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LA RIFORMA Più URGENTE
DELLA SCUOLA Umberto Tenuta
La riforma Gentile, la riforma
Berlinguer, la riforma Moratti: tre riforme, tre ideologie! Ogni riforma si fonda su un'ideologia, su una visione del
mondo (Weltanschauung) e
su una visione del processo di formazione della persona umana. In questa sede non intendiamo
delineare le tre visioni, gentiliana, berlingueriana, morattiana. Il nostro intento, pragmatico, è
quello di ricercare possibili punti di intesa, nella consapevolezza
che una società democratica si fonda sul più alto livello
possibile di sintesi, di accordo, se non di concordia. L'accordo va ricercato muovendo
soprattutto dai principi costituzionali, che nel nostro caso sono
quelli espressi soprattutto dall'art. 3 della Costituzione, nel
quale si sancisce l'obbligo della Repubblica di rimuovere gli
ostacoli che impediscono il <<pieno
sviluppo della persona umana>>. È possibile, qui, intendere il
pieno sviluppo, non tanto come realizzazione di "potenzialità" formative geneticamente predeterminate, ma come
processo di formazione che, seppure condizionato dal patrimonio
genetico, è strettamente correlato alle stimolazioni
socioculturali? Al riguardo, anche alla luce delle risultanze delle ricerche
nel campo delle neuroscienze, secondo le quali la struttura del
cervello si costruisce attraverso le stimolazioni socioculturali,
sembra che non si possa più sostenere, né le tesi innatistiche,
secondo le quali, in estrema sintesi, intelligenti si nasce, né le
tesi ambientalistiche (skinneriane), secondo le quali intelligenti
si diventa, ma si dovrebbe far riferimento ad una concezione
interazionistica, secondo la quale, appunto, le dotazioni genetiche
interagiscono con i fattori socioculturali, su un piano di
sostanziale parità. Se si arriva a questa intesa,
evidentemente si deve riconoscere che, non potendo intervenire sui
fattori genetici (almeno per il momento), non resta che agire sui
fattori socioculturali, che sono appunto quelli delle agenzie
formative. Se si vuole promuovere il <<pieno
sviluppo della persona umana>> o, meglio, la piena
formazione della persona umana, occorre agire sulle agenzie
formative, a cominciare dalla famiglia, della quale va più
accortamente valorizzato il ruolo educativo in senso lato, non
limitatamente ai soli aspetti socio-emotivi. In particolare, nella
consapevolezza che la formazione si realizza soprattutto nei primi
anni di vita, occorre rivalutare il ruolo educativo della scuola
dell’infanzia. Tuttavia, occorre prendere
consapevolezza che la scuola, in quanto istituzione artificiale,
appositamente programmata
[1]
, assume un ruolo estremamente significativo
nel processo di formazione della personalità e che pertanto occorre
pensare alla scuola, non tanto ai fini dell’istruzione, quanto ai
fini della formazione della personalità. Questa, peraltro, sembra essere la
logica del Regolamento dell’autonomia scolastica di cui al D.P.R.
275/1999. La scuola, almeno la scuola dell’obbligo,
ha come suo precipuo obiettivo il successo formativo, inteso come piena formazione della persona umana
nel rispetto delle identità personali, sociali, culturali e
professionali. La scuola deve mirare, prima che a
far acquisire conoscenze,
a promuovere la formazione di capacità
e di atteggiamenti (<<obiettivi
formativi e competenze>>)
[2]
. Occorre promuovere la formazione
degli atteggiamenti e
delle capacità motorie,
emotivo-affettive, sociali, linguistiche, cognitive, estetiche ecc. Occorre promuovere la formazione
dell’uomo. Purtroppo, malgrado le affermazioni di principio, di fatto
finora la scuola si è preoccupata solo dell’istruzione: si è
impegnata soprattutto a far acquisire conoscenze e poco ha inciso
sul piano formativo. Se si opera in una prospettiva
formativa (<<successo
formativo>>), occorre ripensare i curricoli,
riaggiustarli, renderli coerenti dalla scuola dell’infanzia alla
scuola secondaria, secondo una logica di continuità
educativa. In tale prospettiva, il problema
dell’orientamento non si
pone più come problema di scoperta delle attitudini, delle
potenzialità, degli orientamenti, ma come impegno di formazione
degli atteggiamenti e
delle capacità che sono
propri dell’uomo. Occorre che primariamente le capacità e gli
atteggiamenti si formino, attraverso un’azione educativa
sistematica, intensiva, efficace, perché solo così è possibile
veramente individuare quali effettivamente siano le attitudini. Diversamente, si rischia di operare
delle scelte che non tengono conto di quelle che potevano essere le
effettive capacità dei soggetti, se queste fossero state
adeguatamente coltivate, valorizzate, formate. L’impegno della scuola non
dovrebbe essere tanto quello di scoprire le vocazioni quanto di
promuovere la formazione integrale, la più ampia, la più
approfondita, la più completa possibile, rinviando al massimo le
scelte. Occorre evitare i rischi delle scelte premature, premature
perché le “possibilità”
formative (le “possibilità”,
e non le “potenzialità”
formative) non hanno avuto l’opportunità di formarsi. Occorre incentrare l’azione della
scuola sulla formazione, rendendola efficace, produttiva,
efficiente. Già negli attuali Programmi
didattici (Orientamenti
educativi del 1991 per la
scuola materna, Programmi didattici del 1979, del 1985 e Piani di
studio Brocca) e anche nella Bozza
dei Nuovi Curricoli (Indirizzi per l’attuazione del curricolo)
ci si muoveva in una prospettiva formativa, che necessita però
mettere meglio a fuoco, privilegiando la formazione degli atteggiamenti
e delle capacità. La Riforma, la vera Riforma della
scuola, non è tanto quella degli ordinamenti, quanto quella del
miglioramento dei processi di insegnamento/apprendimento. Occorre indirizzare le risorse e
gli interventi al miglioramento dei processi formativi degli alunni
che si svolgono quotidianamente dentro le aule. In parole povere,
occorre migliorare i processi apprenditivi e formativi. In tale prospettiva, si deve
superare l’attuale modello di scuola uniforme, di scuola uguale
per tutti gli alunni nei tempi, nelle attività, negli obiettivi
formativi. È ormai matura la consapevolezza
che gli alunni si presentano con livelli e ritmi di sviluppo e di
apprendimento, oltre che con stili cognitivi diversi e che peraltro
la diversità costituisce
un valore. Gardner parla di sette e più forme di intelligenza. Nel suo processo formativo ogni
alunno si realizza con una sua originale, irripetibile, unica
personalità. In tale prospettiva, si deve al
più presto superare il modello di scuola uniforme di cui peraltro
finora abbiamo sperimentato gli insuccessi. Quando si denunciano gli scarsi
livelli di formazione e di preparazione degli studenti della scuola
secondaria e dell’Università, evidentemente occorre fare
riferimento al modello di scuola uniforme che essi hanno
frequentato, ad una scuola che non ha consentito ai singoli alunni
di procedere secondo i propri ritmi e secondo i propri stili di
apprendimento, oltre che secondo le proprie esigenze formative, a
cominciare dalla scuola dell’infanzia. Più che le tecnologie dell’IP,
oggi ritornata di gran modo con le tecnologie multimediali, la
metodologia della Nongraded
school
[3]
e soprattutto del Mastery
learning
[4]
hanno evidenziato che il successo
formativo può essere assicurato solo attraverso la qualità dei
processi di apprendimento, quali si attuano soprattutto mediante la
personalizzazione educativa e didattica. Il miglioramento dei processi di
insegnamento/apprendimento passa attraverso la qualità della
didattica, di cui aspetto essenziale è appunto la personalizzazione
dei processi apprenditivi. Finora la scuola ha personalizzato
solo i percorsi apprenditivi degli alunni in situazione di handicap
e degli alunni svantaggiati, riconoscendo appunto che la
personalizzazione rende più efficace l’azione educativa e
didattica. Ma questa constatazione avrebbe
dovuto portare ad estendere a tutti gli alunni la personalizzazione
educativa e didattica, in modo che nella scuola tutti avessero la
possibilità di esprimere al massimo le loro possibilità formative.
Se l’ora di 60 minuti non basta per l’alunni in situazione di
handicap, per l’alunno iperdotato basta un’ora di 20 minuti,
come sostengono i teorici della Didattica
breve
[5]
. Non si tratta di sostituire l’ora di 60
minuti con l’ora di 50 minuti, ma di modulare i calendari, gli
orari, i ritmi di insegnamento/apprendimento sulla base delle
caratteristiche e delle esigenze formative dei singoli alunni. Occorre realizzare una “scuola
su misura”
[6]
dei singoli alunni, in modo che ciascun
alunno abbia la possibilità di apprendere, non solo secondo i
propri livelli, i propri ritmi ed i propri stili apprenditivi, ma
anche secondo le proprie esigenze formative. Si richiede la personalizzazione
sia degli obiettivi formativi che dei percorsi formativi. Innanzitutto, si richiede la
personalizzazione degli obiettivi
formativi. Stabilita la Quota nazionale degli obiettivi formativi, intesa ad assicurare la
formazione generale, la formazione dell’uomo, del cittadino e del
lavoratore, poi occorre utilizzare la Quota
riservata e la eventuale Quota
aggiuntiva per personalizzare i Piani educativi personalizzati
dei singoli alunni, di tutti i singoli alunni, non solo degli alunni
in situazione di handicap. Sin dalla scuola dell’infanzia, gli alunni debbono poter
coltivare tutte le dimensioni della loro personalità, perché le
capacità e gli atteggiamenti si formino, ma debbono avere anche l’opportunità
di coltivare le loro aurorali propensioni, predilezioni,
propensioni, attraverso attività che siano parte costitutiva del
normale curricolo, e non aggiunte posticce attraverso i Progetti
educativi più diversi. Evidentemente, la parte
obbligatoria opzionale (Quota
riservata) andrà incrementandosi dalla scuola dell’infanzia
alla scuola secondaria. Tuttavia. Non basta personalizzare
gli obiettivi formativi. Occorre personalizzare soprattutto i percorsi
formativi, gli itinerari
di apprendimento. È qui che si gioca il destino della scuola,
della sua riforma. Si richiede un impegno forte,
consistente, nuovo, inteso ad accrescere le competenze
professionali dei docenti, che sono competenze organizzative,
relazionali, ma sono anche competenze disciplinari e soprattutto
competenze didattiche. Da trent’anni i docenti sono
abbandonati a se stessi nel momento in cui entrano nelle aule. Nessuno si è preoccupato di
fornire ai docenti di Matematica, ai docenti di Scienze, ai docenti
di Storia ecc. le competenze didattiche necessarie per fare scuola. Ogni docente ha dovuto e deve
imparare da sé, a proprie spese, a spese dei propri alunni. I docenti si formano dentro le
aule, attraverso la loro quotidiana attività educativa e didattica,
senza aiuti, senza sostegni, almeno sul piano della competenza
didattica, alla quale non ha provveduto la formazione iniziale e non
provvede la formazione in servizio, tutta presa dalla retorica dell’organizzazione
e della programmazione. Ci si è occupati della elaborazione della
Programmazione educativa, del Piano educativo d’istituto, del POF,
ma non dei moduli didattici, delle unità didattiche, dei percorsi
didattici dei singoli alunni, della ricerca/riscoperta/reinvenzione/ricostruzione
(problem solving)
[7]
, del cooperative
learning
[8]
. Anche per le tecnologie
multimediali si è rimasti nella retorica degli ipermedia, ma non ci
si è occupati dell’utilizzazione delle tecnologie multimediali
nei processi di riscoperta, costruzione, invenzione dei concetti
matematici, scientifici, storici, geografici ecc. Chi si è mai
preoccupato di assicurare ai docenti la competenza per utilizzare i
materiali didattici concreti, comuni e strutturati, nei processi
dell’apprendimento matematico, scientifico, storico, geografico? Il risultato si preannuncia come
estraneità delle tecnologie educative dalle aule, dai processi
apprenditivi quotidiani dei singoli alunni. Nella scuola continua a dominare
sovrana la parola, orale e scritta: la parola orale del docente che
perde la voce, la parola orale delle audiocassette e delle
videocassette; la parola scritta del libro di testo, onnipresente;
la parola scritta dei cartelloni; oggi la parola degli ipertesti. Ma nelle nostre aule non sono
entrate le tecnologie educative povere (le cianfrusaglie agazziane!)
e strutturate (il matematica montessoriano è sconosciuto!) e
rischiano di non entrare nemmeno le tecnologie multimediali. È mancata, e manca, una politica
della competenza didattica, educativa, formativa : i docenti sono
(stati) abbandonati a se stessi! È in questo senso che la vera
riforma dovrebbe cominciare dai docenti, dalle loro competenze
professionali (organizzative, relazionali, disciplinari e
soprattutto didattiche). Se si vuole realizzare una scuola
che non perda il suo tempo a scoprire i talenti, ma si impegni a
promuoverne la formazione, occorre realizzare una scuola a misura
dei singoli alunni, la scuola della personalizzazione educativa per
tutti gli alunni, la scuola dei Piani educativi personalizzati di
tutti gli alunni. Ma per realizzare una scuola
siffatta occorre dire basta alla scuola dell’uniformità ed
occorre puntare sulla formazione didattica dei docenti. La riforma si attua se nella scuola
si assicura, sia la centralità degli alunni che apprendono e si
formano, sia la centralità dei docenti che creano i contesti
apprenditivi e formativi efficaci in termini di laboratori
matematici, scientifici, storici, geografici ecc. Tutto il resto ¾anche
il PC in ogni aula!¾
è mero esercizio retorico che da cinquant’anni ha lasciato in
vita la scuola della selezione dei capaci e meritevoli! La prima, più importante, più
significativa riforma della scuola si attua se si migliorano i
processi di apprendimento degli alunni, migliorando le competenze
didattiche dei docenti. Solo queste consentono di organizzare le
situazioni di apprendimento degli alunni, predisponendo i materiali
didattici, comuni e strutturati, oltre che multimediali che servono
per costruire, inventare, scoprire i concetti, per formare le
capacità e per maturare gli atteggiamenti matematici, storici,
geografici, scientifici ecc.
La prima Riforma della scuola è
quella dei processi apprenditivi e formativi. Questa Riforma chiedono gli
studenti e reclamano le famiglie!
[1] Come scrive il Bruner, <<la scuola è l'ingresso nella vita della ragione. È, certamente, vita essa stessa, e non mera preparazione alla vita; tuttavia è uno speciale tipo di vita, accuratamente programmato al fine di sfruttare al massimo quegli anni ricchi di possibilità formative che caratterizzano lo sviluppo dell'homo sapiens e che distinguono la specie umana dalle altre>>. (BRUNER J. S., Dopo Dewey, Armando, Roma, 1964, p. 17). [2] In merito cfr.: TENUTA U., I contenuti essenziali per la formazione di base: homo patiens, habilis, sapiens, in RIVISTA DELL’ISTRUZIONE, MAGGIOLI, RIMINI, 1998, N. 5; Umberto Tenuta, Conoscenze Capacità Atteggiamenti, Obiettivi Specifici di Apprendimento; Obiettivi Formativi e Competenze; in DIDATTICA@EDSCUOLA.COM [3] GOODLAD J.I., ANDERSON R.H., The nongraded school -scuola senza classi, Loescher, Torino, 1972. [4] BLOCK J.H.(a cura di), Mastery learning - Procedimenti scientifici di educazione individualizzata, Loescher, Torino, 1972. [5] CIAMPOLINI F., La Didattica breve, Il Mulino, Bologna, 1993. [6] CLAPARèDE E., La scuola su misura, La Nuova Italia, Firenze, 1972. [7] In merito al Problem solving cfr.: MOSCONI G., D'URSO V. (a cura di), La soluzione di problemi. Problem-solving, Giunti-Barbèra, Firenze, 1973; KLEINMUNTZ B.(a cura di), Problem solving Ricerche, metodi, teorie, Armando, Roma, 1976; DUNCKER K., La psicologia del pensiero produttivo, Giunti-Barbèra, Firenze, 1969; WERTEIMER M., Il pensiero produttivo, Giunti-Barbèra, Firenze, 1965; DORNER D., La soluzione dei problemi come elaborazione dell’informazione, Città Nuova, Roma, 1988. [8] In merito cfr.: PONTECORVO C., AIELLO A.M., ZUCCERMAGLIO C., Discutendo si impara. Interazione sociale e conoscenza a scuola, NIS, Roma, 1991;PONTECORVO C. (a cura), La condividione della conoscenza, La Nuova Italia, Firenze, 1993:PONTECORVO C., AIELLO A.M., ZUCCERMAGLIO C., (a cura), I contesti sociali dell’apprendimento.Acquisire conoscenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, LED, Milano, 1995. |
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