soggetti a svolgere lo stesso lavoro per tutta la vita, contraddicendo
così all'obiettivo di maggiori flessibilità
e capacità di cambiamento nel mondo del lavoro. Esprime pertanto la
preoccupazione che il percorso della formazione professionale, così
come ora configurato, si traduca in una marginalizzazione di coloro
che lo dovessero scegliere, che si rifletterebbe pertanto sull'intera
loro vita lavorativa.
Da ultimo, egli affronta la questione delle competenze regionali,
sottolineando come la previsione di quote regionali dei curricoli
scolastici si differenzi nettamente dalla scelta di privilegiare
l'autonomia delle istituzioni scolastiche. Non vi può essere una
contrarietà pregiudiziale nei confronti delle competenze regionali,
ma esse vanno opportunamente armonizzate con il sistema dell'autonomia
scolastica, altrimenti si passerebbe dal centralismo statale ai
centralismi regionali, che sottoporrebbero la scuola alle logiche
connesse alle contese politiche locali. Prende,
infine, la parola la senatrice PAGANO, la quale si associa
all'intervento precedente in relazione all'esigenza di fornire
risposte adeguate a problemi che riguardano il Paese intero. In tal
senso, sebbene lo schema proposto dall'opposizione sia assolutamente
alternativo rispetto al disegno di legge n. 1306, ella invita il
Governo a riconoscere che su alcuni aspetti si registrano difficoltà
oggettive, peraltro rilevate anche da autorevoli esponenti della
maggioranza, che trovano riscontro nelle audizioni delle associazioni
di categoria svoltesi dinanzi all'Ufficio di Presidenza della
Commissione. Su questi punti controversi, infatti, sono state espresse
nette contrarietà o quanto meno serie perplessità ed è bene allora
comprendere se su tali questioni vi è la possibilità di un confronto
serio. In proposito, non rappresenta un segnale positivo il ricorso
alla delega legislativa, che non favorisce lo sviluppo del dibattito e
contraddice clamorosamente a quanto lamentato dall'allora opposizione
nel corso della XIII Legislatura. E' noto, del resto, che la scelta
della delega legislativa è stata imposta al ministro Moratti in sede
di Consiglio dei ministri sulla base di motivazioni essenzialmente
attinenti ai profili finanziari della riforma.
Ella osserva poi come la recente modifica del Titolo V della
Costituzione comporti inevitabilmente la conseguente correzione del
sistema di istruzione introdotto dalla legge n. 30 del 2000. In
particolare, occorre specificare le modalità attraverso cui attuare
la ripartizione concorrente della competenza legislativa in materia di
istruzione, garantire il sistema dell'autonomia scolastica e
realizzare il passaggio della formazione professionale alle regioni.
Su quest'ultimo punto, peraltro, ella denuncia quanto sta accadendo
nel settore della formazione professionale, dove si verificano sempre
meno iscrizioni negli istituti professionali statali e dove si
registra la fuga degli insegnanti verso i licei, motivata dal timore
di un passaggio dai ruoli statali a quelli regionali. Al contrario,
l'esperienza degli istituti professionali dovrebbe essere
salvaguardata e valorizzata e pertanto occorre valutare tutte le
implicazioni pratiche connesse al passaggio di tali strutture alle
regioni. Di conseguenza, non è possibile esprimere un giudizio
positivo su un secondo canale costituito dalla sola formazione
professionale regionale, nel quale non è garantita la coesistenza
della formazione e di una adeguata preparazione culturale.
Dal punto di vista poi del rispetto dell'obbligo scolastico, ella
denuncia l'affermazione del cosiddetto sistema a canne d'organo, che
prevede percorsi formativi di differente durata, dagli 11 ai 13 anni,
e che non è riequilibrato dal diritto all'istruzione e alla
formazione per almeno 12 anni.
Quanto all'anticipato ingresso alla scuola dell'infanzia, la senatrice
non la ritiene una scelta priva di fondamento, in quanto potrebbe
intercettare una domanda proveniente da una parte dei genitori, ma
reputa che non sia compito del legislatore seguire acriticamente gli
orientamenti popolari e al riguardo si chiede se siano stati realmente
valutati i costi pubblici che tale scelta comporterebbe, se essa debba
intendersi come misura transitoria o definitiva e su quale progetto
pedagogico sia fondata. Con questo anticipo, fra l'altro, si va a
stravolgere un segmento del sistema scolastico ritenuto eccellente a
livello internazionale, anche perché costituito da figure
professionali specificamente preparate e non più legate al concetto
di mera assistenza. Ella ritiene peraltro preferibile la previsione
dell'obbligatorietà dell'ultimo anno della scuola materna.
L'oratrice rivolge quindi alcune critiche alla ripristinata
differenziazione fra le specificità proprie delle scuole elementari e
delle scuole medie, che ha soddisfatto le spinte corporative degli
insegnanti della secondaria inferiore, ma che non tiene conto della
realtà, dal momento che l'esistenza di migliaia di istituti
comprensivi (mai citati nel provvedimento governativo) contrasta con
la predetta differenziazione. Al tempo stesso, il progetto in esame
appare per alcuni versi troppo generico e per altri eccessivamente
dettagliato in merito alla scansione interna del ciclo di base.
Conclusivamente, l'oratrice sottolinea la discrasia che separa gli
intendimenti del Governo in materia di riforma scolastica dalle misure
finora concretamente varate. I tagli operati con l'ultima manovra
finanziaria mettono infatti in discussione l'autonomia delle
istituzioni scolastiche, incidendo sulle possibilità di attuazione
dei loro progetti, pregiudicano la realizzazione di un sistema
d'istruzione secondaria che garantisca effettivamente il passaggio da
un percorso formativo all'altro, e costringono alla riduzione del
tempo scuola. Il Governo deve pertanto assumere un chiaro impegno
politico in merito alla ricognizione delle risorse finanziarie che
l'attuazione della riforma richiede, senza celarsi dietro motivazioni
di carattere tecnico-contabile. Il presidente
ASCIUTTI dichiara quindi chiusa la discussione generale. (15.05.02)
Il presidente relatore ASCIUTTI ringrazia preliminarmente per il
generale apprezzamento espresso nei confronti della sua relazione
introduttiva. Egli aveva infatti ritenuto utile introdurre l'argomento
con un excursus storico che costituisse il preambolo e, non
ultimo, il fondamento su cui poggiare la trattazione di una materia
che necessitava di attenzione particolare nei confronti di una
evoluzione che rappresenta lo specchio dello sviluppo della società
italiana. Da questo punto di vista, innegabile è il valore che il
sistema scolastico ha costituito per l'innalzamento culturale del
Paese, come pure innegabile è che oggi esso non sia più sufficiente
a garantire quella qualità culturale che i tempi e i nuovi scenari
mondiali richiedono. Inevitabile si rivela pertanto la necessità di
adeguamento del sistema scolastico ad un tipo di società senza dubbio
orientata verso una nuova matrice che ha superato ormai tutti i
pregressi modelli, imponendone uno in cui l'individuo con le sue
potenzialità e con le sue capacità a specializzarsi può
meritatamente inserirsi, ed in maniera competitiva, nel mondo del
lavoro. Perché tutto questo sia realizzabile è però necessario che
la scuola sia strutturata in modo da facilitare una formazione
culturale e professionale valida e che contenga già in sé tutti gli
elementi, gli stimoli e le possibilità che poi spetterà
all'individuo cogliere. In altri termini, occorre un sistema
scolastico regolato da una precisa scansione interna, ma al contempo
fondato su criteri di flessibilità: gli stessi che caratterizzano una
personalità in evoluzione e che, così rispettandola, ne permettono
la maturazione.
L'impianto della legge governativa si fonda ineluttabilmente
sull'interpretazione della soggettività umana come protagonista del
proprio processo di divenire, nell'ambito del quale lo Stato e le sue
strutture devono avere il compito di garantire la sussistenza e la
validità degli strumenti forniti allo scopo. Questa concezione è
l'elemento permeante della proposta di Governo; attiene senz'altro ad
una visione ideologica ben precisa e in linea, in termini di
esaustività delle risposte rispetto alle domande, con le rapide
trasformazioni societarie in atto.
Ciò premesso, risulta chiaro, secondo il relatore, come sia
necessario riformare la scuola partendo da presupposti diversi da
quelli fondanti la cosiddetta legge Berlinguer. Per l'attuale
maggioranza si tratta di una scelta consequenziale e non di una presa
di posizione a priori e arbitraria, diretta non solo ad
adeguare il sistema alle recenti modifiche del Titolo V, ma anche a
progettare un sistema scolastico che garantisca la piena realizzazione
delle potenzialità individuali nella consapevolezza e nel rispetto
delle loro diversificazioni. Diverse sono infatti le esigenze e le
capacità individuali di cui il sistema scolastico deve tener conto,
al fine di promuoverne la piena realizzazione, senza nutrire il timore
che ciò si traduca in uno strumento di discriminazione sociale. Egli
ribadisce quindi che la scuola deve saper soddisfare tutte le esigenze
soggettive, fornendo strumenti di elevazione sia culturale che
professionale e partendo dal presupposto che la società richiede
figure professionali diverse, ma non per questo diversamente
rispettabili. Tale concezione consente di operare sul sistema
scolastico innalzandolo e non appiattendolo, in quanto essa sostiene
il valore della diversificazione come patrimonio della società e
propone una scuola che possa formare tutti ad un livello elevato. I
timori di natura ideologica non possono limitare un percorso già in
atto e si peccherebbe di cecità politica, laddove si volesse
preservare un sistema di istruzione legato a concetti e pregiudizi
anacronistici. Spetta del resto al legislatore il compito di operare
sulla base sia dei segnali provenienti dai cittadini, sia di una
visione ampia e riconducibile a sistemi diversi, tutti però
concorrenti al funzionamento di una società complessa.
Il Presidente relatore sottolinea inoltre di voler assumere una
posizione precisa, ma non rigida per ciò che concerne l'iter
del disegno di legge e le sue possibilità di discussione e revisione.
Dopo aver quindi dato atto ai membri della Commissione della loro
capacità di prescindere dalla strumentalizzazione politica, egli
auspica venga riconosciuto come l'atteggiamento del Governo nei
confronti di questa problematica sia di grande disponibilità. D'altra
parte, gli Stati generali sulla scuola hanno voluto essere uno dei
momenti di verifica necessari ad elaborare una proposta rapportata
alle esigenze che la società civile pone con sempre maggiore
insistenza e lo stesso confronto in Commissione dimostra l'apertura a
modifiche e revisioni, laddove naturalmente non si intenda stravolgere
i presupposti fondanti della proposta governativa. Vi è dunque la
volontà di ragionare su una materia di importanza fondamentale e di
addivenire in tempi ragionevoli ad una riforma valida, mantenendo
costante il monitoraggio sulla situazione delle scuole italiane e
sulle esigenze dei loro operatori e fruitori.
In tal senso, egli precisa che il ricorso alla delega rappresenta solo
una tecnica normativa già utilizzata per le riforme più complesse,
specie in materia di ordinamento regionale, richiamando in merito
l'esempio fornito dalla legge 22 luglio 1975, n. 382, recante norme
sull'ordinamento regionale e sull'organizzazione della pubblica
amministrazione, e dalle cosiddette leggi Bassanini. Per quanto
riguarda poi l'eccezione secondo cui la legislazione statale in
materie ripartite non può esercitarsi attraverso leggi delega, in
quanto si configurerebbero come leggi di principi e criteri sui
principi, egli rileva come si tratti di orientamento minoritario e
soprattutto privo di riscontro esplicito, posto che la delegazione
legislativa non incontra alcun limite costituzionale rispetto al tipo
di utilizzo che se ne fa nella riforma governativa.
Entrando nel merito delle obiezioni sollevate sui contenuti della
riforma, il Presidente relatore si sofferma sulle perplessità
manifestate verso l'anticipo dell'ingresso alla scuola materna e in
proposito si dichiara in linea di principio concorde con l'idea di
lasciare immutato il ciclo della scuola dell'infanzia per non
interferire in un processo pedagogico che oggi rispetta in pieno l'età
evolutiva del bambino e che ha mostrato di essere un impianto assai
valido. Del resto, è pur vero che solo pochi Paesi d'Europa prevedono
una scolarizzazione così anticipata e che comunque ogni Stato
organizza il proprio sistema scolastico tenendo conto il più
possibile delle proprie tradizioni culturali e sociali. Senza con ciò
caldeggiare forme di rigidità e chiusura, a suo avviso sempre
rischiose, egli sostiene che il cambiamento e l'evoluzione
costituiscono sempre processi fisiologici, purchè non comportino,
specie nel settore dell'istruzione, stravolgimenti e traumi. Occorre
peraltro tenere in considerazione un orientamento che non solo è
maggioritario in sede di Commissione, ma risulta dominante anche fra
le varie associazioni rappresentative del comparto audite dall'Ufficio
di Presidenza. Del resto, la scuola materna, così come la scuola
elementare che nel progetto in esame vede mantenuti i suoi cinque anni
di durata, sono elementi portanti del sistema di istruzione italiano;
su questo punto la Casa delle Libertà manifesta la propria coerenza
con quanto sostenuto nella scorsa legislatura e nel corso della
campagna elettorale.
Quanto al tema del doppio canale costituito da istruzione e formazione
professionale, considerati momenti paralleli e di pari dignità, esso
rappresenta un aspetto fortemente innovativo della proposta
governativa che, nella visione umanistica che permea il progetto,
appare estremamente positivo, oltre che coerente, dal momento che
soddisfa l'esigenza di corrispondere alle diverse tendenze e
preferenze degli individui. Fondamentale, al riguardo, è la libertà
di scelta, per rendere effettiva la quale la Repubblica non può
limitarsi a garantirla in teoria, dovendo viceversa offrire gli
strumenti affinché essa si realizzi.
Più in particolare, la formazione professionale va configurata in
maniera tale da consentire una strutturazione della personalità non
secondaria e non inferiore a quella conseguita grazie al canale
dell'istruzione. Tale premessa, se correttamente interpretata, annulla
il rischio paventato da alcuni della discriminazione sociale a danno
dei ceti meno privilegiati. Al contrario, è opportuno garantire a chi
intenda non proseguire lo studio teorico e sia più orientato verso
una professione di poter seguire tale direzione.
A questo proposito, in riferimento all'altra obiezione relativa alla
precocità della scelta tra i due canali, che contrasterebbe con le
capacità di arbitrio individuali proprie di quella fase dell'età
evolutiva, il Presidente relatore afferma che potrebbe rappresentare
un rischio reale solo laddove non si renda effettiva la possibilità,
realizzabile attraverso la mobilità tra i due comparti, di modificare
la propria scelta in itinere. Dovrà tuttavia essere elevata la
qualità della preparazione culturale di base nei primi anni di scuola
superiore, così da realizzare una accettabile osmosi tra i due
canali; positivo in tal senso sarebbe prevedere un biennio curricolare,
che si prefigga lo scopo di completare la formazione dell'individuo
nella sua interezza e che, pur non essendo unificato, favorisca un
opportuno raccordo all'interno del sistema dei licei e fra
quest'ultimo e la formazione professionale. Non è corretto invece
riferirsi alla pari dignità tra istruzione e formazione
professionale, dovendosi peraltro registrare, già nella fase di
presentazione della riforma, il fenomeno della fuga di docenti e
alunni dagli istituti professionali verso gli istituti tecnici, nella
presunzione che i primi diventeranno di competenza regionale e nella
convinzione che le strutture regionali non siano in grado di garantire
una formazione professionale di livello qualitativamente elevato. Tali
supposizioni tuttavia non sembrano supportate da una corretta
conoscenza della normativa vigente, in quanto è prevedibile che, in
mancanza di un'ulteriore modifica del Titolo V della Costituzione, il
personale dell'intero comparto, attualmente dipendente dallo Stato,
passerà nei ruoli regionali.
In relazione poi alla questione attinente all'obbligo scolastico, il
Presidente relatore ricorda che il principio è previsto dalla
Costituzione, mentre la legge n. 144 del 1999 ha introdotto l'obbligo
formativo fino a 18 anni. La stessa legge n. 30 del 2000 a sua volta
richiamava la disposizione sull'obbligo formativo, senza con ciò
apparire contraddittoria rispetto alla puntualizzazione, pure in essa
contemplata, concernente l'obbligo scolastico dal sesto al
quindicesimo anno di età. Allo stesso modo, nel testo governativo la
norma relativa all'obbligo di formazione non modifica la disciplina già
vigente in materia di obbligo scolastico.
Conclusivamente, egli fa presente di non aver voluto rispondere ad
ogni singolo intervento reso in discussione generale, rinviando per
questo alla replica del Ministro, ma di aver inteso fornire
chiarimenti di ordine generale alle osservazioni più ricorrenti e
significative.
Ringrazia infine i membri della Commissione per il contributo
apportato al dibattito che, al di là delle differenti posizioni
politiche, si è svolto correttamente e si è caratterizzato per la
ricchezza dei contenuti. Prende quindi la
parola il ministro Letizia MORATTI, la quale esprime innanzitutto un
vivo e sincero apprezzamento per la relazione del presidente Asciutti
che, attraverso un'ampia panoramica storica delle riforme scolastiche
che hanno interessato il Paese a partire dal secolo scorso, ha
introdotto in modo preciso e puntuale i temi e le problematiche
dell'istruzione, cui la proposta di legge delega in discussione offre
alcune soluzioni.
Ringrazia inoltre i senatori di maggioranza e di opposizione
intervenuti nel dibattito per l'impegno, la serietà e lo spessore che
hanno voluto imprimere alle loro riflessioni e per avere indicato al
Governo con franchezza gli aspetti di particolare criticità delle
innovazioni contenute nella proposta di riforma. Del resto,
quest'ultima, come noto, è stata inizialmente prevista per modificare
alcuni aspetti della legge n. 30 del 2000, ma si è poi resa
indifferibile dopo l'approvazione del nuovo Titolo V della
Costituzione. Per queste ragioni, il progetto del Governo non può e
non deve essere visto come una risposta polemica, o, peggio, una
specie di rivalsa rispetto alle iniziative dei precedenti Esecutivi.
Il nuovo quadro istituzionale, come ha bene evidenziato il senatore
Gaburro, ridisegna, infatti, il ruolo dello Stato e delle autonomie
locali nella gestione e nel governo del sistema di istruzione e di
formazione.
Lo Stato, da amministratore e gestore unico del sistema di istruzione,
diventa il soggetto istituzionale deputato al governo delle funzioni
di indirizzo, controllo e valutazione del sistema; alle autonomie
locali e alle scuole autonome sono affidati i compiti di gestione
diretta.
Di tutto questo si è dovuto tenere conto nella revisione degli
ordinamenti e non si è trattato, certamente, di questioni di poco
conto. Tuttavia, nella scrittura del testo di legge si sono
volutamente mantenuti tutti quei principi e quegli aspetti ancora
compatibili con il nuovo quadro istituzionale in segno di rispetto del
lavoro parlamentare che ha visto deputati e senatori confrontarsi a
lungo nella scorsa Legislatura sulle ipotesi di riforma del sistema
scolastico. Al senatore Monticone, tuttavia, che ha espresso il
rammarico per una mancata riscrittura totale del quadro valoriale del
sistema educativo, il Ministro esprime la sua personale disponibilità
ad accogliere suggerimenti migliorativi soprattutto se finalizzati ad
arricchire la dimensione educativa.
Venendo poi ai motivi per cui era indispensabile rivedere la legge n.
30 del 2000, ella rileva come quel provvedimento non considerasse
sufficientemente la cornice europea entro cui, dopo l'accelerazione
del processo di integrazione impresso dall'adozione della moneta
unica, l'Italia è tenuta a muoversi con il preciso obiettivo di
favorire al più presto uno "spazio europeo" dell'educazione
e della cittadinanza europea, necessaria premessa per l'inizio della
costruzione duratura e solida dell'Europa politica.
La predetta legge n. 30 non sembrava, altresì, rispondere
adeguatamente alle sfide che la società della conoscenza e
dell'informazione pone, ormai sempre più incessantemente, ai sistemi
di istruzione e di formazione alle professioni, che devono garantire
la mobilità internazionale attraverso la spendibilità dei titoli. In
particolare, sullo sviluppo di un moderno sistema di formazione
professionale, la legge n. 30 rimandava ad un provvedimento di natura
economica, la legge n. 144 del 1999, in cui era confinato l'obbligo
formativo. In realtà l'impianto della legge n. 30 e la stessa
proposta di legge presentata, in questa legislatura, dal senatore
Cortiana (atto Senato n. 1251), riconducendo tutto il percorso di
formazione alla dimensione scolastica, affermano il principio per cui
la formazione al lavoro e alle professioni debba essere relegata in
propri ambiti specifici, estranei ai processi di istruzione, secondo
un vecchio paradigma tradizionale in base al quale prima si studia e
poi si lavora. Oggi invece l'educazione e la formazione sono processi
che durano per tutto l'arco della vita in coerenza con l'obiettivo
strategico dell'Unione Europea sulla formazione permanente e che, alle
soglie dell'adolescenza, debbono intrecciarsi in percorsi flessibili e
il più possibile diversificati nei tempi, nelle metodologie, nelle
sedi e nei contenuti. La vera sfida allora è fare in modo che non ci
siano interruzioni nel processo di formazione dei giovani e che ogni
segmento dei percorsi formativi possa valere per un livello successivo
di istruzione e/o di qualificazione professionale. In questa scelta il
Governo è confortato dai modelli dei sistemi europei ed
internazionali dei Paesi economicamente avanzati che già negli anni
'90 hanno introdotto flessibilità nei percorsi e sviluppato sistemi
di formazione professionale di grande prestigio, di notevole efficacia
e rispondenti a bisogni autentici dei ragazzi e delle loro famiglie.
E' altresì confortato da studiosi come Gardner, professore alla
Harward Graduate School, uno dei massimi esperti mondiali di
educazione, che ha recentemente dichiarato che non si dovrebbero
costringere i giovani ad un alto livello di istruzione entro venti
anni, ma che si dovrebbe dare loro la possibilità di istruirsi lungo
tutto l'arco della vita.
D'altra parte, in Italia la mancanza di una valida alternativa agli
studi liceali – come ha ben evidenziato il senatore Favaro - ha
privato troppi giovani di opportunità di formazione che
valorizzassero le loro inclinazioni, attitudini e capacità e
consentissero loro di mantenere un rapporto positivo, perché utile
per il loro avvenire e perché attento ai loro progetti, alla loro
intelligenza e alle loro aspettative, con il sistema di formazione. È
avvenuto, invece, che i ragazzi, costretti alla frequenza dell'unico
canale liceale o di scuole licealizzate, sottoposti spesso a un carico
di materie (fino a 15-16) che risulterebbe insopportabile anche ai
migliori alunni dei licei e a un peso orario (fino a 40 ore la
settimana), costituito in prevalenza da una serie di lezioni frontali,
abbiano preferito abbandonare completamente gli studi ed alimentare
quella dispersione scolastica, e da qualche anno anche formativa, che
rappresenta il vero punto di crisi del sistema italiano e che ne
minaccia la credibilità e la legittimità presso i giovani e le loro
famiglie. Da questo punto di vista l'obbligo scolastico, se disgiunto
da un vero successo educativo è un non senso.
Rassicura quindi il senatore D'Andrea circa le sue preoccupazioni in
merito ad una effettiva esigibilità dei diritti di cittadinanza e
dell'obbligo come servizio alla persona. Se si vuole innovare
profondamente l'offerta di formazione, si devono comprende i giovani e
le loro scelte, che non rappresentano una fuga, ma una ricerca del
loro personale progetto di vita. Se non si vuole consegnare questi
giovani ad un destino di esclusi, bisogna offrire loro
quell'opportunità educativa che è stata loro negata. Non è affatto
detto che questo possa avvenire obbligandoli a rimanere più a lungo a
scuola. anche se si trattasse di una scuola rinnovata, con insegnanti
più competenti, con programmi più aggiornati, con meno vincoli
burocratici. Al contrario, la legge delega, introducendo flessibilità
e differenziazione dei percorsi di istruzione e formazione nei modi,
nei tempi e negli sbocchi, offre agli studenti una reale possibilità
di personalizzazione del progetto formativo di ciascuno, con il
sostegno, l'aiuto ed il riconoscimento degli insegnanti e della
scuola, come auspicato dal senatore Togni. In questo senso, il
Ministro rassicura quanti hanno voluto mettere in guardia il Governo
dai rischi di una scelta precoce da parte dei ragazzi che, comunque,
il disegno di legge delega non contempla, atteso che le esperienze
professionalizzanti e di raccordo con il sistema produttivo e socio
culturale possono iniziare solo dopo il quindicesimo anno, così come
previsto dalle attuali norme sull'obbligo formativo. Quindi, non vi è
nessuna precocità sia rispetto alla legge n. 30, sia rispetto alla
proposta del senatore Cortiana. Nel provvedimento in discussione, il
sistema amplia la gamma dell'offerta formativa consentendo ai giovani
di conseguire qualifiche e diplomi professionali che rispondano ai
loro bisogni e alle loro aspettative a partire dal quattordicesimo
anno di età.
Al senatore Tessitore poi, che si è dichiarato a favore
dell'integrazione "in orizzontale" dei sistemi, ella precisa
che il Governo punta piuttosto all'unitarietà dei due sistemi di
istruzione e di formazione professionale che vengono ritenuti di pari
dignità. Le ragioni fin qui esposte in merito ad una reale
personalizzazione dei piani di studio e alla sfida del raggiungimento
del successo scolastico e formativo da parte di tutti hanno portato il
Ministro, peraltro, a superare la logica del legislatore ottocentesco
in materia di obbligo scolastico nel concetto più moderno di
diritto-dovere all'educazione. È infatti volontà del Governo
affermare una nuova cultura dei diritti in cui l'istruzione e la
formazione siano considerati, a pieno titolo, diritti essenziali di
cittadinanza. In tal senso rassicura le senatrici Manieri e Franco che
attraverso questa legge di riforma, nel rispetto del nuovo quadro
costituzionale, si lavorerà perché non ci siano offerte statali di
serie A e offerte regionali di serie B, alcune di spessore culturale
ed educativo e altre no. I saperi di base, che attualmente sono
previsti nel percorso dell'obbligo scolastico, verranno previsti e
rafforzati anche nei percorsi di istruzione e formazione
professionale. Queste gerarchie e queste distinzioni infatti vanno
superate per approdare ad un sistema educativo della Repubblica che
veda concorrere, per la migliore istruzione e formazione possibile dei
giovani, Stato e regioni, licei e istituti professionali, ma anche
centri di formazione professionale che dovranno riqualificarsi ed
arricchirsi, in linea con i nuovi standard qualitativi di cui
lo Stato si renderà garante.
Ella ringrazia a questo proposito la senatrice Bianconi per avere
ricordato il prezioso e significativo patrimonio di conoscenze e di
esperienze dei molti centri di formazione professionale del Paese,
messo al servizio, anche e soprattutto, delle persone più
svantaggiate. Rassicura peraltro la senatrice che il nuovo quadro
istituzionale riconoscerà a questi centri il giusto ruolo nell'ambito
del sistema educativo di istruzione e di formazione, affinché ci sia
la necessaria valorizzazione delle esperienze migliori nei diversi
settori della formazione professionale, mirabilmente curati dai
medesimi centri. Ogni percorso, al di là della durata, consentirà
accessi ad un livello superiore di istruzione e di formazione.
Infatti, mentre si ridisegnerà tutto il sistema della formazione
professionale, si lavorerà anche per creare percorsi di formazione
professionale superiore, culturalmente e qualitativamente validi, così
come ha auspicato il senatore Gaburro.
Inoltre, i ragazzi dovranno sapere che nessuna scelta da loro
effettuata nelle diverse fasi di formazione sarà mai irreversibile.
Le scuole organizzeranno attività didattiche che rendano effettivo il
passaggio tra gli indirizzi e tra i diversi percorsi, fornendo ai
giovani una adeguata preparazione per affrontare il nuovo percorso di
studio. Per questo rassicura i senatori Delogu e Bevilacqua circa le
loro preoccupazioni in merito e si impegna fin da ora a dedicare
un'attenzione particolare a questo aspetto della riforma nella
predisposizione dei decreti delegati. Così pure, si avvierà una
riduzione decisiva dei percorsi liceali e dei loro indirizzi per porre
freno all'attuale eccessiva frammentazione degli studi che, come hanno
ben evidenziato i senatori Valditara e Compagna, ha finito per
confondere gli assi culturali originari e determinato percorsi che,
talvolta, per la loro originalità, non sono più riconducibili
all'indirizzo da cui sono nati. Una prova di questa degenerazione è
certamente l'alto numero di seconde prove di esame di Stato che il
Ministero predispone ogni anno e che supera, anche quest'anno, il
numero di 600. Al contrario, nell'ipotesi di riforma proposta, i licei
dovranno ispirarsi alla migliore tradizione scolastica italiana e
contemporaneamente innovarsi attraverso percorsi che forniscano una
risposta alle moderne esigenze formative.
All'accorato appello della senatrice Acciarini perché non vada
perduto il patrimonio dell'istruzione professionale statale e degli
istituti tecnici, ella risponde di condividere tali preoccupazioni
dichiarando di conoscere ed apprezzare dell'istruzione professionale e
dell'istruzione tecnica le punte di eccellenza e l'efficacia di molti
percorsi che hanno contribuito a garantire lo sviluppo di interi
settori produttivi del Paese. Questi percorsi confluiranno nei licei
tecnologici ed economici per consentire l'accesso alla formazione
universitaria, che la direttiva europea 89/48 richiede per la
spendibilità su tutto il territorio dell'Unione dei titoli
professionali pregiati, ivi compresi geometri, periti industriali,
periti agrari ed agrotecnici. L'istruzione professionale di competenza
regionale, secondo il recente dettato costituzionale, riguarderà
tutti quei profili che saranno concordati d'intesa con le regioni e
che dovranno mantenere gli attuali livelli culturali e professionali.
Dunque, si tratta di una sfida per l'intero Paese e non di una
questione che riguarda soltanto le competenze del Ministero o
dell'amministrazione scolastica. In proposito, il Ministro si dice
convinta che le istituzioni coinvolte sapranno cogliere questa sfida
per dare maggiori opportunità ai giovani e per lo sviluppo del Paese.
Ritornando poi al quadro istituzionale, ella rassicura la senatrice
Soliani che, contrariamente a quanto da lei sostenuto, rispetto ad una
presunta visione localistica del Governo nell'ambito dell'istruzione e
della formazione alle professioni, la dimensione prescelta è
esattamente opposta a tale impostazione. La proposta del Governo
infatti – come il senatore Valditara ha avuto modo di apprezzare -
valorizza la cultura, le tradizioni e l'identità nazionale, e si
inquadra nell'ambito europeo. Nel contempo, garantisce e valorizza
l'autonomia degli istituti scolastici, pur prevedendo una quota di
approfondimenti dei piani di studio di competenza delle regioni
relativa ad aspetti specifici e locali. Si tratta dunque di
approfondimenti intensivi, nella dimensione locale, di obiettivi
specifici di apprendimento nazionali. A tal proposito, il Ministro
conforta il senatore Betta circa la volontà del Governo di attivare
una sempre più stretta collaborazione con le regioni, con i comuni e
le province, e di valorizzare le capacità di autogoverno delle
scuole. In tal senso, rende noto di aver apprezzato l'esperienza della
provincia di Trento, in modo particolare la riconduzione in un unico
sistema educativo dei percorsi di istruzione e formazione
professionale, che ha portato ad un miglioramento qualitativo
complessivo ed a una forte riduzione della dispersione scolastica. In
merito all'anticipo dell'età di iscrizione, aspetto richiamato da più
senatori, ella fa presente che la ricerca pedagogica internazionale
invita i Governi a investire nella prima infanzia e a generalizzare i
servizi educativi destinati all'infanzia. Come è del resto noto,
l'Italia ha saputo creare in questi anni una scuola materna, oggi
scuola dell'infanzia, di eccellenza, mentre non ha adeguatamente
sviluppato il sistema degli asili nido, lasciando le famiglie prive di
un servizio essenziale soprattutto per i genitori entrambi impegnati
in attività lavorative e con redditi che non consentono loro in molti
casi soluzioni alternative per la cura dei piccoli. Tuttavia, in molte
località del Paese si sono attivati progetti di sperimentazione che
realizzano eccellenti esperienze con sezioni di raccordo fra nido e
materna, così come già avviene istituzionalmente in molte realtà
internazionali.
Per queste ragioni, non certo casualmente o per scelte improvvisate,
come affermato dalla senatrice Franco, e senza ignorare le
implicazioni di natura pedagogica, didattica ed organizzativa, il
Governo ha voluto inserire, tra gli elementi di flessibilità, la
questione, peraltro dibattuta da decenni nel Paese, dell'anticipo
nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria. In ogni caso,
anticipare l'iscrizione sarà un'opportunità e non un obbligo che la
scuola pubblica offrirà alla libera scelta delle famiglie. Ancora a
questo proposito, ella rassicura i senatori che l'anticipo delle
iscrizioni non significherà anticipazione degli apprendimenti. Si
tratta di costruire contesti adeguati perché ciascun bambino possa
mettere a frutto le proprie conquiste con un approccio progressivo di
esperienze.
Il Governo è altresì consapevole del fatto che la frequenza
anticipata nelle due scuole dovrà trovare condizioni adeguate per
realizzarsi, un contesto rassicurante ed interventi educativi mirati.
Per la riuscita di questo nuovo aspetto del sistema si punta
sicuramente sulla cooperazione e sull'incontro tra scuola e famiglia
che rappresentano, senza dubbio, condizioni necessarie e
imprescindibili. Nella scuola dell'infanzia occorrerà, altresì,
prevedere nuovi modelli organizzativi e nuove figure professionali,
capaci di realizzare interventi specifici. E in risposta alla
senatrice Soliani, rende noto che tali interventi saranno progettati
ed attuati con la necessaria gradualità e d'intesa con i comuni,
nella assoluta consapevolezza di dover garantire la loro qualità.
Alla senatrice Franco, dichiara poi di non condividere affatto il
pessimismo sulla capacità di scelta delle famiglie, le quali sono
responsabili, naturalmente e costituzionalmente, dell'educazione dei
loro figli e vanno messe nelle condizioni di poter scegliere modalità
e tempi della stessa.
Alle senatrici Soliani e Franco, inoltre, che hanno paventato il
rischio di un impoverimento complessivo dell'offerta formativa a
partire dal prossimo anno scolastico come conseguenza dei tagli agli
organici operati dalla recente legge finanziaria, il Ministro
riferisce che l'operazione di contenimento delle dotazioni organiche
previste per l'anno scolastico 2002/03, peraltro con parametri
ampiamente al di sotto di quelli approvati dai Governi precedenti e
mai rispettati, non può compromettere affatto il diritto allo studio
degli alunni, né i livelli quantitativi e qualitativi del servizio
scolastico, così come risulta dal confronto dei livelli di
apprendimento rapportati al numero dei docenti secondo le medie
europee. Il costante monitoraggio, effettuato su tutte le scuole e
attivato attraverso il sistema informativo del Ministero, che consente
di conoscere quotidianamente scuola per scuola la situazione degli
organici rispetto agli alunni, oltre che di mantenere un confronto
continuo con gli uffici scolastici regionali, induce ad essere
fiduciosi.
Ad ogni buon fine, rispetto ad eventuali situazioni di particolare
disagio, legate ad imprevedibili incrementi del numero degli alunni o
a particolari emergenze di alcune realtà territoriali, si potrà far
fronte con l'utilizzo degli strumenti previsti dall'articolo 3 della
legge n. 333 del 2001. In ogni caso, ricorda ai senatori, che più
volte hanno richiamato la legge n. 30, che l'impianto ordinamentale di
quella legge, con la riduzione di un anno nel primo ciclo, avrebbe
comportato una diminuzione di oltre un quinto degli insegnanti delle
scuole elementari, o di un terzo di quelli delle scuole medie.
Riguardo all'innovazione della modalità di apprendimento in
alternanza scuola lavoro, richiamata da molti senatori, esprime
apprezzamento per l'intervento del senatore Brignone che ringrazia per
le tesi che ha esposto al riguardo. L'alternanza è una nuova
opportunità formativa che si offre ai giovani; essa non è
riconducibile all'apprendistato né ad un "sottopercorso"
che si può intraprendere soltanto nell'ambito della formazione
professionale. L'ipotesi del Governo è che il processo di
apprendimento debba avvenire anche in un terreno diverso, quello del
lavoro, che non è di per sé un'esperienza formativa e a cui non
bisogna annettere un significato di emancipazione che non sempre ha:
non è un caso che i giovani che vanno a lavorare presto trovano
facilmente occupazione, ma altrettanto facilmente la perdono. Il
lavoro però può rappresentare, se opportunamente organizzato
nell'ambito di un progetto formativo, una via di emancipazione per
molti giovani. Si tratta di una modalità di apprendimento, ampiamente
adottata con buoni risultati in altri Paesi e che, come tale, dovrà
essere offerta anche a chi frequenta il liceo. In tale contesto, tutti
i ragazzi in tutti i percorsi formativi dovranno poter fare esperienza
di stage presso enti, organizzazioni e imprese per arricchire
le loro esperienze, per farle valere come credito formativo e per
iniziare concretamente a misurare le proprie attitudini ed essere
guidati nelle future scelte di vita. In merito alle osservazioni sul
primo ciclo fatte dal senatore Brignone, il Ministro sottolinea che
esso, preservando in primo luogo le riconosciute specificità della
scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado, punta a
introdurre una maggior continuità su tutto l'arco degli otto anni. In
questo senso, rassicura anche la senatrice Pagano che gli istituti
comprensivi ovviamente rimarranno. In questo quadro unitario, la
scansione interna alla scuola primaria si caratterizzerà per uno
sviluppo progressivo della disciplinarietà, che dovrà favorire un
passaggio graduale ma solido alla scuola secondaria di primo grado.
Rispetto al sistema nazionale di valutazione, ella ringrazia i
senatori che hanno colto la portata dell'innovazione legata alle
funzioni del nuovo servizio, il quale fornirà al Paese, al Parlamento
e al Governo, in modo permanente e continuo, dati ed elementi di
conoscenza sul funzionamento effettivo del sistema scolastico, così
come avviene già in tutti i Paesi europei. Tale servizio peraltro non
interferisce con la valutazione formativa degli apprendimenti
individuali, che rimane naturalmente una prerogativa dei docenti, e
sarà uno strumento per sostenere le scuole nel processo di
autovalutazione. Le nuove funzioni assegnate al sistema nazionale di
valutazione hanno richiesto una revisione della configurazione
dell'Istituto nazionale di valutazione del sistema di istruzione
(INVALSI) ed è per queste ragioni – ella precisa replicando al
senatore Berlinguer - che la legge prevede una riorganizzazione
funzionale di tale Istituto.
Le sfide che attendono il nostro sistema educativo, anche nella
prospettiva di una piena integrazione nello "spazio
europeo", inducono a considerare strategico l'investimento sugli
insegnanti, nella valorizzazione del loro ruolo sociale e
professionale, come hanno avuto modo di porre in risalto i senatori
Valditara e Bianconi. La qualità del sistema educativo sarà
determinata, principalmente, dalla qualità professionale delle
persone che vi insegnano. In tal senso, dichiara di aver molto
apprezzato la larga condivisione su questo tema dei senatori
intervenuti nel dibattito. Per questi motivi, attraverso l'articolo 5
della proposta di legge, si intende avviare una politica pubblica di
alta qualità dei corsi di formazione degli insegnanti. Corsi che
saranno universitari o di alta formazione per tutti, con percorsi di
sicura competenza disciplinare, svolti nelle rispettive Facoltà e
seguiti da corsi di laurea specialistica finalizzati ad un
approfondimento disciplinare – oggi abbastanza incerto –
unitamente alla acquisizione di competenze pedagogiche, psicologiche e
didattiche.
Comunica pertanto ai senatori Tessitore e Compagna che sul tema della
formazione iniziale dei docenti il Governo sarà di certo rigoroso,
soprattutto in relazione alla necessità di un serio tirocinio degli
aspiranti, che sarà previsto dopo il conseguimento della laurea
specialistica e affidato anche alla valutazione delle scuole.
Rassicura inoltre i senatori Bevilacqua e Compagna sulla grande
attenzione che il Governo pone sui temi della valorizzazione dei
docenti e sul riconoscimento della loro professionalità con
disposizioni contrattuali che ne esaltino il ruolo e la specificità
all'interno del comparto scuola. Al riguardo, ella stessa ha avuto un
primo e proficuo incontro con i sindacati su questi temi e presto
invierò uno specifico atto di indirizzo all'Agenzia per la
rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN)
affinché colga queste indicazioni.
Infine, in merito alle osservazioni di alcuni degli intervenuti
sull'opportunità dello strumento della delega, valgono le
osservazioni del senatore Valditara e del senatore Delogu circa la
necessità di un provvedimento che consenta di graduare e monitorare
costantemente l'attuazione della riforma sia in relazione alla
predisposizione di un piano di investimenti, sia in riferimento alla
complessiva attuazione del nuovo quadro costituzionale. Tra l'altro,
il ricorso a provvedimenti delegati è stato ampiamente praticato in
Italia in tutte le fasi di grande cambiamento: nel 1974 con la
predisposizione di quattro decreti delegati, poi per l'autonomia delle
istituzioni scolastiche e per la riforma della pubblica
amministrazione nelle ultime legislature.
Circa, infine, la preoccupazione del senatore Brignone sul tempo di
attuazione della delega, osserva che tale tempo rappresenta il periodo
massimo entro il quale il Governo è chiamato a definire l'intero
processo. Gli interventi di legislazione delegata verranno cadenzati
in ragione della messa a regime della riforma, a seconda dei diversi
gradi ed indirizzi di studio. Concordo, infine, con i senatori
Tessitore e Passigli sulla necessità di non dilatare i tempi di
approvazione della legge al fine di dare al Paese una riforma organica
della scuola.
In definitiva, riprendere l'iniziativa legislativa era un dovere
costituzionale e il Governo lo ha assolto secondo la propria
impostazione e i propri principi, restando aperto, comunque, a
proposte di integrazione e di miglioramento. Ci si trova di fronte a
una grande impresa che merita un sostegno straordinario del
Parlamento. Non si tratta solo di riformare un singolo aspetto del
sistema scolastico, bensì di costruire nuovi strumenti gestionali e
amministrativi del sistema educativo che coinvolgono, per la prima
volta, più livelli e più soggetti istituzionali. Vanno poste insomma
le basi giuridiche per una scuola che non sia più solo dello Stato,
ma della Repubblica. Ecco perché il buon esito di questa impresa non
può interessare soltanto il Governo e la sua maggioranza
parlamentare, ma rimanda ad una grande collaborazione istituzionale
con le regioni, le province, le autonomie locali e, prima ancora, con
il Parlamento, e al coinvolgimento dell'intera società civile. Il
Ministro raccoglie in questo senso l'appello del senatore D'Andrea al
confronto nel merito delle questioni e dichiara che, in questa
delicata fase di approvazione del testo di legge in discussione, farà
tesoro dei suggerimenti che le perverranno, come quelli emersi dal
dibattito in Commissione, per migliorare la proposta di legge, per la
predisposizione dei successivi provvedimenti delegati e per una scuola
in cui si augura il Paese tutto possa riconoscersi. Auspica pertanto
che i senatori siano d'accordo nel favorire un rapido iter parlamentare
della legge delega. DIBATTITO RIFORMA (Senato,
settembre 2002) |