Il
Decreto n. 100 del 18 settembre 2002 – Sperimentazione
scuola dell’infanzia e prima classe scuola elementare
a cura di Mariella Spinosi
In
data 18 settembre u.s. il Ministro ha firmato il Decreto di
attuazione del progetto nazionale di sperimentazione ex art. 11 del
DPR 275/1999 riguardante la scuola dell’infanzia e la prima classe
della scuola elementare.
Il
10 settembre il CNPI aveva espresso il parere accompagnato da una
serie di osservazioni e di proposte, contestualmente anche l’ANCI
aveva inviato le proprie osservazioni sul progetto nazionale.
Si
tratta ora di analizzare se, sulla base di tali pareri, sono stati
apportati eventuali cambiamenti e se questi vanno a facilitare l’attuazione
della sperimentazione nell’ottica della qualità e del rispetto
delle regole.
Ricordiamo,
oltre al decreto, i documenti connessi con il progetto sperimentale.
I
documenti della sperimentazione
n.
|
Documento
|
Oggetto
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1
|
DM 100 del 18.9.2002
|
Decreto di attuazione del progetto nazionale di sperimentazione ex art.
11 DPR n. 275/1999 – Scuole dell’infanzia e prima classe
di scuola elementare.
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2
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CM n. 101 del 18.9.2002
|
Decreto di attuazione del progetto nazionale di sperimentazione ex art.
11 DPR n. 275/1999 – Scuole dell’infanzia e prima classe
di scuola elementare. Indicazioni e Istruzioni
|
3
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Indicazioni
nazionali
Versione
aggiornata
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Documento
di riferimento per i Piani Personalizzati delle Attività
Educative nelle scuole dell'infanzia
|
4
|
Indicazioni
nazionali
Versione
aggiornata
|
Documento di
riferimento per i Piani di Studio Personalizzati nella Scuola
Primaria |
5
|
Profilo dello studente
|
Documento che delinea il
profilo educativo, culturale e professionale dello studente
alla fine del Primo Ciclo di istruzione (6-14 anni)
|
6
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Guida
alla lettura
|
Documento
di sintesi che delinea il quadro teorico della sperimentazione
e il significato dei Documenti che l’accompagnano.
|
7
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Raccomandazioni
(Versione
del 24 luglio 2002 non ancora aggiornata)
|
Documento con valenza
orientativa per lo svolgimento delle attività educative e
didattiche nelle scuole dell’infanzia del sistema nazionale
di istruzione.
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8
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Raccomandazioni
(Versione
del 24 luglio 2002 non ancora aggiornata)
|
Documento con valenza
orientativa per l’attuazione delle Indicazioni Nazionali per
i “Piani di Studio Personalizzati” nella scuola primaria.
|
Con il DM n.
100/2002 il Ministro intende avviare una “sperimentazione” in
alcune scuole italiane che ne abbiano i requisiti (circa 200) con l’obiettivo
di mettere alla prova i contenuti della riforma (disegno di legge n.
1306 del 14./3/2002) in discussione al Parlamento. In modo
particolare, l’idea principale è quella di consentire l’anticipo
delle iscrizioni alla scuola dell’infanzia ed elementare (per i
bambini che compiono i tre e i sei anni entro il 28 febbraio dell’anno
successivo a quello previsto) e di capire come e se gli indirizzi
curricolari per la scuola dell’infanzia ed elementare (elaborati
nel corso dell’estate 2002) possono reggere alla prova dei fatti.
Gli oggetti della sperimentazione sono quindi:
Gli oggetti della
sperimentazione
-
la flessibilità organizzativa
metodologica e didattica (art. 2 comma 5, art. 3 comma 2 punto c,
art. 5, art 6);
-
l’anticipo nella scuola dell’infanzia ed elementare
(art. 1 comma 3);
-
il docente tutor (art 6)
-
Il portfolio (art.7)
-
l’insegnamento della lingua inglese (art.
2 comma 6)
-
l’alfabetizzazione informatica (art.
2 comma 6)
Naturalmente, l’attuazione
della sperimentazione è possibile sulla base di specifiche delibere
degli organi collegiali della scuola e dei genitori dei bambini
coinvolti.
Le scuole che
sperimentano dovranno fare in modo di garantire almeno 200 giorni di
scuola che costituiscono il limite minimo consentito per la
validità dell’anno scolastico. Il conteggio dei giorni parte dall’atto
ufficiale di avvio della sperimentazione, a cura dell’Ufficio
scolastico regionale, dopo la formalizzazione del piano regionale
delle istituzioni scolastiche inserite nel programma nazionale.
Di seguito viene
riportato l’aggiornamento della riflessione sugli articoli del
Decreto n. 100/2002, già analizzato nella versione in bozza dell’agosto
scorso. Sono evidenziate le differenze rispetto alla versione
precedente e posti in rilievo i punti di forza, ma anche di
criticità, già espressi dai pareri del CNPI e dell’ANCI.
Il DM 100/2002 è
costituito da 10 articoli, uno in meno rispetto alla bozza, che
definiscono molto chiaramente i contenuti della sperimentazione.
La struttura del DM n. 100 del 18
settembre 2002
n.
articolo
|
Oggetto
|
1
|
Progetto
nazionale di sperimentazione |
2
|
Requisiti
del progetto |
3
|
Quadro di
riferimento dell’infanzia
(Obiettivi generali e
specifici e piani di studio personalizzati)
|
4
|
Continuità
educativa
(Raccordo tra asilo
nido, scuola dell’infanzia e scuola elementare)
|
5
|
Flessibilità
organizzativa nella scuola dell’infanzia |
6
|
Flessibilità
organizzativa nella scuola elementare |
7
|
Portfolio
delle competenze |
8
|
Formazione
del personale |
9
|
Piano
regionale delle scuole aderenti alla sperimentazione |
10
|
Organismi di
supporto e sviluppo alla sperimentazione |
Prime
riflessioni
sul Decreto di
attuazione del progetto nazionale di sperimentazione nella scuola
dell’infanzia e nelle prime classi della scuola elementare
Art. 1
Progetto
nazionale di sperimentazione
|
1. È promosso un
progetto di sperimentazione in ambito nazionale al quale
possono partecipare, di norma, non più di due circoli
didattici o istituti comprensivi per ogni provincia nonché
due scuole paritarie preferibilmente per ogni capoluogo di
Regione, con eventuale compensazione tra tipologie e a livello
regionale o nazionale.
|
Sono coinvolti
nel progetto di sperimentazione:
-
200 istituzioni scolastiche (circoli didattici e istituti
comprensivi);
-
40 scuole paritarie
Il
comma ha subito alcune variazioni:
-
l’introduzione della parola “di norma” attutisce la
perentorietà del tono della precedente formulazione, laddove
sembrava apparire una formula rigorosa dal punto di vista
numerico;
-
l’inserimento esplicito degli “istituti comprensivi”
elimina ogni possibile dubbio circa le tipologie di scuole
coinvolte.
-
la novità assoluta sta nell’introduzione del concetto di
“compensazione” tra tipologie e tra livelli territoriali.
È pur vero che data l’esiguità del
campione (non proporzionale, tra l’altro, alla distribuzione
delle scuole nel territorio) poco potrebbe incidere una
dislocazione non omogenea delle scuole che sperimentano, che
magari può non comprende tutte le province, ma un eventuale
aumento delle scuole paritarie a scapito delle statali,
metterebbe invece in discussione l’obiettivo stesso della
sperimentazione.
Dalle precedenti bozze (sia del decreto sia delle
Indicazioni e Raccomandazioni) sembrava emergere che le scuole
coinvolte avrebbero dovuto assicurare la sperimentazione in
tutte le sezioni di scuola dell’infanzia e in tutte le
classi prime elementari ivi operanti. Se, infatti, ad ogni
direzione didattica fanno capo in media 4 plessi di scuola
elementare e di 2 o 3 plessi di scuola dell'infanzia, il
numero complessivo poteva diventare di una certa consistenza.
Si parlava, infatti, di circa 2.500 classi, 6/7 mila docenti e
oltre 50 mila bambini. Sarebbe potuto diventare, in effetti,
un test interessante se accompagnato dai necessari supporti a
livello nazionale e territoriale volti a conferire un
carattere di attendibilità.
Ma in realtà, allo stato attuale, sembra che le scuole
partecipanti non coinvolgono necessariamente tutte le classi e
sezioni possibili, ma solo alcune dove esistono i necessari
requisiti (vedi oltre). In tal modo l’iniziativa si
ridimensiona notevolmente. Ma forse era anche questo l’obiettivo
dello stesso Consiglio dei Ministri coinvolto direttamente (e
straordinariamente) nel problema (si parlava, nella seduta
apposita, di una quarantina di scuole).
Cercheremo di capire, anche nel
corso dell’analisi degli altri articoli del decreto, se ci
saranno le condizioni reali perché la sperimentazione possa
diventare un test attendibile (tempi adeguati, risorse
disponibili, azioni di monitoraggio tempestive, sistemi di
supporto e consulenza, verifiche dei processi e degli esiti…).
|
2. La
sperimentazione, da attuarsi nell'anno scolastico 2002/2003,
assume le caratteristiche di laboratorio di ricerca sui
contenuti attinenti alla riforma degli ordinamenti scolastici
nella scuola dell'infanzia e nella scuola elementare e, per
quest'ultima, limitatamente alla prima classe.
|
Il
comma è invariato
La questione
dei laboratori, qui appena sfiorata, costituisce uno dei
richiami più ricorrenti sia nei precedenti documenti del
gruppo ristretto di lavoro (grl) coordinato dal prof. Bertagna,
sia nei documenti allegati alla bozza di decreto (cfr
Raccomandazioni). Si potrebbe, per questo, dedurre che “i
laboratori di ricerca” oltre a costituire una modalità di
approccio al sapere che la scuola è invitata a favorire,
possono rappresentare anche oggetti della sperimentazione.
Secondo le Raccomandazioni
(che non hanno carattere prescrittivo, ma orientativo, e
che attualmente sono in fase di revisione),
i laboratori suggeriti (previsti) per la scuola primaria sono
6:
-
Attività informatiche
-
Attività di Lingue
-
Attività espressive
-
Attività di progettazione
-
Attività motorie e sportive
-
Larsa (laboratorio di recupero e sviluppo degli
apprendimenti).
Secondo le stesse
Raccomandazioni i laboratori possono essere predisposti all’interno
dell’Istituto e/o tra più Istituti in rete, servendosi dell’organico
d’Istituto e di rete a disposizione. Gli scambi
professionali, che costituivano un’opportunità quasi
esclusiva degli Istituti Comprensivi, si allargano, in tal
modo, anche tra più istituti o ordini di scuola.
Abbastanza complesso risulta un
possibile utilizzo dei docenti tra scuole diverse (in rete). E
le difficoltà organizzativo-funzionali possono avere
ripercussioni anche sui trattamenti di tipo contrattuale
(regole, garanzie, obblighi…) ed economico (acquisizione di
risorse per compensare eventuali impegni eccedenti, modalità,
criteri…)
In ogni caso, tali docenti dovranno entrare a pieno titolo
a far parte dell’équipe pedagogica che realizza l’apprendimento
della scuola primaria, allo scopo di garantire una mediazione
didattica adeguata e di operare in modo integrato per tempi e
contenuti con gli altri docenti della classe.
Per gli
istituti comprensivi, invece, questa indicazione rappresenta
un’ulteriore formalizzazione di una consuetudine oramai
acquisita (docenti li lingua straniera, musica, attività
motorie… che operano sui tre gradi di scuola).
I
laboratori sono a carattere opzionale. L’alunno viene
aiutato nella scelta dal docente tutor (cfr.
art. 6 flessibilità organizzativa della scuola elementare)
in accordo con gli altri docenti e la famiglia, ed ogni
opzione è inserita nel Piano di studi personalizzato (cfr
nelle Raccomandazioni relative,
il paragrafo: “I
laboratori: consigli per l’uso”).
Pe la scuola dell’infanzia i
laboratori suggeriti (cfr
Raccomandazioni relative)
riguardano:
-
le attività di simulazione (gioco del far finta)
-
la fruizione e la produzione dei linguaggi non verbali
-
l’elaborazione di specifici progetti.
|
3. Nelle suddette scuole, ove
esistano le condizioni, può essere sperimentata anche
l'anticipazione della frequenza: nella scuola dell'infanzia,
per le bambine ed i bambini che compiono i tre anni di età
entro il 28 febbraio 2003; nelle classi prime della scuola
elementare, per le bambine ed i bambini che compiono i sei
anni di età entro il 28 febbraio 2003.
|
Il
comma è modificato
Rispetto al comma analogo della
Bozza, la questione dell’anticipo (che resta comunque
controversa anche per le stesse forze di maggioranza) non
viene più limitata alla metà delle scuole sperimentanti, ma
posta come possibilità per tutte le 200 istituzioni e le 40
scuole paritarie.
Viene un po’
da riflettere sul fatto che per queste ultime la
sperimentazione dell’anticipo potrebbe diventare la
normalizzazione di una prassi già esistente in cui sono
accettati (di norma o eccezionalmente) anche i bambini non
solo nati entro il 28 febbraio, ma anche successivamente.
Nelle operazioni di supporto dei gruppi tecnici regionali,
sarà opportuno inserire anche la verifica di questa
condizione.
Il comma fa
riferimento alle condizioni di fattibilità che in realtà non
sono ancora annunciate. Esse vengono ricavate, a volte anche
in termini inferenziali, nei commi e articoli successivi.
È abbastanza prevedibile che
la questione dell’anticipo diventi il tema di maggiore
interesse per le famiglie e di conseguenza anche per i media.
Per le prime, infatti, possono
costituire una modalità efficace per risolvere alcuni
problemi organizzativi (gli asili nido sono costosi e rari,
come pure il ricorso quotidiano a brave babysitter). Per i
media, è più facile parlare di aspetti quantitativi
piuttosto che avviare un complesso dibattito di tipo
pedagogico didattico che tutta la proposta di riforma
meriterebbe. Ciò che pone qualche perplessità, però, è
proprio la mancanza di una seria analisi in merito e il dubbio
reale che la scelta sia stata effettuata solo per motivi
residuali viste le forti opposizioni della scuola elementare,
media e superiore a ridurre di un anno i rispettivi corsi di
studio, essendo venuta a cadere l’ipotesi della scuola di
base in un unico segmento e volendo contestualmente far
completare il corso di studi entro il diciottesimo anno di
età, in sintonia con le scelte della maggior parte dei paesi
europei.
|
4. In presenza di
un numero di bambine e bambini eccedente la disponibilità dei
posti, il consiglio di circolo o di istituto individua i
criteri per l'ammissione alla frequenza anticipata.
|
Il
comma è cambiato
Nella Bozza si
parlava di riapertura delle iscrizioni che avrebbe costituito
un serio problema per i tempi e per le procedure
Nella prospettiva, infatti, di
un coinvolgimento democratico e partecipato, sarebbero
venute a mancare le condizioni essenziali (strategie di
condivisione, accurate azioni
informative…).
Queste difficoltà hanno fatto
optare per procedure più “informali” che forse potrebbero
dare adito a critiche circa la trasparenza e la
democraticità, e al corretto uso delle norme fondamentali.
Ci sono problemi relative alle
eccedenze (è possibile accettare richieste che provengono da
altre zone?) Come facciamo a stabilire il numero dei bambini
che di fatto possiamo accogliere?
Sono questioni che si
ripropongono anche negli articoli che seguono.
|
5. L'adesione al
progetto viene deliberata dagli organi collegiali di circolo o
di istituto secondo la normativa vigente, con particolare
riferimento all'art. 3 del D.P.R. n. 275/99.
|
È un comma nuovo rispetto alla bozza
che riteniamo molto importante per il riferimento alle
delibere degli organi collegiali, ma soprattutto per il
richiamo all’art. 3 del DPR 275/1999 che riguarda “l’autonomia
didattica, di ricerca, di sperimentazione e sviluppo”.
Ciò ricorda alla scuola che sperimenta la sua responsabilità nelle
scelte proprio per i poteri assegnati dal Regolamento. Ne
potrebbe conseguire anche possibili discrepanze rispetto ad
eventuali interpretazioni rigide delle indicazioni del Decreto
(es. orario di insegnamento frontale sul docente tutor,
oppure: sperimentazione di tutto il pacchetto del decreto o
solo di alcune parti).
|
6. Per quanto
riguarda la scuola dell'infanzia, la sperimentazione
dell'anticipo è attuata, d'intesa con gli Enti Locali
interessati, sulla base della libera adesione dei genitori,
nonché in presenza di effettive condizioni di fattibilità.
|
Scuola dell’infanzia
Questo
comma corrisponde al n. 5 della Bozza. Non è stato modificato
nei contenuti, ma vi si legge una maggiore perentorietà
rispetto alle intese con gli Enti locali
|
7. I bambini e le
bambine, nei confronti dei quali è consentita la frequenza
anticipata nella scuola dell'infanzia, sono individuati
facendo riferimento agli asili nido eventualmente presenti nel
territorio, e sempreché non esistano liste di attesa di
coloro che compiano i tre anni di età entro il 31.12.2002.
|
Scuola
dell’infanzia
Questo
comma è nuovo rispetto alla bozza.
Non si può
ignorare che la presenza del nido è poco diffusa a livello
nazionale. Ci sono comuni che non si possono permettere tale
servizio, ci sono nidi che soddisfano solo una bassa
percentuale della domanda. La possibilità dell’anticipo
costituisce sicuramente una novità interessante per gli Enti
locali che, in tal modo, si trovano ad ampliare il servizio
senza ulteriori ed onerosi impegni di bilancio. A partire da
queste considerazioni, è probabile che essi siano disposti a
ridislocare parte delle risorse, virtualmente
economizzate, per venire incontro alle esigenze della
sperimentazione della riforma. Però, malgrado l’auspicabile
supporto dell’Ente locale, torna impellente la questione dei
tempi tecnici necessari per la predisposizione delle
condizioni, almeno di prima accoglienza, dei bambini di due
anni e mezzo. È abbastanza improbabile, infatti, che una
scuola, oltre agli spazi necessari, abbia già disponibili
nuovi arredi e nuovi materiali, indispensabili per questa
fascia di età, e docenti preparati in tal senso o disposti ad
acquisire immediatamente le nuove competenze richieste, senza
che siano chiariti neanche i vantaggi sul piano culturale e
professionale.
Un problema ulteriore è costituito
dall’individuazione degli aventi diritto nei territori dove
non ci sono gli asili nido. Vanno adottati dei criteri, che
potrebbero destare perplessità, specialmente nelle realtà
territoriali che non corrispondono tout
court all’istituzione scolastica. Ricordiamoci che da
molto tempo non esiste più il bacino di utenza come
condizione di accesso ad una determinata scuola.
|
8. Nella prima
classe della scuola elementare, ferma restando la libera
adesione dei genitori, ai fini della sperimentazione
dell'anticipo, l'individuazione delle bambine e dei bambini é
effettuata tra coloro che, avendone i requisiti, provengano
dalle scuole dell'infanzia nell'ambito territoriale dello
stesso circolo didattico o istituto comprensivo.
|
Classe
prima elementare
Corrisponde
al n. 6 della Bozza.
In questa versione ci sono
alcune “liberalizzazioni”. È stato tolto il termine “prioritariamente”
per l’individuazione della scelta, ed è stato inserito un
nuovo concetto: quello di “territorio” che, a nostro
parere, complica ulteriormente la questione.
L’individuazione dei bambini
che possono accedere alla prima classe elementare avviene non
più prioritariamente tra coloro che provengono dalla scuola
dell’infanzia dello stesso circolo o istituto comprensivo,
ma nell’ambito “territoriale”
Ciò potrebbe incentivare flussi atipici di iscrizione
sulla base di questa possibilità data alle scuole
sperimentali. È quello, forse, su cui puntano “segretamente”
alcuni istituti, che hanno aderito alla sperimentazione: la
speranza è quella del consolidamento dell’organico (se non
addirittura di un futuro aumento).
Ma qual è il concetto di “territorio” cui
attenersi? È quello corrispondente alla scuola? Si parlerebbe
allora di bacino di utenza (oramai superato). È lo stesso
concetto da applicare sia nelle zone metropolitane, sia nei
quartieri o nei piccoli paesi? Corrisponde ai limiti
amministrativi di un Comune? Ma sappiamo bene che nelle zone
di confine spesso insistono più realtà scolastiche.
Ed ancora: se, come ribadito, per le classi che
sperimentano (e
quindi anche dell’intero piano sperimentale) va acquisita la
libera adesione dei genitori, come
va considerata la volontà dei genitori dei bambini comunque
“obbligati” che si trovano dentro lo stesso progetto? Non
deve essere acquisita anche la loro disponibilità? Questo
comma sembrerebbe escluderli. Ma se la sperimentazione (come
viene detto in più parti) non deve intendersi solo come
anticipo, se la sua qualità dipende soprattutto dagli aspetti
pedagogici, didattici, organizzativi, e se questi vengono
modificati rispetto alle scelte precedentemente formalizzate
nel POF, come minimo, si rende necessario almeno il
ricoinvolgimento di tutti i genitori delle classi che stanno
dentro il nuovo progetto. Per un genitore non è la stessa
cosa poter contare su tre insegnanti, con una distribuzione
pressoché uniformi di incarichi, al posto di un insegnante
tutor e di altri residuali (come tempo) per le attività di
laboratorio.
|
Art. 2
Requisiti
del progetto
|
1. Il progetto
di sperimentazione, da elaborare a cura delle scuole
interessate in funzione di una piena valorizzazione
dell'autonomia scolastica, deve recare l'indicazione dei
contenuti, degli obiettivi, degli strumenti da utilizzare,
delle condizioni organizzative, dei procedimenti metodologici
prescelti e delle relative fasi di attuazione.
|
Il
comma è rimasto invariato
La scuola deve
produrre un progetto di sperimentazione. La tipologia del
progetto viene indicata in questo articolo, ma va integrata
recuperando anche quanto viene suggerito dalle “Indicazioni”
e “Raccomandazioni” che costituiscono i documenti allegati
alla bozza di decreto.
In sintesi, il
progetto di sperimentazione:
-
ha come quadro di riferimento le Indicazioni
Nazionali per i piani di studio personalizzati
(art. 3 comma 1 e, come quadro orientativo, le relative Raccomandazioni);
-
deve essere elaborato a cura delle scuole (art.
2 comma 1);
-
deve partire dalla verifica delle condizioni di fattibilità (art.
2 comma 2);
-
deve individuare le azioni di monitoraggio delle attività da
porre in essere in funzione dei risultati da raggiungere (art.
2 comma 2)
-
deve contenere (art. 2 comma 1):
-
l’indicazione dei contenuti prescelti;
-
l’individuazione degli obiettivi da conseguire;
-
la selezione degli strumenti da utilizzare;
-
la descrizione delle condizioni organizzative;
-
la scelta dei procedimenti metodologici;
-
l’individuazione delle relative fasi
di attuazione.
-
deve essere recepito nel Piano dell’Offerta Formativa (art.
2 comma 3).
-
deve essere realizzato in stretta collaborazione con le
famiglie interessate (art. 2 comma 3).
Tutto
questo richiede la disponibilità di tempi distesi. In che
misura i collegi possano concretamente realizzare un progetto
mirato partendo dalla conoscenza dei documenti
(Indicazioni e Raccomandazioni
– la versione definitiva di queste ultime non è ancora
disponibile) cui necessariamente devono far riferimento?
Essi presentano difficoltà di lettura per la quantità dei
contenuti proposti, ma anche per lo lessico utilizzato, che
appare abbastanza difforme rispetto al dibattito avviato dalla
precedente proposta di riforma e rispetto alla tradizione
pedagogica e didattica della scuola italiana.
|
2. Il progetto di sperimentazione
attesta l’avvenuta verifica delle condizioni di fattibilità
ed individua le azioni di monitoraggio delle attività da
porre in essere in funzione dei risultati da raggiungere.
|
Il
comma non è mutato
Qui si fa di
nuovo riferimento alle condizioni di fattibilità che ancora
non vengono esplicitate (cfr.
art. 1, comma 3).
Le condizioni
a carattere generale successivamente enunciate sono:
-
l’intesa con gli Enti locali (art.
1 comma 5)
-
la disponibilità di bilancio delle scuole (art.
2 comma 7)
-
le risorse acquisite in ambito regionale (art.
2 comma 7)
-
i finanziamenti nazionali (art. 2 comma 7)
Più implicite risultano invece
le condizioni delle scuole statali e paritarie che
sperimentano l’anticipo.
Ipotizziamone alcune:
-
la presenza di posti di fatto disponibili nelle sezioni e
nelle classi prime;
-
la possibilità di dislocare alcune
risorse (docenti di lingua inglese ed informatica) anche in
prima classe elementare;
-
la possibilità di adattare spazi
alle esigenze di bambini di due anni e mezzo;
-
la disponibilità dell’ente
locale ad investire repentinamente almeno per le prime
necessità (piccoli interventi strutturali, acquisto materiali…);
-
la presenza di una tradizione
cooperativa tra nido e scuola dell’infanzia;
-
la
disponibilità degli operatori scolastici a partecipare alla
sperimentazione;
L’adesione degli organi
collegiali e la predisposizione di azioni di monitoraggio e di
verifica, restano condizioni per tutti.
Sembra
del tutto improbabile la possibilità di avere a disposizione
altri docenti oltre la dotazione organica assegnata. Qualche
pallida possibilità di ulteriori fondi mirati alla
sperimentazione, risiede in una possibile ridistribuzione di
risorse, da parte dell’Ufficio scolastico regionale.
|
3. La sperimentazione è recepita
nel Piano dell’Offerta Formativa e viene realizzata in
stretta collaborazione con le famiglie interessate.
|
Il
comma non è mutato
Doveroso ed
ovvio appare il richiamo alla collaborazione con le famiglie,
ma se la collaborazione va ad influire sui processi
decisionali, non si può ignorare, né sottovalutare, la
ristrettezza dei tempi ristretti a disposizione.
Se la sperimentazione deve essere
recepita (giustamente) nel POF, se questo deve essere
presentato ai genitori, seppure in versione ridotta, all’atto
dell’iscrizione, i tempi che la scuola ha a disposizione per
aderire al piano regionale, realizzare il progetto e inserirlo
nel POF, dovrebbero essere collocati almeno prima della
riapertura delle scuole.
Il Decreto
reca la data del 18 settembre (a scuola iniziata nella
maggioranza della regioni). Un collegio che abbia interesse a
discutere la proposta sperimentale non può tener presente una
bozza di decreto (tra l’altro, come abbiamo visto,
modificata) ma solo un atto normativo a tutti gli effetti.
Sarebbe
stata cosa buona avere a disposizione (anche se in situazione
di urgenza) almeno una settimana per poter affrontare
consapevolmente la questione e assumere decisioni condivise e
responsabili.
La fretta
dipende anche dal fatto che un ulteriore slittamento farebbe
venire a mancare i 200 giorni indispensabili per la
regolarità dell’anno scolastico.
Ci viene il
dubbio che tutta l’operazione manchi di alcuni presupposti
di fondo tra cui una buona previsione della tempistica.
|
4. L’utilizzazione dei docenti e
del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, ai fini
della realizzazione della sperimentazione, avviene nel
rispetto dei complessivi obblighi di servizio, previsti dai
contratti collettivi, che possono essere assolti anche sulla
base di una apposita programmazione plurisettimanale.
|
Il
comma è rimasto invariato
Va analizzata la possibilità
di utilizzare gli incentivi previsti dall’attuale normativa
(funzioni aggiuntive per il personale amministrativo, risorse
del fondo d’istituto, risorse per l’autonomia, per la
formazione e l’aggiornamento, altre provenienti da cespiti
diversi…). Dovranno essere rispolverate le norme
contrattuali che riguardano la flessibilità dell’orario di
servizio anche per gli uffici e per il personale
amministrativo. Se si pensa, infatti, che la scuola dell’infanzia
potrebbe articolarsi su modelli che vanno dalle 1000 alle 1800
ore complessive annuali (cfr.
Indicazioni nazionali per l’a scuola dell’infanzia),
la flessibilità degli orari degli uffici amministrativi
diventa in tal modo oltre che una necessità anche un’urgenza.
Ma le norme attualmente vigenti (contratti nazionali) sono
piuttosto restrittive.
|
5. La sperimentazione riguarda gli
aspetti del progetto nazionale. L'attivazione della
sperimentazione, secondo quanto indicato nei successivi
articoli, avviene nell'ambito della flessibilità
organizzativa e metodologico-didattica prevista dal
regolamento sull'autonomia scolastica.
|
È
cambiato l’impianto linguistico del comma. Qui è
rinvenibile un richiamo al Regolamento dell’autonomia
scolastica.
Si tratta di
una sperimentazione che deve coniugare gli aspetti della
sperimentazione previsti nel Decreto con i poteri delle scuole
autonome oramai riconosciuti anche dalla recente legge
costituzionale (n. 3. del 18.10.2001). Inoltre la
sperimentazione riguarda non solo l’“anticipo”, ma anche
i diversi problemi di ordine pedagogico, didattico e
metodologico, sia connessi con l’anticipo, sia indipendenti,
previsti dal progetto nazionale.
|
6. Nella scuola elementare
l'attivazione dell'insegnamento della lingua straniera
(inglese) e dell'alfabetizzazione informatica rappresenta
connotazione essenziale del progetto di sperimentazione.
|
Lieve
modifica.
Mentre nel
comma della Bozza si indicava nella lingua inglese e nell’alfabetizzazione
informatica la condizione per l’adesione alla
sperimentazione, qui si parla invece di un progetto che abbia
tali discipline come elementi “connotanti”. Si avverte,
quindi, una minore categoricità del modello.
L’insegnamento
dell’inglese e l’avvio all’alfabetizzazione informatica
non costituisce una novità assoluta, neanche se riferita alla
prima classe elementare come viene annunciata dai mass media,
ma viene a porsi come una garanzia per i bambini inseriti nel
progetto sperimentale.
Anche se la stessa legge di
riforma degli ordinamenti della scuola elementare (148/1990)
aveva garantito l’insegnamento della seconda lingua,
tendenzialmente a partire dalla terza classe, molte scuole
erano state in grado di anticiparlo anche in prima elementare.
I numerosi interventi volti alla diffusione delle tecnologie
informatiche e comunicative avevano posto le istituzioni
scolastiche nelle condizioni di predisporre interventi
educativi in tal senso anche nelle prime classi. Naturalmente,
ciò non può considerarsi una soluzione ovunque diffusa.
Dovendo ricorrere,
presumibilmente, all’organico esistente, le scuole
interessate dovranno ridislocare le risorse, a livello di
circolo, anche nelle classi prime. Già, per esempio, se si
articolano le 9 ore previste per la terza, quarta e quinta
elementare su tutte le 5 classi, assegnando a ciascuna solo
due delle tre ore settimanali attualmente previste dalla
norma, già si verrebbe a soddisfare facilmente questa
condizione.
Ma ciò comporta anche una
riduzione delle prestazioni già garantite per alcune classi.
|
7. Le innovazioni sperimentali
possono essere realizzate tenendo conto delle disponibilità
di bilancio delle singole istituzioni scolastiche interessate,
delle risorse acquisibili in ambito regionale e di
finanziamenti mirati a livello nazionale, comunque attualmente
presenti in bilancio.
|
Il
comma è immutato
In questo
comma viene fornito un primo elenco di condizioni:
-
disponibilità di bilancio delle scuole
-
risorse acquisite in ambito regionale
-
finanziamenti nazionali
Si chiarisce, innanzitutto, che
le scuole devono avere già risorse a disposizione da
investire nella sperimentazione (sperando che tale scelta non
vada a svantaggio di altre classi). Ciò non significa, però
che l’ufficio regionale, nell’ambito delle risorse
assegnate alla direzione regionale, non possa favorire le
scuole “sperimentali” con una quota di finanziamento
aggiuntivo volto, per esempio, alla formazione del personale.
Non è chiaro, invece, se a livello nazionale, possono essere
riutilizzati fondi eventualmente accantonati o non impiegati
nel precedente esercizio finanziario.
Vengono
messe alla prova: la responsabilità della scuola autonoma; la
capacità nell’organizzazione delle risorse dell’ufficio
scolastico regionale e, naturalmente, il tipo di impegno per
la sperimentazione della riforma all’interno delle politiche
nazionali.
|
8. La sperimentazione è assistita
e sostenuta da strutture di supporto, consulenza e
monitoraggio di livello locale e nazionale.
|
Il
comma non è mutato
Quali sono le
strutture di supporto, di consulenza e monitoraggio? Se ne
prevedono a livello nazionale per un pilotaggio generale del’iniziativa
sperimentale, e locali per mettere le scuole nelle condizioni
di essere aiutate costantemente a risolvere i principali
problemi.
L’istituzione
di tali strutture costituisce un compito dell’Ufficio
scolastico regionale contestualmente alla stesura del piano
regionale di sperimentazione ad opera dell’Osservatorio
regionale (cfr art. 11).
Mentre la
composizione di quest’ultimo organismo viene definito dall’artico
11, comma 3, nulla si dice della composizione delle strutture
di supporto. L’ufficio scolastico regionale potrebbe far
ricorso alle figure tecniche attualmente esistenti (dirigenti,
ma anche responsabili degli ex uffici studio, personale
comandato…). Però, la mancanza di sevizi tecnici (già
previsti dal DPR 347/2000 e mai di fatto realizzati) pone
problemi di diversa natura.
|
Art.
3
Quadro
di riferimento dell’iniziativa
Obiettivi
generali e specifici e piani di studio personalizzati
(viene
meglio definito nel titolo)
|
1.
Il quadro di riferimento dell'iniziativa sperimentale,
gli obiettivi generali del processo formativo, nonché gli
obiettivi specifici di apprendimento sono individuati dalle
allegate Indicazioni Nazionali per i piani di studio
personalizzati, riferite specificatamente alla scuola
dell'infanzia ed alla scuola elementare, con esclusivo
riguardo, per quest'ultimo grado di studi, alla prima classe.
|
Leggermente
modificato. Le “Raccomandazioni” non costituiscono più un
punto di riferimento, ma solo le “Indicazioni”
Le
scuole che intendono realizzare il progetto di sperimentazione
devono far riferimento alle Indicazioni
Nazionali che
esplicitano i
livelli essenziali di prestazione a cui tutte le scuole sono
tenute per garantire il diritto personale, sociale e civile
all’istruzione e alla formazione di qualità.
Gli
insegnanti chiamati a redigere il progetto non possono
ignorare tali documenti. Ma senza entrare nel merito dei
contenuti vanno evidenziate alcune difficoltà oggettive di
lettura, dovute anche alle scelte terminologiche non sempre
usuali, ai nuovi significati attribuite ai termini pedagogici
e didattici. Su questi ultimi i docenti non hanno ancora avuto
la possibilità di esercitarsi, sia perché reduci dal
precedente dibattito sulla riforma Berlinguer-De Mauro, sia
perché abituati ad alcune proprie consuetudini lessicali.
Tali documenti non essendo stati, inoltre, preceduti da note
divulgative, dibattiti, forum… rischiano di rimanere, per la
scuola, ancora a lungo privi di attrazione.
Sulla
questione del lessico, va sottolineata una certa
preoccupazione anche da parte degli estensori delle
Raccomandazioni tanto che si suggeriscono, nel documento
stesso, alcune interpretazioni. Se, per un verso, ciò
potrebbe aiutare gli insegnanti a ricostruire un linguaggio
condiviso, per un altro, potrebbe interferire con
l'autonomia didattica degli stessi (obiettivi e competenze di
Stato?) creando possibili disagi a livello
tecnico/scientifico.
|
2. Aspetti
essenziali della sperimentazione sono
a)
la progettazione, nel quadro degli obiettivi generali e
specifici di apprendimento, di piani di studio personalizzati,
attraverso l’individuazione di obiettivi correlati alla
maturazione delle competenze degli allievi, al tempo scuola,
all’articolazione delle attività didattiche per classe e
per gruppi laboratoriali ed alle risorse organizzative dell’istituto;
b)
la compilazione del Portfolio delle competenze individuali ai
fini dell’orientamento e della valutazione degli allievi;
c)
la flessibilità del modello
organizzativo;
d)
la continuità educativa e didattica per la gestione dell’anticipo
scolastico e per la qualificazione del collegamento tra asili
nido, scuola dell’infanzia e scuola elementare;
e)
l'organizzazione della funzione docente legata
all'espletamento di compiti di tutoraggio, coordinamento, ecc.
e le conseguenti esigenze di formazione in servizio, nel
rispetto delle norme contrattuali che disciplinano le
relazioni sindacali..
|
Leggermente riformulato
a. Obiettivi generali, obiettivi specifici, piani di
studio, competenze…, pur essendo termini che fanno parte
della storia della nostra scuola, pongono comunque ai docenti
problemi se i significati attribuiti nel documento
corrispondono alla loro interpretazione. C’è una tradizione
che fa ricorso ad un linguaggio abbastanza condiviso (se non
altro all’interno di ogni singolo ordine di scuola), permane
l’eco del dibattito culturale degli ultimi anni (il
documento dei saggi, le competenze dei curricoli della legge
30/2000), ci sono le nuove scelte terminologiche dell’attuale
proposta di riforma (documenti Bertagna, Indicazioni e
Raccomandazioni nazionali…). È naturale che gli insegnanti
siano abbastanza disorientati; occorre, per questo, ancora di
più favorire un’ampia riflessione collegiale per poter
costruzione il progetto di sperimentazione, almeno per
acquisire la consapevolezza dei problemi che vanno
progressivamente affrontati.
b. Il portaolio costituisce una
novità che potrebbe stimolare notevolmente tutta la scuola,
non solo i soggetti interessati alla sperimentazione. Seguire
il percorso del bambino attraverso uno strumento che
garantisca una maggiore trasparenza e sistematicità è stata
sempre avvertita come una reale esigenza dai docenti, ma anche
dalle stesse famiglie. Fino ad oggi, la questione non è stata
mai affrontata in maniera organica, seppure qualche volta è
stata oggetto di attenzione a livello istituzionale.
Sarebbe, comunque, opportuna
una maggiore chiarezza sia sull’uso del documento, sia sui
confini tra scuola e famiglia in materia di valutazione. A
ciò si aggiunge la necessità di formare i docenti
interessati, a partire dalle diverse esperienze già
realizzate, sia a livello locale in alcune scuole dell’infanzia
ed elementari particolarmente sensibili, sia livello europeo e
internazionale.
c. La flessibilità fa parte
della cultura della scuola dell’infanzia e della scuola
primaria, anche se sono ancora presenti nel nostro sistema
scolastico alcuni modelli “irrigiditi” che provengono da
interpretazioni di natura amministrativa della legge 148/1990.
Ma l’autonomia, per un verso, il contenimento degli
organici, per un altro, già da alcuni anni hanno posto le
scuole nelle condizioni di ottimizzare le risorse eliminando
sprechi e ridondanze. L’ipotesi di una sperimentazione
incentrate su un docente che deve prestare 21 ore frontalmente
(minimo 18) potrebbe “raffreddare” la flessibilità
piuttosto che enfatizzarla.
d. Il collegamento con il nido
si pone con maggiore
necessità, anche se i bambini frequentati il nido
costituiscono una percentuale molto bassa.
La continuità, posta però
solo sulla questione dell’anticipo, potrebbe risultare di
tipo minore, specialmente se si pensa che nei diversi articoli
del Decreto non si fa alcun cenno ai guadagni indubbi che gli
istituti comprensivi hanno acquisito dal 1995 in poi e che
potrebbero costituire buone pratiche spendibili per tutto il
processo innovativo.
e.
Viene eliminata la parola prevalenza
Per lo sviluppo dell’autonomia
e della qualità della scuola, maggiormente efficace potrebbe
risultare la possibilità di sperimentare una serie di modelli
flessibili. Già nel 1996 la circolare n. 116 aveva parlato di
gruppo docenti e di
ambiti; la circolare n. 335 del 29 luglio 1998 (sulla
gestione dell'organico funzionale di circolo nella scuola
elementare) faceva riferimento al gruppo
di insegnamento; e
nella circolare n. 99 del 12 aprile 1999, relativa alla Scuola materna statale, si parlava di gruppo
docente e di organizzazione del lavoro. Sono documenti che
testimoniano forti evoluzioni organizzative delle scuole post
Orientamenti/1991 e post legge 148/1990.
|
Art.
4
Obiettivi
generali e specifici e piani di studio personalizzati
|
1. Gli
obiettivi generali del processo educativo, nonché gli
obiettivi specifici di apprendimento della scuola dell’infanzia
e della scuola elementare sono quelli contenuti nelle Indicazioni
Nazionali per i piani di studio personalizzati (allegati 1
e 1a) e nelle relative Raccomandazioni
di attuazione (allegati 2 e 2a).
|
Questo
articolo viene totalmente eliminato
|
Art. 4
(ex art. 5)
Continuità
educativa
Raccordi tra asilo nido,
scuola dell’infanzia e scuola elementare |
1.
La scuola dell’infanzia cura l’attivazione di forme di
raccordo con i servizi educativi pre-scolastici ed in
particolare con l’asilo nido, soprattutto laddove si
sperimenti anche l’anticipazione della frequenza.
|
Il
comma resta immutato
Il richiamo
alla continuità educativa e didattica per la gestione dell’anticipo
scolastico dell’art. 3
(comma 2, punto d) viene qui arricchito suggerendo azioni
specifiche di raccordo con i servizi educativi prescolastici.
Fino ad oggi, a parte alcune realtà avanzate (scuole materne
comunali, nidi, sezioni primavera dei servizi privati… di
poche regioni del centro nord), le esperienze di continuità
tra nido e scuola materna sono state piuttosto inconsistenti.
Tutto da inventare, poi, con le strutture private, sia quelle
di pregio, sia quelle molto vicine al vecchio “badantato”
o all’odierno “babysitteraggio”
|
2. La scuola elementare attiva forme di raccordo pedagogico,
didattico ed organizzativo con la scuola dell’infanzia. I
progetti di continuità, che descrivono anche le modalità di
rapporto con i genitori degli alunni nonché forme di
valorizzazione della cultura e della comunità di appartenenza
dei bambini, trovano esplicita formulazione nei piani dell’offerta
formativa dell’istituzione scolastica. Tali progetti possono
prevedere la costituzione di team integrati tra docenti della
scuola elementare e quelli della scuola dell’infanzia.
|
Il
comma è identico al precedente
Il raccordo
pedagogico didattico e organizzativo tra scuola materna e
scuola dell’infanzia costituisce uno degli aspetti
fondamentali del progetto di sperimentazione. L’insistenza
nella bozza di decreto sulla questione della continuità
sembra quasi una risposta a coloro che hanno mostrato forti
perplessità di fronte al ripristino dei tre segmenti di
scuola dopo la sospensione della legge 30/2000.
Particolarmente difficile
appare, tuttavia, la possibilità di contare proficuamente ed
efficacemente sui team integrati tra docenti dei due ordini di
scuola in un sistema che è destinato oramai a rimanere
diviso.
Per un
trentennio, infatti, ci sono state sollecitazioni
istituzionali e amministrative volte a superare gli steccati
anche attraverso la ricerca di strategie per una progressiva
integrazione tra professionalità differente. Nel 1992 un
complesso DM seguito da una articolatissima circolare (n. 339
del 16.11.1992) hanno tentato di sollecitare azioni più
sistematiche di raccordo didattico, pedagogico e curricolare.
Ma nulla di importante è veramente avvenuto prima della
costituzione degli istituti comprensivi. L’attuale richiamo
alla continuità, dentro una proposta di riforma che non
modifica gli aspetti strutturali della scuola, e ignora anche
gli istituti comprensivi, appare dunque come un déjà
vu.
In questo comma non si fa cenno
ad un eventuale raccordo curricolare È una semplice
dimenticanza? È una scelta di principio (minimizzare,
ignorare o non riconoscere il curricolo nella scuola dell’infanzia
e nella scuola elementare)? O è una rinuncia dettata dal c.d.
buon senso, considerando le difficoltà incontrate nelle
passate esperienze?
Va, comunque, posto in evidenza che
la scansione proposta per il quinquennio elementare dal
disegno di legge 1306 del 14.3.2002 (1+2+2) potrebbe favorire
molto di più il raccordo con la scuola dell’infanzia
piuttosto che quello con la scuola media.
|
Art.
5
(ex
art. 6)
Flessibilità
organizzativa nella scuola dell’infanzia
|
1.
La sperimentazione nella scuola dell’infanzia comporta un’accentuazione
della flessibilità organizzativa, da articolare con
particolare riguardo agli aspetti concernenti:
-
la riorganizzazione delle sezioni;
-
la ristrutturazione degli spazi;
-
la rimodulazione dei tempi;
-
la ridefinizione delle attività ricorrenti di vita
quotidiana;
-
il potenziamento dei tempi riservati all’accoglienza.
|
Il comma non è mutato
Molte sono
state le esperienze del passato che hanno approfondito i
problemi organizzativi nell’ottica della flessibilità.
Vanno ricordati, per esempio, i progetti “Ascanio” e “Alice”,
come pure va ricordato il provvedimento volto ad introdurre
gradualmente gli indicatori di qualità per la scuola dell’infanzia,
sospeso nell’estate 2001.
Nelle “Indicazioni nazionali”
(paragrafo: Vincoli organizzativi) si dice che la flessibilità dell’orario
dovrà essere in relazione dell’età dei bambini, delle
esigenze delle famiglie, delle condizioni socio-ambientali e
delle convenzioni con enti ed istituzioni del territorio per
lo svolgimento di determinate attività o servizi. Le scuole
che sperimentano l’anticipo, quindi, hanno un numero assai
consistente di variabili da controllare nell’ottica della
flessibilità.
La gestione di tante variabili
richiede un livello di elaborazione alto e un tempo disteso
per la progettazione delle iniziative connesse, su cui,
invece, la sperimentazione sembra proprio non poter contare.
Inoltre, nelle Indicazioni
si forniscono riferimenti, circa l’organizzazione del tempo
scolastico, a modelli articolati su 1000, 1300, 1600 e 1800
ore, secondo le modalità che i Piani dell’Offerta Formativa devono stabilire Va comunque precisato che attualmente la scuola mette a
disposizione un modello che prevede, nella maggior parte dei
casi, 1440 ore, che derivano dalle 36 settimane (dalla seconda
di settembre all’ultima di giugno) per otto ore giornaliere,
escluso il sabato. Un’offerta formativa di 1.600/1.800 ore
annue pone sicuramente ulteriori problemi, specialmente se
connessi con un organico che tende a ridursi piuttosto che ad
ampliarsi.
|
2. Nel caso in cui l’iniziativa sperimentale preveda
anche l’anticipazione della frequenza, attraverso specifiche
intese con gli Enti Locali, viene curata la collaborazione con
gli asili nido del territorio, anche al fine di avvalersi di
specifiche figure professionali in essi presenti.
|
Il
comma è rimasto invariato
Ritorna ancora
il concetto che l’intesa con l’ente locale deve costituire
una delle condizioni per sperimentare l’anticipo (cfr.
art. 1, comma 6).
Va indagato con molta
accuratezza come le scuole possono “avvalersi” di
specifiche figure professionali degli enti locali.
La nostra scuola dell’infanzia
non è attrezzata né strutturalmente né professionalmente ad
accogliere bambini di due anni e mezzo. I comuni invece hanno
in loro attivo molte esperienze, alcune delle quali anche
eccellenti. Come è possibile far tesoro di queste esperienze?
Che tipo di “contaminazione” positiva può essere
favorita? Con quali modalità si possono definire accordi
(convenzioni) utili per avvalersi delle competenze
professionali dei docenti dei nidi?
Si possono,
certamente, prevedere semplici incontri informativi,
consulenziali e di coordinamento pedagogico, più articolate
iniziative di formazione, incontri per la realizzazione di
progetti educativi comuni con possibile scambi professionali.
In tal caso sarebbe la scuola dell’infanzia ad avere bisogno
del supporto di puericultrici, bambinaie, coordinatrici di
nidi. Si tratterebbe di un prestito professionale a senso
unico, piuttosto che di uno scambio professionale biunivoco.
Forse si potrebbe ipotizzare l’impiego di alcune figure del
nido anche nella scuola dell’infanzia tramite la stipula di
apposite convenzioni. Ma, allo stato attuale tale prospettiva
sembra piuttosto difficile da realizzare.
|
3.
In caso di anticipo della frequenza, nelle scuole
interessate alla sperimentazione, la quota di posti
disponibili rispetto al limite massimo viene ridotta in
proporzione.
|
Formulato
in termini più criptici rispetto al comma analogo della Bozza
Mentre la precedente formulazione
indicava una ipotesi organizzativa, seppure di una certa
complessità, questa si limita a suggerire la necessità di
ridurre la quota massima di posti disponibili in presenza di
alunni di due anni e mezzo. Mentre nella bozza si faceva
riferimento a sezioni di 8/10 bambini al di sotto dei tre
anni, qui tutto viene lasciato all’autonomia delle scuole.
Sembrerebbe, quindi, sventato il pericolo di riempire le
sezioni fino a 28 alunni. Gli Organi collegiali dovranno
valutare di quante unità dovrà essere abbassato il tetto
massimo e, di conseguenza, quanti bambini possono essere
accolti. I problemi relativi all’organizzazione di sezioni
vanno naturalmente affrontati all’interno di ogni singola
realtà scolastica. Si può immaginare sia la costituzione di
una specie di sezione “primavera”, in presenza di un
numero adeguato di bambini di due anni e mezzo (8/10), e in un
contesto scolastico in cui si tende a privilegiare le sezioni
omogenee; ma anche la ridistribuzione sulle altre sezioni, con
una riduzione generalizzata del numero di bambini per sezione,
in un contesto in cui si privilegia la sezione eterogenea.
|
Art. 6
(ex
art. 7)
Flessibilità
organizzativa nella scuola elementare
|
1.
La sperimentazione comporta, per ogni classe prima, un’organizzazione
della prestazione docente in
team, la cui flessibilità è caratterizzata da una
differenziazione di funzioni, connesse alla presenza di un
docente tutor, al fine di corrispondere a precisi compiti
educativi.
|
Viene
sostituito il termine “prevalente” con “tutor”
Non si parla
più di docente prevalente, ma di docente tutor. A noi sembra
che sia solo un cambiamento nominale e non sostanziale, in
quanto non viene eliminata (con la parola) anche la prevalenza
nella prestazione oraria, che resta sempre secondo le
indicazioni del comma successivo, di 18-21 ore nella stessa
classe. Va detto, comunque, che l’idea in sé non
costituisce una novità nella nostra ultima tradizione
scolastica (vedasi anche la flessibilità e l’ottimizzazione
delle risorse imposte dall’autonomia). Lo è invece il
docente con una netta differenziazione di funzioni che la
parola tutor evoca in maniera particolare.
L’insegnante tutor, infatti,
così come previsto dalla bozza di decreto, preannuncia una
vera e propria "figura di sistema" e introduce una
serie di problemi di ordine culturale e professionale, che
vanno approfonditi attraverso il confronto con le
associazioni, le università, gli istituti di ricerca…
(senza escludere il C.N.P.I.), ma anche di tipo sindacale
attraverso diversi livelli di contrattazione.
C’è inoltre la questione della scelta delle figure
tutoriali. È il collegio che avrai il compito di segnalare al
dirigente (o esprimere parere circa) i docenti e l’affidamento
ad essi delle predette nuove funzioni? O sarà esclusiva
responsabilità del dirigente? In entrambi i casi dovranno
essere definiti e condivisi alcuni criteri. Trattandosi di
materia di “utilizzazione del personale”, in che misura le
RSU avranno voce in capitolo?
Tale
differenziazione di ruoli mette pure in discussione le
competenze disciplinari acquisite in questi anni, grazie all’organizzazione
modulare richiesta dalla 148/2000. Il modello professionale
ormai interiorizzato dagli insegnanti, potrebbe essere messo
in crisi con un nuovo processo di riadattamento che potrebbe
pericolosamente ricondurre alla genericità piuttosto che alla
specializzazione.
|
2. Il
docente tutor del team assicura in ciascun gruppo-classe una
presenza temporale settimanale indicativamente individuata tra
le 18 e le 21 di insegnamento frontale.
|
Il
comma risulta diverso dal precedente.
Sembra
attutita, con il termine “indicativamente”, la
prescrittività quantitativa (dalle 18 ore alle 21 ore di
insegnamento su un solo gruppo-classe), ma non quella
qualitativa (insegnamento frontale). Anche qui comunque
qualcuno potrebbe interpretare che “l’indicativamente”
si riferisce solo alla banda di oscillazione dalle 18 alle 21
ore, riportando in tal modo ad una prescrittività totalmente
inopportuna per la scuola autonoma.
Queste
indicazioni (malgrado il cambiamento del nome) costituiscono
sempre elementi di rigidità che mal si addicono alla nostra
scuola che vanta una lunga tradizione di sperimentazione e
generalizzazione di vari modelli organizzativi, e ancora meno
alla scuola autonoma responsabile dell’organizzazione, della
didattica, della ricerca e della sperimentazione (art 3, DPR
275/1999); principi, questi, tra l’altro, ricordati in più
parti dallo stesso DM.
|
3. Il docente
tutor cura la continuità educativa e didattica e il rapporto
con le famiglie ed assicura, altresì, la coerenza e la
gradualità dei percorsi formativi di ogni alunno,
facilitandone e potenziandone le relazioni interpersonali ed
educative. Tale docente svolge, pertanto, funzioni di
coordinatore del team docente e di tutor nei confronti degli
alunni, curando la compilazione del portfolio
delle competenze, in collaborazione con le famiglie.
|
L’unica
modificazione risiede nella sostituzione di tutor a prevalente
Vengono qui
definite le funzioni del docente tutor (oltre quella dell’insegnamento).
Malgrado le Indicazioni fornite
nel documento “prescrittivo” (Indicazioni.)
laddove si dice che “la scelta del docente tutor si esercita
secondo le norme regolamentari e contrattuali stabilite”,
non si possono ignorare i problemi e le conseguenze derivanti
da questa operazione.
Costituendo, l’esercizio
delle funzioni assegnate, una “novità” anche sul piano
giuridico, diventa incerto ed opinabile l’utilizzo di
vecchie norme (seppure vigenti, ma non ancora riviste alla
luce della riforma) e tanto più di un contratto oramai
scaduto.
I vincoli organizzativi, chiaramente elencati nel documento
prescrittivi (Indicazioni)
mettono a rischio:
-
la pari dignità tra docenti del team;
-
i tempi per l’elaborazione collegiale della programmazione;
-
la progettazione educativa, metodologica e didattica;
-
i tempi per la condivisione di modelli didattici;
-
la possibilità di una riflessione sistematica sugli stili
educativo-professionali.
Sono aspetti questi che hanno costituito il “patrimonio”
e la “dote” della scuola elementare che si sperava poter
estendere anche alla scuola materna e superiore; ora invece
rischia di essere disperso e azzerato in nome di una nuova
organizzazione del lavoro scolastico ispirata, forse, anche da
altre logiche (risparmio della spesa pubblica, vedasi proposte
della nuova finanziaria).
Va inoltre
segnalato che le innumerevoli funzioni attribuite al docente
tutor finiranno col comportare un sovraccarico di lavoro sul
piano didattico, disciplinare, metodologico e relazionale (con
gli alunni, con i colleghi, con i genitori…). Tali incarichi
vanno poi a tradursi necessariamente in ulteriori attività
sul piano burocratico-amministrativo.
|
4.
Per lo svolgimento di tali funzioni il docente tutor e
utilizza le ore mancanti al completamento dell’orario di
servizio in un arco temporale anche plurisettimanale.
|
Viene
tolto il riferimento specifico al limite di 3 ore settimanali
da utilizzare per le funzioni di tutor
Ciò fa
presupporre sicuramente una minore rigidità (quindi si può
immaginare anche un insegnamento frontale inferiore alle 18
ore), ma non elimina sicuramente i problemi del tempo comune
con gli altri colleghi. Se, infatti, è chiaro che il docente
prevalente può contare su un tempo (non di insegnamento) da
utilizzare flessibilmente, non è altrettanto chiaro se gli
altri docenti hanno a disposizione un tempo analogo per le
attività comuni di organizzazione e progettazione. In tal
modo restano oscure anche le modalità di gestione delle
azioni di coordinamento del team da parte del tutor.
Sembrerebbe
quindi profilarsi un ruolo gerarchizzato anche per la mancanza
gli spazi di confronto collegiale, di scambi professionali
oltre che di spazi per la progettazione organizzativa e la
programmazione didattica, sostituiti forse da un lavoro
solitario ed autonomo, seppure nobile ed oneroso, cui il
docente tutor dovrà rispondere in prima persona.
|
5.
La presenza del docente tutor comporta che, in
relazione all’organizza-zione didattica della scuola
elementare in cui sono previsti, di norma, tre insegnanti ogni
due classi, le iniziative di sperimentazione di cui al
presente decreto risultano più agevolmente realizzabili nei
plessi in cui sono presenti più di due classi prime.
|
Leggermente
modificato con l’introduzione della parola “di norma”
La presenza di almeno due classi in
un plesso di scuola elementare viene a porsi quasi come
requisito per le scuole che intendono avviare la
sperimentazione. Questa scelta, che immediatamente potrebbe
sembrare abbastanza ovvia, se sottoposta ad una semplice
analisi fa nascere qualche dubbio. La maggior parte delle
istituzioni scolastiche elementari sono articolate su plessi
in verticale, in molte scuole coesistono pochi moduli, all’interno
di un unico corso, che convivono con classi di tempo pieno, in
alcune scuole di montagna non è rinvenibile neppure un corso
completo. Solo nei grandi centri prevale il modello in
orizzontale. La sottovalutazione di questa realtà ha
comportato già notevoli problemi in fase di attuazione della
legge 148/1990. È attendibile, quindi, una sperimentazione
che si fonda su un aspetto minoritario della nostra scuola
escludendo tutte le istituzioni nei piccoli centri e,
comunque, la maggior parte degli istituti comprensivi?
Sembra invece che le scuole che
stanno aderendo alla sperimentazione siano prevalentemente
istituti comprensivi e che molte di esse hanno una sola classe
prima di riferimento
|
6. All'interno
del team nelle classi prime interessate viene individuato un
docente responsabile di attività laboratoriali, secondo le
indicazioni contenute nel progetto sperimentale.
|
Modificato
nella forma, ma non nella sostanza
Sarà
piuttosto difficile convincere il terzo docente ad assumere
una funzione decisamente meno importante o comunque da “reinventare”
in ancora non definite attività laboratoriali. E a chi sarà
affidata, anche in questo caso, l'individuazione e la scelta
del docente non tutor? Al collegio dei docenti, ad eventuali
commissioni, allo staff del dirigente, solo al dirigente?
La frantumazione degli interventi, conseguente alle
proposte organizzative e alle condizioni stesse della
sperimentazione, può provocare una forma di disaffezione alla
classe o deresponsabilizzazione nei confronti della
complessità del progetto formativo, rendendo meno efficace la
stessa azione didattica
|
Art. 7
(ex
art. 8)
Portfolio delle competenze
|
1. La scuola
accompagna ciascun bambino con un portfolio
(o cartella) delle competenze, a mano a mano sviluppate, che
comprende:
-
la descrizione dei percorsi seguiti e dei progressi
educativi raggiunti;
- la
documentazione essenziale e significativa, prodotta dagli
alunni durante il percorso formativo.
|
Appena
modificato con precisazioni linguistiche
La
costituzione di un portaolio delle competenze che accompagni
ciascun alunno, è un’esigenza reale. Pur appartenendo alla
nostra scuola una particolare sensibilità nel rilevare la
progressione dei processi educativi e di sviluppo degli
allievi, non è allo stesso modo rinvenibile una vera e
propria cultura valutativa. Per questo è importante mettere a
disposizione dei docenti aiuti, supporti, documentazione,
buone pratiche volte tutte ad accompagnarli adeguatamente in
questo percorso di ricerca professionale e ad evitare anche
dannose forme di improvvisazione.
Nelle
Indicazioni per la scuola primaria, il portfolio viene meglio
precisato nella sua struttura e funzione.
Struttura
- Comprende una sezione dedicata alla valutazione e un’altra riservata all’orientamento
- Richiede, per la sua compilazione il coinvolgimento dell’alunno
e la collaborazione con la famiglia.
- Raccoglie:
-
materiali prodotti dall’allievo individualmente o in gruppo
-
prove scolastiche significative relative alla padronanza degli
obiettivi specifici di apprendimento;
-
osservazioni dei docenti e della famiglia sui metodi di
apprendimento;
-
commenti su lavori personali ed elaborati significativi;
-
indicazioni che emergono dall’osservazione sistematica, dai
colloqui e anche da questionari o test in ordine alle
personali attitudini e agli interessi più manifesti.
Funzione
-
Migliorare le pratiche di insegnamento;
-
stimolare lo studente all’autovalutazione e alla conoscenza
di sé in vista della costruzione di un personale progetto di
vita;
-
corresponsabilizzare i genitori nei processi educativi..
|
2.
Il portfolio
delle competenze individuali è compilato ed aggiornato, in
stretta collaborazione con la famiglia, a cura,
rispettivamente, dei docenti di sezione della scuola dell’infanzia
e del docente tutor della scuola elementare, d’intesa con
gli altri docenti dei team
|
Viene
aggiunto la frase “d’intesa con gli altri docenti del team”
Il portfolio
è compilato ed aggiornato dal docente coordinatore-tutor,
in collaborazione con tutte le figure che si fanno carico dell’educazione
e degli apprendimenti di ciascun bambino, a partire anzitutto
dai genitori e dagli stessi allievi, chiamati ad essere sempre
protagonisti consapevoli della propria crescita
Anche se i docenti non tutor sono chiamati a contribuire
alla realizzazione del portfolio, non si capisce, però, in
che misura essi si possano sentire responsabili e in grado di
apportare un contributo fattivo. L’attività di
osservazione, documentazione, valutazione necessita di momenti
di riflessione comune e di confronto collegiale. Se non sono
garantite le condizioni, se non sono previsti tempi
istituzionali ad hoc, la compilazione del portfolio potrebbe
costituire un momento solo formale e burocratico, poco utile
ad aiutare l’alunno nella sua crescita.
Si
potrebbe, inoltre, determinare che la responsabilità
valutativa, vada a confluire quasi esclusivamente sul docente
prevalente sia perché è quello che, alla fine, sarà in
grado di avere il “polso della situazione” per la presenza
quasi esclusiva nella “sua” classe, sia perché
istituzionalmente è chiamato a renderne conto.
|
3.
Nella scuola elementare la valutazione periodica e
finale, sulla base della normativa vigente, certifica le
competenze acquisite tramite le unità di apprendimento
elaborate durante il percorso scolastico.
|
Nessuna
modificazione
La valutazione
costituisce un problema permanente. Le ultime versioni di
documenti valutativi nella scuola elementare non hanno
contribuito a migliorarne l’efficacia. Diverse sono le
scuole di pensiero che hanno generato negli anni molteplici
ipotesi, alcune anche contrastanti (standardizzazione,
personalizzazione). La questione ha bisogno di essere
supportata non solo da indicazioni istituzionali, ma da
attività di ricerca e di sperimentazione.
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Art. 8
(ex
art. 9)
Formazione del personale
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1. Nel quadro
delle iniziative di formazione destinate a tutto il personale
della scuola, vengono assicurate ai docenti e ai dirigenti
scolastici coinvolti nella sperimentazione opportune azioni di
formazione in servizio, con metodologie qualificate ed
interattive, quali l’e-learning integrato. Tali attività
possono realizzarsi all’interno della scuola, anche in forma
della ricerca-azione o in gruppi di miglioramento, in
collegamento con gli IRRE, i servizi del territorio, le reti
di scuole e gli istituti universitari e di ricerca.
|
Vengono
specificate le metodologie interattive (e-learning integrato)
e vengono aggiunti gli IRRE come strutture di supporto alla
formazione
Le indicazioni
riferite al supporto formativo per gli insegnanti coinvolti
nella sperimentazione richiamano le idee più innovative, che
non si limitano a dare indicazioni sui modelli di “addestramento”
intorno a tematiche specifiche, ma riguardano l’insieme dei
percorsi di sviluppo professionale. Riferimenti adeguati vanno
rintracciati soprattutto nelle direttive sulla formazione e
aggiornamento dell’ultimo quinquennio (si ricorda, in
maniera particolare, la Direttiva 210/1999).
Ma, oltre la sollecitazione a
costruire progetti di formazione che superino la logica degli
usuali setting d’aula,
oltre l’invito ad avvalersi di modalità interattive, nulla
viene detto in merito alle risorse di cui ogni scuola può
disporre.
L’ultima
direttiva sulla formazione (74/2002) pur cercando di
interpretare i bisogni più immediati e diretti delle scuole,
consistenti proprio nel poter disporre con sicurezza di un
proprio budget finanziario e nell’avere indicazioni precise
circa le priorità da raggiungere, non ha predisposto un
budget consistente da utilizzare prioritariamente per
affrontare le questioni più impellenti della riforma (seppure
inserita nel quadro delle priorità).
Tutte le
scuole, comunque, hanno a disposizione un budget che si aggira
intorno ai 2.500 euro, a ciò si aggiungeranno sicuramente
alcune quote che l’ufficio scolastico regionale potrebbe
assegnare agli istituti che partecipano alla sperimentazione,
avendo a disposizione un fondo pari al 10/15% dell’ammontare
delle intere risorse per l’aggiornamento.
Non
basteranno sicuramente le risorse economiche assegnate (quelle
certe su cui di fatto poter contare), occorre la
disponibilità e la competenza dei gruppi di supporto che l’ufficio
scolastico regionale deve costituire, come pure la scelta di
forme di aggiornamento che meglio di altre possano
corrispondano ai bisogni formativi di professionisti adulti.
|
2. La
partecipazione ad attività di formazione deve essere
certificata.
|
Viene
eliminata l’idea di un portfolio delle competenze del
docente
In effetti l’ipotesi
del portfolio per il docente non può costituire ancora un
obbligo per la scuola né rappresentare un diritto per il
soggetto. Per introdurlo necessitano indicazioni più precise
se non proprio un vero dispositivo normativo (materia
contrattuale?). Inoltre un portfolio per il docente ha senso
se diventa spendibile anche professionalmente (sviluppo di
carriera), altrimenti potrebbe rappresentare solo una sterile
ed inutile documentazione.
Non costituisce un problema
insormontabile la realizzazione di una “cartella” in cui
raccogliere sistematicamente le diverse attestazioni di
partecipazione alle varie esperienze formative. Ciò che
rappresenta invece un terreno nuovo da esplorare è “la
certificazione delle competenze” acquisite a seguito alle
diverse esperienze formative e soprattutto la valutazione
della ricaduta sulla qualità degli esiti degli studenti.
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3. Nell’ambito
del progetto di sperimentazione le scuole devono prevedere
tempi adeguati per attività collegiali di progettazione,
documentazione, preparazione dei materiali, verifica e
valutazione.
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Il comma
è rimasto immutato
Se alle scuole che partecipano alla
sperimentazione si richiede (come è giusto) di stare dentro
un processo di ricerca-azione e di miglioramento, ad esse
vanno garantite le condizioni di fattibilità. I tempi di
progettazione, di riflessione collegiale sull’esperienza
avviata, di documentazione di verifica e di valutazione
costituiscono oltre che un diritto anche una necessità ed un’urgenza.
Si tratta di capire dove vanno recuperati. Se è solo il
docente prevalente che ne può usufruire agevolmente vengono
automaticamente a cadere tali condizioni.
|
Art. 9
(ex
art. 10)
Piano
regionale delle scuole aderenti alla sperimentazione
|
1. Il Direttore Generale
regionale, acquisite le delibere di adesione alla
sperimentazione da parte delle scuole, redige il piano
regionale delle istituzioni scolastiche inserite nel programma
nazionale di sperimentazione, tenendo conto dell'esistenza
delle migliori condizioni organizzative, strutturali,
professionali e operative tra le quali, a titolo
esemplificativo, si indicano le seguenti:
-
possibilità di distribuire nelle sezioni e classi funzionanti
le bambine e i bambini di età inferiore rispettivamente a tre
e sei anni;
-
disponibilità, per la scuola dell'infanzia, di ambienti e
spazi adeguati per lo svolgimento delle attività educative e
didattiche previste dalla sperimentazione;
-
presenza di docenti disponibili a svolgere, nell'ambito dei
vigenti obblighi di servizio, funzioni di tutoraggio e di
coordinamento, nonché di personale fornito delle necessarie
competenze professionali per attivare l'insegnamento della
lingua inglese e l'alfabetizzazione informatica.
|
Il
comma è formulato in maniera diversa e modificato, in parte,
anche nella sostanza.
L’operazione
di redigere il piano di sperimentazione regionale è diventata
competenza (esclusiva) del Direttore regionale, non più in
collaborazione con l’I.R.R.E ed i responsabili dei CSA
(Centri di Servizi Amministrativi).
Vengono
inoltre riesplicitate le condizioni operative di fattibilità
della sperimentazione già indicate nei precedenti articoli.
Una scuola quindi deve possedere le risorse interne in termini
di strutture, spazi, materiali, professionalità (inglese e
informatica), ma deve anche essere in grado di costruire
situazioni nuove ed efficaci partendo dall’esistente. Deve
inoltre trovarsi nelle favorevoli condizioni di poter
accogliere i bambini di età inferiore ai 3 e ai 6 anni, non
avendo né classi sature, né liste di attesa.
Certo è
che tali presupposti sono nella nostra scuola alquanto rari.
Ci si domanda se anche per il futuro bisognerà contare sull’eccezionalità
e non sulla normalità che spesso è connotata da carenze
piuttosto che da eccedenze.
|
2. Il Direttore
Generale regionale interviene, a seguito di motivate richieste
da parte delle scuole interessate alla sperimentazione, per
assicurare le risorse disponibili, anche con il ricorso ai
finanziamenti messi a sua disposizione ai sensi della legge 18
dicembre 1997, n. 440.
|
Il
comma non è stato modificato
Sappiamo
che il 10% della quota per il sostegno dell’autonomia viene
accantonata a livello regionale per interventi di tipo
compensativo o innovativo (progetti di ricerca, qualità ecc).
Si tratta di capire come gli uffici scolastici regionali
andranno ad interpretare questo comma. Le scuole che
sperimentano hanno bisogno sicuramente di risorse fresche, ma
potrebbe verificarsi che ciò possa andare a penalizzare tutte
le altre, che costituiscono la quasi totalità e che comunque
hanno bisogno di continui supporti per garantire una migliore
qualità dell’offerta formativa.
È necessario, quindi, avere l’esatta conoscenza delle
risorse di cui poter disporre sul piano regionale, un quadro
chiaro ed analitico dei bisogni generali e specifici di ogni
istituzione scolastica (ivi comprese le attività innovative
già in atto) per poter assegnare ulteriori fondi a vantaggio
delle scuole che intendono sperimentare l’anticipo. Non si
può, comunque, ignorare il pericolo di un ulteriore
appesantimento della situazione generale (v. riduzione degli
organici), se si intende salvaguardare una quota parte di
risorse da assegnare alle sezioni interessate alla
sperimentazione (insegnanti, incentivi economici per il
personale, formazione mirata…)
|
Art. 10
(ex
art. 11)
Organismi
di supporto e sviluppo della sperimentazione
|
1. Al fine di
sostenere le iniziative di sperimentazione e di dare sviluppo
al processo di qualificazione della scuola dell’infanzia e
della scuola elementare, vengono istituiti un Osservatorio
nazionale ed un Osservatorio regionale.
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Il comma è identico
L’istituzione di un Osservatorio per iniziative di
monitoraggio costituisce sicuramente un’idea in sé
vincente. Ma ci saranno le condizioni tecniche e le risorse
finanziarie perché tale struttura abbia la possibilità di
rispondere efficacemente al compito? Abbiamo avuto, nel
recente passato, esperienze simili abbastanza nobili (es.,
Osservatorio handicap), ma anche meno nobili (es., quello per
la formazione del personale della scuola, soprattutto
relativamente alle funzioni obiettivo) che alla fine non
sempre si sono rivelate efficaci. Nel secondo caso, non
potendo la struttura contare su alcun supporto tecnico, ha
finito per diventare un organismo solo consultivo.
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2. L’Osservatorio Nazionale è istituito presso il
Dipartimento per lo sviluppo dell’istruzione del MIUR, con
la funzione di definire criteri per l’attuazione ed il
monitoraggio del progetto nazionale di sperimentazione. La
composizione dell’Osservatorio Nazionale è definita con
decreto del Ministro.
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Il comma non è stato modificato
Dovendo l’Osservatorio a livello nazionale definire
anche i criteri di attuazione del progetto nazionale, si
presume che esso sia già stato costituito e che sia già in
piena attività operativa (ma non abbiamo segnali in tal
senso)
È importante che tutte le operazioni decentrate a
livello locale abbiano un riferimento, seppure solo di
indirizzo, a livello nazionale, ma un anno di tempo (quello
previsto per la sperimentazione) quasi vanifica la
possibilità di rendere attendibili gli esiti della
sperimentazione stessa, ed efficaci gli organismi di supporto
connessi. Le migliori esperienze ci dicono che un anno non è
sufficiente neppure a rodare il funzionamento di una macchina.
|
L'Osservatorio regionale è istituito, con provvedimento del
Direttore Generale presso ogni Ufficio scolastico regionale,
per lo svolgimento dei compiti indicati al comma precedente.
Il predetto Osservatorio è composto dal Direttore Generale
regionale, che lo presiede, da ispettori tecnici della scuola
elementare e dell'infanzia, da un rappresentante dell'I.R.R.E.,
dell'Università, degli Enti Locali interessati e da docenti
rappresentanti delle scuole statali e paritarie coinvolte
nella sperimentazione. L'Osservatorio si avvale di gruppi
tecnici di supporto alle istituzioni scolastiche coinvolte
nella sperimentazione per la realizzazione della iniziativa.
|
È
mutata la composizione dell’Osservatorio
Le
indicazioni precedenti prevedevano la seguente composizione
dell’Osservatorio regionale:
-
Direttore
generale;
-
Responsabili
CSA;
-
Rappresentante
IRRE
-
Rappresentante
Enti locali interessati
-
Rappresentante
scuole paritarie
Il decreto definitivo invece prevede la presenza di:
-
Direttore
generale;
-
Gli
ispettori tecnici della scuola elementare e dell’infanzia;
-
Rappresentante
IRRE
-
Rappresentante
dell’Università
-
Rappresentante
Enti locali interessati
-
Docenti
rappresentanti delle scuole statali e paritarie
Come si evince, viene aggiunto un rappresentate dell’Università
e inserita la componente tecnica (ispettori e insegnanti) al
posto della dirigenza amministrativa.
Sicuramente la componente tecnica viene utilizzata,
quindi, sia nelle strutture di supporto e di consulenza da
realizzare a livello locale e a livello nazionale (crf
art. 2, comma 8), sia nella struttura di nella struttura
di indirizzo e di orientamento che è appunto, l’Osservatorio.
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Bozza
Decreto Sperimentazione
Commento
alla Bozza di DM sulla Sperimentazione
a cura di Mariella Spinosi
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