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RAPPORTO BERTAGNA: UN COMMENTO CRITICO PARTE II MASSIMO SVILUPPO POSSIBILE DELLE CAPACITA' DI TUTTI Umberto Tenuta <<massimo sviluppo possibile delle capacità di tutti>> (Letizia Moratti) Sembra di capire che la scuola della Moratti aspiri ad essere una scuola formativa così come sembra essere la scuola delineata del Regolamento dell’autonomia scolastica di cui al D.P.R. 275/1999. UNA SCUOLA FORMATIVA Al riguardo, tornano opportune le precisazioni contenute nel Paragrafo Educazione, istruzione e formazione del Rapporto Bertagna del 28.11.2001:
In merito, stante la pluralità dei significati che assumono i due termini educazione e formazione, forse è preferibile utilizzare il termine formazione, seppure come sinonimo di educazione, per indicare i processi complessivi di formazione della personalità, indipendentemente dalla specifica formazione professionale. Processi di formazione anziché processI di sviluppo, che potrebbero lasciar pensare ad un mero "venir fuori", esplicarsi, emergere delle potenzialità già contenute nel patrimonio geneticO, in una chiara, netta, esclusiva prospettiva innatistica della formazione della personalità. D’altra parte, il termine educazione è troppo legato all’accezione specifica di educazione morale, sociale, religiosa. Il termine più neutrale, più comprensivo, resta formazione (Bildung): prendere forma, assumere la propria forma, definire la propria forma umana. Sembra questo il significato del processo di formazione della persona umana che nella Carta costituzionale viene indicato come <<pieno sviluppo della persona umana>>. L’uomo si forma, assume una sua forma, che è quella propria dell’uomo, attraverso un processo di formazione o processo educativo che vede coinvolti molteplici fattori, tra i quali fondamentali sono il patrimonio genetico, le interazioni socioculturali ed il protagonismo del soggetto. Come tale, cioè come formazione, il processo formativo non consiste tanto nell’acquisizione delle conoscenze (istruzione) quanto nel <<massimo sviluppo possibile delle capacità>>. La scuola della Moratti, così come la scuola delineata nel Regolamento dell’autonomia scolastica, è scuola formativa, in quanto mirata alla formazione degli atteggiamenti e delle capacità, oltre che all’acquisizione delle conoscenze essenziali (1). L’ORIENTAMENTO NON DEVE ESSERE PREMATURO La personalità non viene considerata già preformata nel codice genetico, per cui l’educazione sarebbe mero processo di sviluppo, mero venir fuori o educere, che ieri giustificava il prematuro orientamento scolastico e professionale dei giovani. Già al termine della scuola elementare, ma anche prima, si biforcavano i corsi di studio: da una parte, le scuole che davano accesso all’Universita, dall’altra le scuole tecniche che avviavano alle professioni ed ai mestieri. Come si legge nel Rapporto Bertagna, <<Negli ultimi vent’anni, tutte le ricerche di psicologia, sociologia ed economia dell’educazione hanno dimostrato che la causa principale dei fallimenti scolastici non è, in genere, la scuola, ma l’extrascuola, in particolare l’ambiente sociale e familiare di provenienza degli alunni>> . Considerare che la formazione della personalità non è preformata geneticamente e prendere atto che essa si costruisce soprattutto nei primissimi anni di vita non legittima la precocità dell’orientamento e la conseguente biforcazione del sistema scolastico. L’esigenza di equità deve prevalere sul realismo assegnatario, prendendo atto che i destini sono stati segnati, ieri dal codice genetico, oggi dai contesti sociofamiliari. Anzi, proprio la consapevolezza delle ingiustizie patite dagli alunni appartenenti alle classi sociali più diseredate deve indurre a mettere in atto un vasto, articolato, serio progetto di uguagliamento, che riesca a superare i gap che si sono prodotti. Se oggi l’ingegneria in qualsiasi campo non si arrende dinanzi alle grosse difficoltà che si trova ad affrontare, nemmeno "l’ingegneria formativa" può arrendersi dinanzi alle ingiustizie socioculturali ed economiche. E non può arrendersi soprattutto chi proclama i valori della persona umana e pone come emblema della scuola il <<massimo sviluppo possibile delle capacità di tutti>>. Prendere atto che i condizionamenti più incisivi nella formazione della persona umana si realizzano nei primissimi anni, nella famiglia e nella scuola dell’infanzia, non giustifica che il sistema educativo di istruzione e di formazione si dichiari <<perdente davanti al gigante Golia dell’emarginazione sociale strutturale>>. Indubbiamente, occorre <<agire, consapevoli che le politiche sociali (creare lavoro reale e non fittizio per i disoccupati, sostenere le famiglie bisognose con logiche che stimolano la loro imprenditorialità, ridare dignità sociale agli emarginati coinvolgendoli in relazioni interpersonali ‘normali’, bonificare e riqualificare i tessuti urbani degradati, moltiplicare biblioteche, cinema, centri di aggregazione e di servizi, attività culturali e ricreative nei territori che non ne hanno o ne hanno a sufficienza ecc.) sono, ai fini del successo formativo, se non più, almeno efficaci tanto quanto il miglior sistema educativo di istruzione e di formazione che si possa auspicare>>. Ma, come abbiamo scritto nel precedente articolo, occorre assicurare una maggiore incisività della scuola dell’infanzia e delle scuole successive, anche nella consapevolezza che <<il miglior sistema educativo di istruzione e di formazione>> può competere con i condizionamenti socioculturali. Anche se <<tutto diventa più difficile e lento>>, occorre incrementare l’efficacia della sistema scolastico perché ciascun alunno possa sviluppare al massimo le sue capacità, senza arrendersi né alle presunte potenzialità genetiche né ai gap di partenza, che anzi vanno recuperati. LA GIUSTIZIA EDUCATIVA Anche in educazione non si può non avere sete di giustizia e coltivare l’utopia più che il realismo aziendalistico. In questo stanno, a nostro modo di vedere, le ragioni di quanti denunciano i limiti di un presunto modello aziendalistico della scuola morattiana. Se nell’azienda occorre essere realisti e fare i conti con le realtà dei dati, che sono oggettivi, verificabili, controllabili, perché materiali, invece in educazione non ci troviamo dinanzi a certezze ed a valori quantificabili. Non possiamo quantificare né i vantaggi né gli svantaggi di un investimento educativo. Se non possiamo prevedere quali vantaggi a sé ed alla società possa arrecare un essere umano, non possiamo nemmeno prevedere i danni che a sé e soprattutto alla società può arrecare un soggetto sulla cui difficoltà formative ci siamo troppo facilmente arresi. Forse la sociologia dell’educazione dovrebbe prendere in maggiore considerazione i costi degli insuccessi educativi, in particolare dei costi della lotta alla devianza ed alle tossicodipendenze, dei costi del sistema di rieducazione carceraria, ecc. Non si tratta di cedere alle lusinghe dell’utopia ma di essere anzi molto realistici, molto pragmatici, molto aziendalistici, nel momento in cui si decide di mettere da parte i criteri dell’efficientismo aziendalistico, investendo molto in educazione, senza fare bilanci di costi/profitti. Il che evidentemente non significa che il sistema formativo scolastico non debba tenere presenti i criteri dell’efficacia e dell’efficienza. Ma in un significato diverso da quello aziendalistico, che ad esempio rende incomparabili sul piano quantitativo i risultati formativi di due istituzioni scolastiche, perché i risultati formativi non sono mai commensurabili, stanti le diversità dei soggetti coinvolti. E tuttavia la scommessa vera, il significato più profondo di ogni riforma scolastica si misura dall’efficacia e dall’efficienza che riesce ad assicurare al sistema scolastico. La Riforma, al di là di tutte le forme di ingegneria o di banalissima aritmetica organizzativa, sta solo ed essenzialmente nella sua capacità di rendere possibile il <<massimo sviluppo possibile delle capacità di tutti>>, quello che nel Regolamento dell’autonomia scolastica viene definito successo formativo di tutti gli alunni, investendo tutte le risorse professionali, materiali, economiche possibili. Tutte le risorse necessarie, indispensabili, appropriate, ma bandendo gli sprechi, che nella scuola attuale non sono pochi. GLI INVESTIMENTI PER IL <<PIENO SVILUPPO DELLA PERSONA UMANA>> Occorre investire nei tempi della formazione, ma senza creare scuole a tempo pieno per tutti gli alunni, senza allungare gli orari per tutti gli alunni, per quelli che apprendono con la didattica breve e per quelli che apprendono in tempi più distesi, ma rendendo flessibili i tempi annuali, settimanali, giornalieri, come sembra si possa intravedere nel Rapporto Bertagna. Il fallimento della scuola a pieno tempo, del tempo prolungato e della scuola dei rientri pomeridiani per tutti gli alunni è dipeso dall’aver voluto imporre un modello organizzativo uniforme a tutti gli alunni, senza peraltro realizzare la personalizzazione degli obiettivi formativi, ma anzi sancendo la <<equivalenza dei risultati>>. Occorre investire nelle risorse materiali, rendendo maggiormente consapevoli le famiglie ed i cittadini tutti che gli investimenti prioritari di una società democratica sono quelli della sanità e della scuola. Non è più tollerabile, nella scuola, la cronica carenza di strutture edilizie che legittimano le lamentele di quanti denunciano che le riforme non si possono realizzare nei locali di fortuna. E occorre investire nelle tecnologie educative, la cui cronica carenza non è stata colmata nemmeno con il PSTD, se non altro perché le tecnologie educative non si identificano con le tecnologie informatiche, come le pressioni delle multinazionali del settore stanno cercando di far credere. La scuola dell’infanzia, la scuola elementare, la scuola media ed anche la scuola secondaria hanno bisogno anche di attrezzature e di strumenti didattici non informatici, compresi i materiali didattici concreti, strutturati e non strutturati, oltre che di biblioteche. Ma occorre investire soprattutto nelle competenze professionali degli operatori scolastici, a cominciare dai Dirigenti scolastici. Non basta prendere atto dello spreco di consistenti risorse in cui sembra si sia tradotta la formazione dei Dirigenti scolastici per accedere alla funzione dirigenziale e non basta prendere atto, come pure si dovrebbe prendere atto, dello spreco di risorse in cui consiste molto spesso la formazione in servizio dei docenti. IL MIGLIORAMENTO DEI PROCESSI DI INSEGNAMENTO E DI APPRENDIMENTO Occorre creare le condizioni strutturali che assicurino il rapido miglioramento dei processi di insegnamento/apprendimento previsto dal Regolamento dell’autonomia scolastica, assicurando gli strumenti che consentano a ciascun docente di soddisfare immediatamente le sue esigenze formative sul piano delle competenze disciplinari, didattiche, relazionali ed organizzative. Se il modello aziendalistico ha un significato, lo ha soprattutto sul piano del miglioramento dei processi di insegnamento e di apprendimento che peraltro il Regolamento dell’autonomia scolastica pone come esigenza prioritaria della nuova scuola (<<esigenza di migliorare il processo di insegnamneto e di apprendimento>>). . Così come nell’azienda l’attenzione è rivolta al continuo, incessante, attento impegno di miglioramento dei processi produttivi, anche nella scuola l’attenzione dovrebbe essere rivolta alla continua, incessante, attenta azione di miglioramento dei processi di insegnamento e di apprendimento. Il Montesano, il De Sanctis, il Decroly, la Montessori hanno creato un modello di scuola che rendeva educabili anche i soggetti che al tempo non venivano educati perché non venivano considerati educabili. Al riguardo, è appena il caso di evidenziare che nessuno nega i risultati ottenuti attraverso il miglioramento dei processi di insegnamento/apprendimento che questi grandi pedagogisti/educatori hanno realizzato. Il che non significa che occorra applicare a tutti gli alunni questi o altri metodi, ma significa soltanto che si possono migliorare i processi di insegnamento e di apprendimento per consentire a tutti gli alunni, in particolare agli alunni portatori di svantaggio socioculturale, di recuperare i loro gap e di sviluppare anch’essi al massimo le loro capacità. Se il compito della scuola, della scuola per la formazione di base, è quello di promuovere il <<pieno sviluppo della persona umana>> , ciò che importa sono i risultati educativi, sono le capacità, sono le competenze (atteggiamenti e capacità) che hanno sviluppato. Il Ministro dell’istruzione deve indicare gli obiettivi generali e gli <<obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni>>. Le discipline sono solo strumenti dei processi di formazione che spetta ai docenti mettere a punto, una volta che sia stato definito il quadro organico degli obiettivi formativi che la scuola deve perseguire per assicurare la piena formazione della persona umana nel rispetto delle identità personali, sociali, culturali e professionali dei singoli alunni: una formazione che sia piena, cioè ottimale, integrale ed originale. Spetta al Ministro dell’istruzione indicare gli obiettivi formativi a lungo termine che assicurino tale formazione a tutti i cittadini, come condizione preliminare di ogni processo di orientamento. Occorre assicurare prima la formazione integrale, perché poi ogni alunno possa individuare il suo orientamento professionale. E, tuttavia, il problema cruciale è costituito dai processi attraverso i quali si perseguono le mete formative . Purtroppo anche la Riforma Moratti, così come la Riforma Berlinguer, sembra più attenta alle riforme organizzative che alle riforme dei processi apprenditivi e formativi. La retorica pedagogica continua a prevalere sul realismo educativo che dovrebbe vedere impegnati i Riformatori aziendalistici ad assicurare alla scuola, non tanto nuove aritmetiche organizzative, quanto una maggiore produttività formativa. La Riforma sarà attuata solo quando ogni scuola sarà nella condizione di assicurare il <<massimo sviluppo possibile delle capacità di tutti>>. Su questa esigenza e su questo impegno dovrebbero ritrovarsi d’accordo tutti.
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