LA RIFORMA COME IPOTESI DI LAVORO
Le prossime "mosse" dopo il via libera del Parlamento (*)
a cura di Giancarlo CERINI
Riforme, Parlamento, scuola quotidiana
Anche il Senato della Repubblica, dopo che già la Camera dei Deputati si era espressa a maggioranza, con la risoluzione n. 6-00057, ha approvato - nella seduta del 21 dicembre 2000 - il Piano quinquennale di attuazione della Legge n. 30/2000 (Riordino dei cicli scolastici). Entrambi i rami del Parlamento hanno quindi accolto l’invito del Governo a dare rapida esecuzione alla legge, a far tempo dal prossimo anno scolastico 2001/2002 (a partire però dalle sole classi prime e seconde del segmento di "base"). Gli interventi del Ministro De Mauro sono stati improntati da un’insolita fermezza nel fissare la data di avvio della riforma, ma anche da una grande apertura verso l’opposizione. Insistente è stato il richiamo al predecessore D’Onofrio, con ripetute chiamate in causa per l’operazione "istituti comprensivi" e per l’abolizione degli esami di riparazione, due eventi risalenti all’ormai lontano 1994, ma in qualche modo anticipatori della riforma.
Al di là di queste schermaglie, il passaggio parlamentare non era scontato, con l’opposizione decisa a far valere le sue riserve, pensando di intercettare in questo modo un disagio palese nel mondo della scuola, ma con una maggioranza ricompattata proprio dal fuoco di sbarramento operato dalla "casa delle libertà" sui mass-media. Il dibattito si è quindi incanalato su binari prevedibili, seguendo da vicino l’indice del corposo pro-memoria predisposto dal Governo (il doppio dossier conteneva il vero e proprio piano quinquennale, stilato essenzialmente da un gruppo di consiglieri ed esperti dello staff del ministro, ed un più prosaico piano di fattibilità, con una più visibile impronta della componente amministrativa del Ministero). Il dibattito non è riuscito ad elevarsi nel novero delle grandi questioni nazionali "bipartisan" (di fronte alle quali governo ed opposizione dovrebbero appunto fare un passo indietro e trovare le ragioni di un’intesa interpartitica), ma non è nemmeno scaduto nella mediazione spicciola sui tanti dettagli contenuti nel dispositivo applicativo. In questa chiave poco spazio hanno avuto i rilievi mossi da molte organizzazioni sindacali sul merito del provvedimento (va ricordato che la Cisl, uno dei sindacati più rappresentativi della categoria, si è impegnata - in contemporanea al dibattito parlamentare - nella raccolta di firme "contro" l’attuazione della legge e "per" il ripensamento dell’intera riforma).
Gli orientamenti del parlamento: continuità vs discontinuità
Di questo faticoso e non scontato "travaglio della riforma" qualche avvisaglia si coglie nelle due risoluzioni approvate dal Parlamento nel mese di dicembre 2000, che prendono atto del lungo cammino che si è appena avviato e che richiederà ulteriori verifiche parlamentari (almeno di frequenza triennale). La prima "ipotesi di lavoro" è a costo zero, anzi si presume di ottenere dai nuovi cicli un risparmio di spesa che oscilla dai 6 ai 18 mila miliardi per l’intera durata del piano di attuazione, ma non si esclude –in itinere- qualche sopravvenuta esigenza di carattere finanziario (ché altrimenti si potrebbe gridare al miracolo di una riforma della scuola finanziato interamente dalla scuola stessa).
L’idea della processualità (e rivedibilità) dell’innovazione sembra essere la strategia adottata per "convincere" gli insegnanti della bontà delle decisioni assunte con la legge 30/2000. E’ lo stesso Ministro a rassicurare la scuola, affermando - nel corso del dibattito parlamentare - che, quando si passerà a delineare contenuti, obiettivi, metodologie, strumenti operativi della nuova scuola, molte delle attuali pregiudiziali, di carattere fortemente ideologico, si stempereranno nella comune ricerca di soluzioni tecniche effettivamente praticabili e sicuramente migliorative della situazione attuale.
Per intanto prevale un forte richiamo alla continuità piuttosto che alla discontinuità del nuovo impianto ordinamentale. L’intento di fugare timori di salti nel buio si avverte nello stile della risoluzione del Senato (più misurato e meno trionfalistico della prima versione della Camera), nel messaggio lanciato ai docenti della attuale scuola media (quelli con il futuro di più incerta collocazione), nell’impegno a mantenere un profilo "rigoroso" per la scuola secondaria superiore riformata. Si tratta di indicazioni che stabiliscono una forte connessione tra i cambiamenti previsti dalla legge 30/2000 e le innovazioni avviate nella scuola negli ultimi anni. In particolare, la nuova scuola di base viene collegata all’esperienza degli istituti comprensivi (le scuole che già oggi sperimentano il coordinamento del lavoro tra i docenti delle scuole materne, elementari e medie del medesimo territorio e che rappresentano oggi oltre il 40% delle scuole di base italiane).
E’ però evidente che istituto comprensivo e scuola di base non sono la medesima cosa: la prima è semplicemente una "federazione" tra scuole che mantengono inalterata la loro identità (e non è scontato che in tutti gli istituti comprensivi si sia adottato un curricolo "verticale" integrato ed unitario). Il paragone presenta, comunque, qualche valida motivazione: esistono indizi certi che gli istituti comprensivi - a certe condizioni (ruolo trainante del dirigente scolastico, rapporti positivi con il territorio, disponibilità dei docenti) - rappresentino un ambiente culturalmente stimolante che favorisce una migliore collaborazione tra gli insegnanti dei diversi livelli scolastici. Gli esiti del monitoraggio della sperimentazione dell’autonomia per il 2000, che stanno per essere resi noti dal Ministero della P.I. e dalla BDP, sembrano confermare questo maggior dinamismo degli istituti verticalizzati nella ricerca di soluzioni didattiche e metodologiche innovative.
Un secondo elemento di continuità viene ravvisato tra le sperimentazioni in atto nella scuola secondaria (in particolare quelle avviate in uno stock limitato di circa 160 istituti a partire dall’a.s. 1997/98) e la prospettiva di semplificazione degli indirizzi, affermata nella legge 30/2000 e riconfermata nel piano di attuazione approvato dal Parlamento (ove in un allegato tecnico si prefigurano una quindicina di nuovi indirizzi al posto degli oltre 240 attuali). Ma anche in questo caso occorre interrogarsi sul significato che il Parlamento ha voluto attribuire alla ripetuta richiesta di "rigore" negli studi (quasi ad esorcizzare il rischio di una riforma sotto il segno della dequalificazione culturale), alla riaffermata differenziazione tra gli indirizzi delle scuole superiori (per bloccare eventuali nostalgici recuperi del mito del "biennio unico" degli anni settanta), alla ostinata rivendicazione del carattere "terminale" degli studi secondari (per sottolinearne la "spendibilità" anche sul mercato del lavoro). Forse si tratta di semplici sfumature, ma sembrano comunque tendenzialmente smentire gli esiti della prima fase dei lavori della Commissione De Mauro (o meglio, di alcune delle indicazioni contenute nei documenti pubblicati il 12 settembre 2000), ove era stato sottolineato maggiormente il carattere unitario (o almeno, equivalente) del curricolo obbligatorio dei primi due anni della scuola secondaria superiore. Anche in questo caso sarà dirimente (nell’un senso o nell’altro) il quadro curricolare che sarà definito al termine dei lavori delle commissioni incaricate di elaborare i nuovi curricoli.
Articolazione del settennio e scelte delle scuole
La stessa scelta dell’articolazione interna del settennio di base (che appare il problema di più urgente soluzione) si presenta molto simile all’attuale scansione della scuola elementare e della scuola media. Il Ministro De Mauro ed il Parlamento, nelle due delibere foto-copia, sponsorizzano un profilo "2+3+2" dove è facile intravedere in filigrana l’attuale configurazione di scuole elementare e media. Nella nuova scuola di base si avrebbero, in base a questa proposta:
un biennio iniziale (per la prima alfabetizzazione),
un secondo ciclo (per il primo incontro con i diversi ambiti del sapere),
un terzo ciclo (dedicato ad una più sicura organizzazione delle conoscenze nei settori disciplinari).
Seguendo questa nervatura è facile anche attribuire una collocazione più sicura agli attuali insegnanti: i maestri elementari sono i candidati "naturali" (ma non esclusivi) a ricoprire il biennio iniziale; i professori delle medie, quelli più adatti (ma non i soli) ad occuparsi del biennio finale.
Per il trienni intermedio, ogni scuola (necessariamente "verticalizzata") potrà gestire con una certa libertà l’intreccio tra docenti provenienti da entrambi i cicli precedenti, immaginando che la prevalenza di presenze nei team integrati intermedi spetti comunque ai docenti elementari. E’ infatti quasi certo che nella gestione degli organici funzionali della futura scuola di base dovrà essere mantenuta l’attuale proporzione quantitativa tra docenti elementari e medi (la "fusione, cioè, non dovrà penalizzare in particolare nessuno dei due ordini scolastici).
D’altra parte lo stesso Parlamento si è mostrato molto cauto nel prefigurare l’articolazione interna del settennio, rubricandola a semplice "ipotesi di lavoro", da far valere soprattutto in funzione delle scelte organizzative e didattiche. L’ampia discrezionalità lasciata ad ogni scuola può rassicurare rispetto ad eventuali diktat centralistici immotivati, ma può anche creare notevole sconcerto tra gli operatori: quali saranno le scelte del Collegio dei docenti? Come influirà su queste scelte il "pensiero" del dirigente scolastico? Come si concilierà questa ampia flessibilità con l’esigenza di disporre di alcuni criteri stabili per allestire libri di testo, materiali, eventuali prove standardizzate di apprendimento?
Una soluzione ai tanti quesiti dovrebbe provenire, almeno in parte, dai lavori delle Commissioni di esperti che stanno definendo l’impianto dei nuovi curricoli di studio. Un’operazione richiesta dalla Legge n. 30/2000, ma che si intreccia (fino a diventare un’unica operazione) con quanto previsto dall’art. 8 del Regolamento sull’autonomia (Dpr 275/99). In base a tale norma, spetta al Ministro della pubblica istruzione definire:
finalità,
obiettivi specifici di apprendimento,
quadro delle discipline fondamentali,
orari scolastici obbligatori per ogni ciclo e per ogni disciplina fondamentale.
Si tratta di un insieme di indicazioni che daranno un forte carattere unitario al sistema scolastico, ferma restando la quota di scelte spettanti alle singole unità scolastiche (dal 20 % al 40 % del tempo scuola obbligatorio, a seconda del ciclo scolastico). Diventano quindi rilevanti le scelte in materia di curricolo che saranno operate nei prossimi mesi: indicativamente, entro la primavera per la scuola di base ed entro il dicembre 2001 per la scuola secondaria.
Un piano di attuazione a più velocità
Non era semplice districarsi tra le oltre 200 pagine di documentazione fornite dal Governo al Parlamento in merito all’attuazione della legge sui cicli. D’altra parte, si tratta di una legge che ridisegna a fondo le caratteristiche del sistema scolastico del nostro paese, a partire da una diversa durata degli studi (dai 3 ai 18 anni di età dei ragazzi e non più dai 3 ai 19, con una fascia obbligatoria che si estende per nove anni, dai 6 ai 15 anni).
Questo nuovo disegno strutturale, che è assai più impegnativo di un semplice ricambio di "curricoli", produce una fase di transizione molto complessa, visto che si dovrà garantire la prosecuzione del percorso precedente a chi lo ha già intrapreso (e comunque a chi si trova ad un livello già avanzato del percorso). Il piano di attuazione precisa che il nuovo tracciato più breve non riguarderà gli alunni che il prossimo a.s. 2001/2002 frequenteranno le classi terze elementari e successive (l’avvio della scuola di base, infatti, si riferisce unicamente alle classi prime e seconde). Ovviamente, invece, i nuovi indirizzi (e curricoli connessi) della secondaria superiore coinvolgeranno gli alunni che inizieranno le superiori nell’a.s. 2002/03. E’ anche prevedibile, come avvenne per la riforma della scuola elementare negli anni 1987-1992, che si assista ad un fenomeno di "accelerazione" stimolato dalle scuole stesse per gestire in maniera più ordinata l’offerta formativa (evitando, cioè, la coesistenza per troppo tempo di diversi impianti curricolari).
L’accelerazione relativa ai curricoli potrà essere assorbita con una certa tranquillità, mentre più problematica si presenta la trasformazione del percorso di otto anni in quello di sette anni, con il connesso fenomeno dell’onda anomala (coesistenza per il quinquennio che inizia nell’a.s. 2007/08 di una "doppia" leva scolastica parallela - di tredicenni e quattordicenni - nelle classi prime superiori e così a seguire fino agli esami di Stato del 2011/12, in cui si presenteranno contemporaneamente diciottenni e diciannovenni).
Il Parlamento ha espresso un orientamento favorevole alla "frantumazione" dell’onda anomala (come si dice ormai in gergo), il che comporta lo studio di una forma di passaggio scaglionato verso la scuola secondaria. In pratica sarà anticipato il passaggio di quote di alunni tredicenni alle superiori, in modo che non si presentino contemporaneamente all’appuntamento. Un’ipotesi, ancora in fase di studio, prevede che questo passaggio anticipato (che comporta il "salto" di un anno nella scuola di base ottennale) possa avvenire in quattro anni, interessando ogni anno un quarto dell'utenza potenziale di una leva d’età. L’anticipazione potrebbe essere regolata per evitare che si scateni la ricerca di un "posto al sole", se così si può definire l’anticipazione, che era già prevista dal vecchio ordinamento scolastico anagrafico (ad es.: anticipano il passaggio e quindi "completano" in una sola annualità la classe 5^ elementare e la classe 1^ media i ragazzi nati nel primo trimestre).
Gli istituti comprensivi rappresentano un’ulteriore area di possibile sperimentazione: lasciando ad essi un organico docente potenziato (relativo alle attuali otto classi di base) si potrebbero impegnare ad anticipare il curricolo settennale, sfruttando le condizioni di contesto professionale unitario che già caratterizzano le scuole verticali. E’ già allo studio (v. CM n. 282 del 19-12-2000) l’estensione dell’organico funzionale ad un consistente numero di scuole medie facenti parte degli istituti comprensivi, che potrebbero, anche mediante questa "agevolazione" sperimentare modelli organizzativi più flessibili.
Anche agli istituti secondari viene lanciato un segnale che si muove verso l’anticipazione della riforma. Ad essi viene infatti proposto di adottare, in via sperimentale fin dal prossimo mese di settembre (utilizzando gli spazi offerti dal DM 234/00) un orario più contenuto (che non oltrepassi le 32 ore settimanali), recuperando i modelli messi a punto in occasione dell’avvio dell’autonomia in un gruppo di circa 160 istituti superiori. Tabelle orario, curricoli, programmi da adottare, sono dunque quelli messi a punto (in verità, con una certa fretta) nell’anno scolastico 1997/98 e che prefiguravano, per i diversi indirizzi, un’area comune (meglio definita di equivalenza), un’area di indirizzo (caratterizzata da specifiche discipline) ed un’area dell’integrazione (nella quale favorire l’integrazione dei saperi disciplinari e/o l’attenzione ai bisogni individualizzati degli allievi).
L’operazione di ricompattamento degli orari può consentire di acquisire un monte-ore docenti superiore a quello strettamente necessario per la gestione degli insegnamenti frontali. Diventa così possibile un’organizzazione didattica più flessibile attraverso compresenze di docenti, scomposizione del gruppo classe, percorsi differenziati, intensificazione delle esperienze di laboratorio. Nel documento ministeriale del 1997, così venivano riassunte le finalità e caratteristiche del progetto:
Gli obiettivi ed i criteri di fondo che ispirano il progetto sono riassunti nella tavola allegata:
Obiettivi | Paletti progettuali |
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|
Fonte: Ministero P.I. (1997)
I problemi aperti
Le delibere del Parlamento lasciano ancora insolute alcune questioni che appaiono decisive per il futuro della riforma. Ci riferiamo, in particolare, all’impiego del personale docente, alla ricognizione delle strutture edilizie necessarie e, più in generale, alla disponibilità di risorse finanziarie per promuovere l’innovazione.
L’approccio appare alquanto "ragioneristico", ad esempio, in materia di utilizzo degli edifici, ove si auspica la presenza di corsi settennali interi negli stessi edifici, quasi a prescindere dalla qualità di tali spazi per una didattica qualificata (per rendere possibili attività comuni, laboratori, attrezzature, ecc.) o dove quasi nulla si dice circa il futuro degli attuali contenitori delle scuole superiori.
Si percepisce, negli atti parlamentari, il "peso" dei vincoli già presenti nel Piano quinquennale del governo, costruito intorno alla logica della Legge 30/2000 di autofinanziamento della riforma. Infatti le fonti finanziarie della riforma sono da attingere esclusivamente dalle economie derivanti dalla contrazione del percorso scolastico (e dunque dal minor numero di alunni, di classi, di insegnanti). Una prospettiva che rischia di creare preoccupazioni tra i docenti, per le paventate situazioni di esubero, di precarietà e/o di mobilità selvaggia tra i diversi livelli scolastici, ma che - se ben governata - può aprire interessanti opportunità di sviluppo professionale, con periodi sabbatici per la formazione, l’attivazione di nuove funzioni e ruoli professionali, un credibile sviluppo dell’organico funzionale (per migliorare le condizioni di lavoro).
Dispiace che il Parlamento abbia scelto la soluzione "minimalista" (pur se "popolare") di stornare parte dell’esubero di personale per rendere possibile (con gradualità) la riduzione dell’orario di insegnamento dei docenti della scuola elementare a 18 ore (come i colleghi della scuola media). E’ ovvio che un’equiparazione si imponeva, ma una grande riforma era un’occasione irripetibile per "lanciare" un profilo europeo di docente di base, di elevato spessore culturale e corredato di indispensabili valenze pedagogiche e didattiche. Ci si poteva anche esercitare su un "nuovo" orario di lavoro, ma per aprire una ricerca sulle "reali" componenti dell’impegno professionale di un insegnante, che va ben al di là dell’insegnamento frontale e si distende in attività di laboratorio, di assistenza agli studenti, di progettazione e verifica, di studio e preparazione, ecc.).
Ma siamo appena agli inizi di un lungo processo; ci sarà, dunque, tutto il tempo per apportare i necessari adattamenti alle scelte curricolari ed a quelle organizzative ipotizzate nella legge di riforma e negli indirizzi applicativi.
Questo è, in definitiva, il messaggio più forte ed originale della decisione parlamentare: si dia inizio alla riforma, perché lo impone l’urgenza dei problemi della nostra scuola e della nostra società (e non solo il gioco di ruoli tra maggioranza ed opposizione in campagna elettorale), ma lo si faccia "cum grano salis" (anzi, con qualche dose di sano conservatorismo del buono che c’è nella scuola di oggi), prestando maggiore attenzione alla partecipazione degli operatori scolastici. La riforma è un processo che si costruisce insieme e con tutta l’umiltà di sottoporre il processo a frequenti verifiche: ecco perché l’intera riforma (e non solo l’articolazione del settennio, come scrive il parlamento) è una vera e propria "ipotesi di lavoro".
(*) L’articolo è in corso di pubblicazione all’interno del fascicolo monografico curato da F.Frabboni e G.Cerini, "Verso i nuovi curricoli della scuola di base", supplemento al n. 10 del 31-1-2001 di Notizie della scuola, Tecondid, Napoli.