SAPERI, CURRICOLO, COMPETENZE
Fonti, indicazioni normative, materiali

Giancarlo Cerini

 

Un po’ di storia

Nella primavera del 1997 (in coincidenza con la presentazione di un ambizioso disegno di ristrutturazione complessiva del sistema scolastico italiano, il cosiddetto "riordino dei cicli") il Ministro della Pubblica Istruzione costituì una Commissione di Studio con il compito di definire il quadro delle conoscenze irrinunciabili che dovranno padroneggiare i ragazzi al termine della formazione scolastica. La Commissione composta da 44 esperti, subito identificati dai mass-media come "Saggi", produsse una vasta mole di contributi e di riflessioni individuali, raccolti ora in un volume oltre che in un floppy-disk, ed un primo documento di sintesi (maggio 1997) curata dal coordinatore del gruppo Roberto Maragliano.

Un secondo documento, denominato "I contenuti fondamentali per la formazione di base" fu successivamente elaborato da un gruppo più ristretto di sei "saggi" e presentato all’Accademia dei Lincei, a Roma, il 20 marzo 1998. Nei mesi successivi il documento fu sottoposto ad una ampia consultazione tra gli operatori scolastici, sulla base di una scheda per la raccolta delle diverse opinioni espresse da docenti, studenti e genitori. Una sintesi della consultazione fu poi redatta da un apposito gruppo di lavoro e "restituita" alle scuole con una lettera del Ministro (aprile 1999).

In seguito ha operato un gruppo di Ispettori presso il Coordinamento nazionale dell’autonomia del Ministero, che ha prodotto un documento di lavoro sul tema delle competenze e dei nuclei fondanti delle discipline (gennaio 2000), pubblicato sugli Annali della P.I. Dal documento ha preso avvio una riflessione in presa diretta con una ventina di scuole, per verificare l’impatto del dibattito sui "saperi" sui "curricoli" realmente praticati nelle scuole (coordinamento curato da Frabboni, Scurati, Forte). Parallelamente, un gruppo di lavoro interno all’Amministrazione (Ispettori tecnici) ha redatto un documento di sintesi intitolato "Appunti di lavoro per l’attuazione del riordino dei cicli" (giugno 2000) che riassume alcune delle questioni di natura istituzionale, curricolare ed organizzativa sottese alla legge n. 30/2000.

Nel mese di giugno 2000 è stata poi costituita una Commissione di esperti, con il compito di definire i criteri generali per l’elaborazione dei nuovi curricoli, nell’ambito del piano di attuazione della legge sul riordino dei cicli. Gli esiti dell’intenso lavoro, avvenuto prevalentemente su "siti telematici" dedicati, sono stati resi pubblici in un documento datato 12 settembre 2000 che ha costituito la base di riferimento per la predisposizione del Piano quinquennale per l’attuazione dei cicli approvato dal Governo (3 novembre 2000) ed inoltrato successivamente al Parlamento per il prescritto parere (previsto per il dicembre 2000).

I materiali fino ad ora prodotti saranno poi utilizzati per la concreta elaborazione dei curricoli nazionali, operazione richiesta anche dall’attuazione dell’art. 8 del Regolamento dell’autonomia (DPR 275/99). E’ preannunciata ora la ripresa dei lavori della Commissione De Mauro, con l’obiettivo di delineare concretamente i nuovi indirizzi curricolari nazionali, operazione prevista per i primi mesi del 2001, in tempo utile per l’eventuale avvio della riforma dei cicli a partire dall’anno scolastico 2001/2002 (con modalità, però, ancora da definire).

C’è inoltre da ricordare che il nuovo contesto dell’autonomia richiede ad ogni istituto di assumersi la responsabilità di dotarsi di un proprio "curricolo di scuola" ed implica, perciò, il superamento di rigidi e minuziosi programmi nazionali in favore di quadri culturali più sintetici e di indirizzi di riferimento (il cosiddetto "curricolo nazionale"). Tali indicazioni andranno a comporre la cornice entro la quale si potrà esplicare l’identità progettuale e culturale di ogni scuola, con la determinazione di un proprio Piano dell’Offerta Formativa.

Il termine curricolo integra un triplice significato. Esso può infatti, di volta in volta, venire inteso come:

- curricolo disciplinare (ad es. "il curricolo di filosofia");

- curricolo di ciclo e/o di indirizzo (ad es. "il curricolo della scuola di base", "il curricolo di un indirizzo dell’area classico-umanistica");

- curricolo di scuola obbligatorio, comprensivo della quota nazionale e di quella riservata alle singole istituzioni scolastiche.

 

Gli assi del nuovo curricolo: i saperi di cittadinanza e di responsabilità

Di fronte al flusso incessante di messaggi che giungono ai nostri ragazzi, il compito della scuola è quello di rafforzare la capacità di non subire passivamente tali segnali, fornendo strumenti culturali per analizzarli e decodificarli, in un orizzonte di valori che consenta di interpretarli e di comprenderli, ma anche di assumersi le necessarie responsabilità in ordine alle scelte personali, ai comportamenti culturali, ai rapporti sociali.

"L’istruzione e la formazione diventeranno sempre più i principali vettori di identificazione, di appartenenza, di promozione sociale e di sviluppo personale…è attraverso l’istruzione che gli individui si renderanno padroni del loro futuro…la posizione di ciascuno nello spazio del sapere e della competenza sarà decisiva".

Viene subito in mente J. Dewey e la sua visione di una educazione alla democrazia, fondata sulla padronanza di strumenti culturali non astratti e verbalistici, ma fortemente connessi al contesto ambientale e sociale. Troviamo molte tracce di queste ascendenze nei Programmi della scuola elementare del 1985 e nei più recenti documenti sui Saperi. Ad esempio, nei Programmi del 1985 l’insegnamento della storia viene visto come "ricostruzione culturale" del proprio vissuto e del proprio ambiente, e quindi come rielaborazione della "memoria" (e della propria identità culturale) in vista della costruzione di orizzonti comuni. Nel documento sui "saperi" del 1998 si afferma che "l’insegnamento della storia darà il giusto spazio alle culture europee ed extraeuropee, per consentire lo sviluppo di un’identità culturale radicata nella storia del proprio popolo, ma valorizzando adeguatamente i legami tra i popoli e le culture".

Quello che la scuola propone ai ragazzi è dunque un sapere disinteressato, ma non fino al punto di trasformarsi in un sapere astratto e inutile. La sua utilità, la sua spendibilità non saranno però da calcolare solo in termini di immediata collocazione nel mondo del lavoro (questa era semmai l’idea funzionalista che stava alla base dei primi documenti della Comunità Europea), ma piuttosto di promozione di competenze non facilmente piegabili alle logiche passivizzanti della globalizzazione. La scuola non può inseguire i saperi utilitaristici, ma deve piuttosto lavorare su competenze "durature", sui nuclei forti delle conoscenze (che, è vero, non possono ridursi alla verbalizzazione dei saperi e devono incrociarsi con l’operatività, ovvero con le conseguenze sociali dell’uso di quei saperi). Dunque, un insieme di strumenti cognitivi e di atteggiamenti metacognitivi necessari per trarre profitto dalle opportunità offerte dalla società contemporanea, oggi sempre più società dell’apprendimento.

In fondo nei programmi più recenti della nostra scuola (elementare del 1985, scuola media del 1979, scuola materna del 1991, progetto Brocca, ecc.), troviamo una comune linea culturale e pedagogica: la formazione dell’uomo e del cittadino (i saperi di cittadinanza) si promuove non con una generica socializzazione dei ragazzi, o l’enfasi sui comportamenti personali e sociali, ma attraverso l’incontro con la cultura, le conoscenze, le discipline, con un esplicito taglio disciplinare, interpretabile in un’ottica che si potrebbe definire bruneriana.

 

Un curricolo bruneriano: il valore formativo delle discipline

La formazione della intelligenza non avviene attraverso generici processi mentali, ma grazie all’incontro intenzionale (questo succede a scuola) con i materiali presenti nel deposito culturale accumulato da ogni società. E’ l’incontro con le scienze, la matematica, la lingua, l’arte, la musica, che consente ad un soggetto di crescere, di pensare, di comunicare, di immaginare, di rappresentare, di agire. Perché ogni "sapere" offre all’intelligenza una forma, un linguaggio, degli strumenti, dei metodi, insomma degli "amplificatori" che la potenziano sfruttando la sua naturale plasticità ad espandersi. Anzi, come affermano gli studi più recenti sull’intelligenza, questi diversi contesti di crescita culturale finiscono con il produrre diverse dominanze (stili, interessi, propensioni) o, addirittura, diverse intelligenze.

Il modello "gnoseologico" sotteso al dibattito sui "saperi" è ben evidenziato negli Orientamenti della scuola materna (1991). L’incontro di un bambino con i sistemi simbolico-culturali (i saperi della società adulta) consente di dare "forma" e "struttura" ai suoi modi di conoscere, poiché offre oggetti, parole, idee, immagini alla sua disponibilità ad apprendere. Spetta dunque alla scuola organizzare questo incontro, creare un’ambientazione favorevole (un campo di esperienze) affinché questo contatto lasci un segno, e contribuisca allo sviluppo cognitivo e sociale di ogni bambino. Non a caso gli Orientamenti definiscono la scuola dell’infanzia un "ambiente di apprendimento, di vita e di relazione", associando l’apprendimento ad una dimensione sociale ed esistenziale.

La qualità delle esperienze di apprendimento sarà dunque legata all’interpretazione che ogni insegnante saprà dare del suo rapporto con le discipline: cosa "vedere" in una disciplina è la prima operazione che viene suggerita dai programmi che abbiamo prima citato. Se la matematica rappresenta "un’affascinante attività dl pensiero umano" (Programmi 1985), allora ne dovranno scaturire necessarie conseguenze sul piano delle scelte metodologiche, sul modo di presentare una disciplina in classe, sulla gestione del setting didattico.

Se il valore formativo della matematica apparirà soprattutto in occasione di situazioni non-matematiche (se, ad esempio, per affrontare meglio una ricerca sociale, utilizzerò strumenti, concetti, rappresentazioni di carattere matematico) (Documento sui Saperi, 1998), allora sarà quanto mai opportuno costruire esperienze didattiche capaci di andare al di là delle tradizionali compartimentazioni disciplinari. Meglio ancora, il problema della scuola sarà proprio quello di garantire il valore aggiunto (in quanto a motivazioni e formatività) delle esperienze integrate, senza perdere la forza cognitiva delle specifiche discipline: una disciplina pone certamente dei "vincoli" alla conoscenza, ma fornisce ad essa le indispensabili regole di sintassi e lessico.

 

Dai contenuti alle competenze essenziali

L’idea di un curricolo coerente dai 3 ai 18 anni, che sta alla base del progetto culturale sotteso al riordino dei cicli, pone in un’ottica diversa il problema dei contenuti. Infatti, la verticalità non comporta solo una diversa dislocazione diacronica dei contenuti del curricolo, con un effetto di semplificazione, ma sposta l’attenzione dalla dimensione contenutistica a quella delle competenze, cioè dei guadagni formativi che gli allievi possono realizzare nell’incontro con i saperi, cioè con un’organizzazione progressivamente strutturata delle conoscenze.

Nel dibattito su "saperi e competenze" si propone un deciso "alleggerimento dei contenuti disciplinari", attraverso la selezione dei contenuti "irrinunciabili"; operazione che si reputa indispensabile di fronte al permanere di una mentalità scolastica di tipo enciclopedico, che vede nelle discipline esclusivamente dei repertori di conoscenze, di nozioni, di informazioni da trasmettere agli allievi. Non è però facile definire un quadro di sintesi dei contenuti fondamentali per la formazione di base, cioè dei "saperi" considerati irrinunciabili (nucleo di conoscenze che si reputa indispensabile consegnare alle nuove generazioni). L’orientamento è quello di evidenziare le competenze che gli allievi possono acquisire attraverso l’esperienza scolastica e l’incontro con le discipline.

Emerge il rischio di una sottovalutazione dell’importanza dei contenuti, cioè del patrimonio di conoscenze, contenuti, informazioni, concetti, idee, che devono stare alla base dell’istruzione scolastica. La scuola non è solo un laboratorio dove si affinano macchine cognitive artificiose, saperi procedurali; non è solo un setting di allenamento alle strumentalità; è un luogo di cultura, dove si producono cultura, memoria, identità. C’è dunque una piattaforma cognitiva da sviluppare, ma c’è anche una piattaforma valoriale da salvaguardare. Le discipline ci aiutano a comprendere il mondo simbolico dell’uomo; ecco perché è importante una ricerca sui contenuti fondamentali e sulla loro aggregazione in grandi aree di significato.

In questa prospettiva formativa i contenuti si faranno apprezzare anche per il loro corredo di aspetti storico-epistemologici e tecnico-applicativi, oltre che per essere visti in un’ottica multidisciplinare e di integrazione dei saperi.

 

Le fonti del curricolo

Gli indicatori per la valutazione (scuola di base, 1993-1996)

Nella scuola il dibattito culturale che abbiamo riferito si è prevalentemente trasformato in attese professionali, circa la "traduzione concreta, nei curricoli e nelle prassi didattiche, della riflessione sui saperi essenziali", sia in senso sincronico (come scegliere i saperi essenziali evitando riduzionismi ?), sia in senso diacronico (come articolare e differenziare i saperi lungo i diversi cicli dell’istruzione ?).

Si può ritenere condivisa nella scuola un’esigenza di "sobrietà" dei curricoli, di maggiore flessibilità negli insegnamenti, di un curricolo non più enciclopedico e ripetitivo. Comincia a consolidarsi l’idea che il perno del curricolo sia rappresentato dal concetto di competenza, come insieme di conoscenze, abilità, padronanza di linguaggi, cioè di quei saperi "situati" che scaturiscono da contesti di apprendimento stimolanti e motivanti.

Dovremo però interrogarci a fondo sulla natura delle competenze da promuovere, sulla loro qualità "formativa", sul loro essere basate su un apprendimento "non inerte", perché capace di interagire e rimettere in gioco tutta la preistoria cognitiva di un allievo.

Sono ancora i programmi elementari del 1985 a fornirci una possibile chiave di lettura. Le competenze sono interpretate in termini di:

conoscenze dichiarative (relative a contenuti, informazioni, dati, saperi, ecc.);

conoscenze procedurali (relative al saper fare, a metodi e strumenti di organizzazione del pensiero);

conoscenze immaginative (relative ai linguaggi, alle rappresentazioni, ai modi di pensare e trasferire pensieri).

Siamo di fronte ad un insieme di abilità che nascono e si sviluppano in uno specifico contesto disciplinare, ma che tendono a trasferirsi in altri settori disciplinari. Ogni disciplina, se didatticamente ben ambientata, sollecita il trasferimento delle abilità acquisite verso gli altri settori disciplinari: in questo risiede la sua forza formativa.

Prendiamo, ad esempio, lo schema delle competenze che stanno alla base del curricolo di scienze della scuola di base. Abbiamo utilizzato, come fonte di riferimento, gli indicatori contenuti sulle schede di valutazione elaborate agli inizi degli anni novanta per la scuola elementare e media (e poi riposte frettolosamente nel cassetto nell’estate del 1996).

Tab. 1 Obiettivi formativi e competenze in scienze

Scuola materna Scuola elementare Scuola media
Osservare Osservare, porre domande, fare ipotesi, verificarle Osservazione (anche con uso di strumenti)

Formulazione di ipotesi e loro verifica (anche sperimentale)

Riconoscere Riconoscere fatti e fenomeni Conoscenza di elementi propri della disciplina
Descrivere Descrivere (fatti e fenomeni) Comprensione ed uso di linguaggi specifici
Realizzare Progettare e realizzare esperienze concrete (v. educazione tecnica)

Fonte: Documenti di valutazione degli alunni, Ministero P.I., 1993

Qual è il senso di questi indicatori, se non li assumiamo in un’ottica esclusivamente docimologica?

- I verbi indicano azioni, processi cognitivi, esperienze in corso, spostando il focus dell’attenzione più sui soggetti (l’apprendimento), che non sulle discipline (l’insegnamento);

il raffronto tra i diversi livelli scolastici segnala una gradualità, un percorso di ingresso nelle discipline, in cui il bambino non perde (in spontaneità e naturalezza), ma guadagna in appigli, strumenti e linguaggi;

ogni abilità rimanda ad una qualità diversa dei processi ad essa sottesa (si tratta, di volta in volta, di processi esecutivi, percettivi, cognitivi);

i verbi tendono a "trabordare" da una disciplina all’altra, a diventare azioni che si richiamano e consolidano da un contesto di esperienza all’altro (osservare in geografia sarà potenziato dall’osservare in scienze che sarà, a sua volta, alimentato dall’osservare in educazione all’immagine, e viceversa).

Se le discipline non offrono strutture, ma modelli di lavoro per la mente, allora diventa decisiva la qualità delle esperienze che un bambino compie a scuola e come tutto ciò venga mediato dagli scambi linguistici che avvengono a scuola e quindi dal progressivo costituirsi di una comunità che condivide il significato delle cose che si fanno a scuola.

 

Il dibattito sulle competenze (Coordinamento Autonomia)

A seguito dell’elaborazione dei Saggi, si è sviluppata una forte domanda di approfondimento attorno ai concetti di "contenuti", di "abilità", di "competenze". In particolare ci riferiamo al documento "saperi e competenze" elaborato nel gennaio 2000 da un apposito Gruppo di lavoro del Ministero (Coordinamento Autonomia) e che ha dato luogo anche ad una successiva ricerca/azione con una rete di 22 scuole pilota.

Emerge dal testo citato un profilo del concetto di "competenza", da intendersi come "padroneggiamento teorico e pratico delle conoscenze", una definizione che ha suscitato un vivace dibattito tra gli addetti ai lavori

Tra saperi, competenze e "nuclei fondanti" delle discipline

Le competenze:

(…) Le competenze si costruiscono sulla base di conoscenze. I contenuti sono difatti il supporto indispensabile per il raggiungimento di una competenza; ne sono –per così dire- gli apparati serventi.

(…) Le competenze si esplicano cioè come utilizzazione e padroneggiamento delle conoscenze. Si supera in tal modo la tradizionale separazione tra sapere e saper fare…

(…) Le competenze si configurano altresì come strutture mentali capaci di trasferire la loro valenza in diversi campi, generando così dinamicamente anche una spirale di altre conoscenze e competenze.

I nuclei fondanti:

(…) Un sistema di istruzione, in grado di corrispondere all’evoluzione qualitativa e quantitativa dei saperi, comporta…che le conoscenze siano selezionate e strutturate in termini di essenzialità. Ma una intelaiatura delle conoscenze compatta e coesa, postula, a sua volta, la organizzazione dei contenuti dell’insegnamento intorno a nodi essenziali che si configurino come dei veri e propri nuclei fondanti.

(…) I nuclei fondanti possono … definirsi tali quando assumono un esplicito valore formativo rispetto alle competenze di cui sono i supporti e gli apparati serventi.

(…) Nel processo di insegnamento/apprendimento il "nucleo fondante" configura…quanto delle conoscenze è indispensabile utilizzare e padroneggiare in una prospettiva dinamica e generativa.

Il curricolo:

(…) b) Il punto di partenza (del resto già implicito nell’art. 8 del Regolamento) non può che essere l’individuazione –in termini di osservabilità e certificabilità – delle competenze conclusive specifiche e trasversali dei cicli e degli indirizzi.

c) Bisogna poi individuare le discipline che concorrono alla definizione di tali competenze, i nuclei fondanti, gli argomenti irrinunciabili e le possibili interconnessioni tra i diversi campi del sapere. Per l’individuazione dei "nuclei fondanti" di una disciplina occorrerà tenere presente, da una parte, lo statuto epistemologico (oggetto, linguaggio, metodologia di ricerca) e dall’altra la finalità formativa che a essa viene attribuita.

Fonte: Ministero P.I., Competenze e curricoli: prime riflessioni, in Autonomia, competenze e curricoli (a cura di E.Bertonelli e G.Rodano), Dossier degli Annali della Pubblica Istruzione, Le Monnier, Firenze, 2000.

C’è chi ha considerato il documento coerente con l’evoluzione culturale e normativa in atto nella scuola della riforma (ad esempio, a partire dalla definizione di conoscenze, competenze, capacità contenuta nelle disposizioni relative ai nuovi esami di stato (DPR n. 323 del 23-7-1998, Regolamento attuativo dei nuovi esami di Stato) e ai modelli di certificazione delle competenze, connessi all’elevamento dell’obbligo scolastico a 15 anni (DM n. 70 del 13-3-2000), e chi invece ha ritenuto che concedesse troppo ad una interpretazione operativa e procedurale (il "saper fare"), tipica dell’area dell’istruzione professionale (con i connessi concetti di unità formative capitalizzabili, di crediti formativi, di certificazione, di modularità, ecc.) ed apertamente sostenuta a agenzie di studio come l’ISFOL, non a caso l’organismo pubblico delegato a presidiare il raccordo tra saperi della formazione e saperi del mondo del lavoro.

 

L’ipotesi dell’ISFOL: dalla scuola al lavoro

Un’utile provocazione proviene dalla ricerca ISFOL, agenzia tecnica del Ministero del Lavoro, che individua tre livelli di abilità nell’ambito della formazione professionale:

abilità di base: riferite a conoscenze non specifiche della qualifica, ma ritenuti essenziali per il soggetto in formazione (si tratta delle ormai famose tre erre: leggere, scrivere, far di conto, cui si affiancano i nuovi alfabeti della contemporaneità: l’inglese e l’informatica);

abilità tecnico-professionali: direttamente connesse alla qualifica, generalmente distinte in teorico-tecniche e pratico-applicative (di cui si raccomanda di non accentuare una miope e precoce specializzazione);

abilità trasversali: correlate a quell’insieme di competenze utili per un comportamento lavorativo efficace, ad esempio: comunicazione, lavoro di gruppo, diagnosi del contesto, definizione e risoluzione di problemi, autoapprendimento, ecc. (ISFOL, 1996).

Nella ricerca ISFOL le competenze trasversali vengono strutturate in alcuni grappoli di verbi, tra i quali uno funge da indicatore "capofila": si tratta dei termini: diagnosticare, relazionarsi, affrontare. All’interno di ogni mappa vengono poi evidenziate ulteriori operazioni che arricchiscono l’interpretazione delle competenze proposte.

E’ pur vero che si tratta di abilità che scaturiscono da una visione "aziendale" e di atteggiamenti richiesti ad un futuro lavoratore che si presenta sul mercato del lavoro, ma la loro dimensione "formativa" è così pregnante che può essere recuperata anche in una corretta piattaforma pedagogica, fin dalla scuola di base.

Ad esempio, proviamo ad applicare il verbo diagnosticare ad operazioni che possiamo stimolare in bambini di quarta elementare di fronte ad una pagina del sussidiario di geografia: "perché è strutturata in questo modo ? perché quella foto ? quella tabella con i numeri ? quelle didascalie o quei capoversi ? perché è così diversa dalla pagina di un racconto del libro di lettura ?". Come si vede, si tratta di sollecitare atteggiamenti di curiosità, voglia di andare oltre, gusto per i problemi, piacere di portare a termine un compito.

Le stesse dimensioni della socialità, della accoglienza, della relazionalità positiva (ascoltare, cooperare, lavorare in gruppo) sembrano piuttosto premesse per alimentare un buon clima positivo nelle nostre classi, piuttosto che condizioni per la costruzione dell’apprendimento.

 

Gli istituti comprensivi ed il curricolo verticale (la sperimentazione del triennio 1997-1999)

Un interessante laboratorio per la ricerca sul curricolo è data dall’esperienza degli istituti comprensivi, cioè delle unità scolastiche che aggregano in un unico contesto organizzativo le scuole materne, elementari e medie di un medesimo territorio. Da tali scuole emerge ormai una piattaforma pedagogica che segnala uno spostamento di attenzione verso una lettura qualitativa dei processi di insegnamento/apprendimento. Infatti, le molteplici occasioni di progettazione comune e di messa a punto di iniziative di integrazione/scambio (laboratori, classi ponte, classi aperte, prestiti tra docenti) delineano un ambiente ad alto tasso di comunicazione e dialogo inter-professionale. Questo consente di rimettere in discussione modelli di insegnamento rigidi, centrati sulla trasmissione di repertori informativi, per promuovere lo sviluppo di abilità procedurali (metodo di lavoro, saperi operativi, strategie di controllo dell’apprendimento), unite alla padronanza di linguaggi, forme di espressione, di comunicazione e di produzione culturale.

In molte esperienze si segnala una crescita di motivazioni, di fiducia, di atteggiamenti positivi verso l’esperienza scolastica, di voglia di intraprendere, di curiosità. Naturalmente queste condizioni si manifestano quando vengono valorizzate appieno alcune caratteristiche del nuovo contesto organizzativo "verticale" (mediante l’attivazione di laboratori, la articolazione in gruppi diversi dalla classe, l’uso di nuove tecnologie multimediali, il rapporto con il territorio per situarvi esperienze significative di ricerca).

Si viene quindi convalidando l’ipotesi di un percorso curricolare, centrato sull’apprendimento, delineato nell’ambito di un progetto di ricerca/azione promosso dal Ministero della P.I. (Direzione Generale I° grado) in 22 istituti comprensivi sperimentali, con il coordinamento scientifico del prof. Piero Boscolo. Nella ricerca, il concetto di competenza viene considerato come un insieme di conoscenze dichiarative, di abilità procedurali e di atteggiamenti che si snodano lungo il nuovo percorso verticale (dalla scuola dell’infanzia alla scuola media), nelle connessioni trasversali (cioè nella trasferibilità delle competenze) e nella loro qualità interna (cioè nella progressiva coerenze e connessione interna).

Un’ipotesi di interpretazione qualitativa del curricolo verticale

Competenza = Capacità di affrontare i problemi attraverso abilità cognitive e sociali Conoscenze Dichiarative
(conoscenze acquisite, da usare)
Abilità Procedurali
(abilità di acquisire nuove conoscenze)
Atteggiamenti
(orientamento che guida l’acquisizione di conoscenze)
Qualità
(grado di organizzazione interna)
Organizzazione e connessione interna
(dare significato, ristrutturare, integrare precedenti conoscenze)
Automaticità e monitoraggio
(padroneggiare con sicurezza abilità, ma controllarne l’esecuzione: es. la lettura)
Sicurezza di sé e "voglia di imparare"
(importante delle esperienze positive e di una valutazione non classificatoria)
Verticalità
(continuità, discontinuità, dinamismo)
Dall’esperienza ai settori disciplinari
(verso il consolidamento e l’articolazione dei saperi, con un diverso livello di approfondimento)
Dall’uso generale all’uso specifico
(verso un uso consapevole e coerente degli strumenti cognitivi nei diversi contesti: es. le scienze)
Dalla risposta ad un orientamento di scelte ed interessi
(verso una progressiva specializzazione delle scelte)
Trasversalità
(flessibilità)
Transfer, applicazione e generalizzazione
(per svincolarsi dal contesto delle esercitazioni scolastiche)
Uso di abilità in contesti diversi
(per evitare il mentalismo dell’insegnamento)
Riprodurre, ricreare situazioni positive
(per costruire le condizioni per continuare ad apprendere)

Fonte: Rielaborazione da un intervento di P.Boscolo.

L’ipotesi curricolare degli istituti verticali muove dunque dalla dimensione cognitiva per interpellare gli aspetti affettivi e motivazionali, in un percorso di reciproca relazione. Un allievo è "competente" quando diventa gradualmente consapevole della propria risorsa apprendimento, cioè quando si manifesta la voglia di apprendere e si riescono a riprodurre (anche fuori dal contesto scolastico) le condizioni positive che motivano verso la curiosità intellettuale e la soluzione dei problemi.

Tutto ciò rimanda al concetto di scuola ambiente di apprendimento che è forse il lascito più importante dei programmi della scuola elementare, che oggi ritorna nel documento sui saperi, quando si ricorda che "la scuola deve diventare un luogo di vita e di apprendimento per docenti e studenti: per fare questo ci vogliono spazi e tempi adeguati e vivibili". Decisivo è un forte investimento negli insegnanti: "nel gusto per l’insegnamento, nel senso morale, nel piacere che viene dal far conoscere, far discutere, far costruire sapere".

 

Il circuito delle scuole sperimentali (il gruppo "Ferrara", autunno 2000)

La riflessione e la progettazione scientifica della ricerca-azione [che ha coivolto una rete di 21 scuole sperimentali, citate in precedenza] hanno prodotto un corposo materiale relativo a tre essenziali paradigmi curricolari. Essi si identificano nella competenza, nella trasversalità, nella progressività, che possono essere anche definiti rispettivamente come disciplinarità, interdisciplinarità e continuità.

La competenza (la disciplinarità)

A partire dalla consapevolezza dell’interdipendenza esistente tra conoscenze e competenze (le une rimandano alle altre e viceversa), il gruppo ha identificato due assi - quello cognitivo e quello pedagogico-didattico - della disciplinarità curricolare. Il processo formativo è infatti chiamato a mettere a disposizione degli allievi gli statuti monocognitivi e metacognitivi delle discipline (contenuti, linguaggi, punti di vista interpretativi, metodologie della ricerca, dispositivi euristici, generativi e trasversali e altri ancora), superando l’enfatizzazione nozionistica ed enciclopedica.

Valorizzare l’indice di "formatività" delle discipline nel contesto del processo di apprendimento e cioè a focalizzare le fondamentali strutture cognitive declinabili dagli statuti delle discipline:

La trasversalità (l’interdisciplinarità)

A partire dalla consapevolezza dell’interdipendenza e della pariteticità formativa esistente tra la disciplinarità e l’interdisciplinarità, il Gruppo ha identificato le due esigenze pedagogico-didattiche della trasversalità curricolare. Nell’odierna stagione della globalizzazione, dell’informazione e dell’omologazione culturale il sistema scolastico ha il compito di promuovere l’interdisciplinarità in quanto itinerario alla cultura dotato di una pluralità di piste cognitive. Come già ricordato il Gruppo ne ha individuato alcune:

La progressività (la continuità curricolare)

A partire dalla consapevolezza che i percorsi di insegnamento-apprendimento devono perseguire dialetticamente il traguardo di una duplice continuità - quella della unitarietà dei curricoli disciplinari e quella della specificità dei curricoli di ciclo - il Gruppo ha identificato gli elementi pedagogico-didattici della progressività curricolare:

La progressività formativa. Per potere assicurare "centralità" educativa agli allievi, l’itinerario curricolare è chiamato a rispettarne le dimensioni di sviluppo socioaffettive, cognitive, estetiche, morali degli allievi;

La progressività cognitiva deve a sua volta essere contrassegnata da una duplice identità disciplinare.

La scuola di base. La prima identità disciplinare, della quale deve farsi carico la scuola di base, mira a equipaggiare gli allievi di formae mentis capaci di interiorizzare e conservare a lungo l’alfabetizzazione primaria che oggi tende a "evaporare" precocemente dalle menti degli allievi, con il risultato di accelerare forme precoci di neoanalfabetismo cognitivo. A partire dalle strutture cognitive declinabili dallo statuto disciplinare le formae mentis da promuovere nella scuola di base sono prevalentemente (non esclusivamente) quelle "a spirale" che rispondono al nome di mediatori culturali, logica ermeneutica, nessi trasversali, dispositivi generativi, potenziali creativi e trasgressivi.

La scuola secondaria. La seconda identità disciplinare, della quale deve farsi carico la scuola secondaria, mira a equipaggiare gli allievi delle competenze cognitive, afferenti all’alfabetizzazione secondaria, in grado di tradursi in unità cognitive capitalizzabili spendibili nella vita socioculturale, nei percorsi universitari e nel mondo del lavoro A partire dalle strutture cognitive declinabili dallo statuto disciplinare, le competenze da promuovere nella scuola secondaria sono prevalentemente (non esclusivamente) quelle in "catena" progressiva che sono in relazione con i contenuti essenziali, i congegni investigativi, i nuclei fondanti, i paradigmi di senso e di significato.

 

Il documento De Mauro, per l’attuazione del riordino dei cicli (3 novembre 2000)

Il piano di attuazione del riordino dei cicli presentato dal Ministro De Mauro al Parlamento (novembre 2000) si apre con una premessa culturale di grande respiro, che collega il processo di riforma ai processi di trasformazione in atto nella società italiana, ma che rivendica anche il valore positivo delle tradizioni culturali del nostro paese, come patrimonio da valorizzare pienamente nella costruzione di una cittadinanza ormai europea. Di fronte alle nuove sfide, però, il sistema scolastico italiano si presenta con annose lacune, mai decisamente affrontate in una visione di insieme: discontinuità, dispersione, differenziazioni territoriali e di ceto sociale, carenze nei livelli formativi dei ragazzi al termine della scuola superiore.

L’attuazione della riforma non potrà tradursi in una semplice rivisitazione degli ordinamenti e delle strutture, ma dovrà affermare pienamente la centralità degli allievi nei processi educativi, predisponendo tutte le condizioni per una loro attiva e consapevole partecipazione alle esperienze di apprendimento. Da questo impegno etico-politico discende la chiamata in causa di tutti i soggetti che dovranno impegnarsi nell’attuazione del progetto di innovazione: le scuole ormai dotate di una loro autonomia curricolare, gli enti locali ai quali sono riconosciute nuove responsabilità programmatorie, la stessa amministrazione scolastica, a cui si chiede di allestire supporti di natura tecnica, strumentale e formativa.

Il riordino viene attuato in stretta correlazione con l’insieme delle innovazioni legislative che hanno caratterizzato la vita della scuola negli ultimi anni: l’avvio dell’autonomia, il decentramento amministrativo, la legge di parità scolastica, l’elevamento dell’obbligo scolastico a 15 anni e dell’obbligo formativo a 18 anni, definiscono uno "sfondo" che modifica la stessa configurazione della "figura" cicli". Oggi è molto più avvertita la consapevolezza della connessione tra il sistema scolastico (che, giustamente, rivendica la sua autonomia culturale e le sue prospettive disinteressate) ed i sistemi sociali, territoriali, produttivi (che richiedono nuovi saperi nuove professionalità, nuove forme di cittadinanza). Questa connessione viene favorita da una maggiore articolazione delle opportunità formative, che oltre ad un canale scolastico più compatto e più breve –dai 3 ai 18 anni- offre anche il canale (tradizionalmente sottovalutato) della formazione professionale regionale e dell’apprendistato con obbligo di formazione a tempo parziale.

Il dialogo tra i diversi sistemi formativi diventa l’emblema di un maggior investimento sulla formazione, come risorsa strategica per la crescita del paese e dei suoi cittadini.

Anche il progetto culturale si ispira a questa vocazione "civile": le conoscenze da proporre a scuola non saranno più avulse dalle domande della società, ma dovranno alimentare competenze critiche, capacità di affrontare problemi, dimensione operative, senza tradire il senso della appartenenza, della memoria culturale, dell’identità storica e unitaria del nostro paese.

Aiuta nel ricerca di questo percorso di innovazione il nuovo quadro giuridico che affida alle singole unità scolastiche nuove responsabilità in merito alla progettazione del curricolo e quindi responsabilizza grandemente gli insegnanti nelle scelte culturali, metodologiche e didattiche. La stessa configurazione del curricolo obbligatorio (ove tra il 20 ed il 40 % del tempo scuola, a seconda dell’età degli allievi, viene affidata alla scelta delle scuole) indica l’esigenza di una più specifica attenzione alle domande ed alle esigenze del contesto, ma anche ai bisogni dei singoli allievi.

Quella della riforma si presenta, dunque, come una scuola a misura di allievo (orientata al suo apprendimento, piuttosto che alle astratte esigenze di un insegnamento uniforme) e in sintonia con la domanda delle comunità di riferimento, ma in un quadro di forte unitarietà culturale, garantita proprio dal disegno complessivo dei cicli, dai curricoli di carattere nazionale, dagli standard di qualità che dovranno essere verificati da una authority indipendente dal Governo nazionale e da quello locali.

Un punto di forza del riordino risiede nel profilo unitario del percorso formativo dai 3 ai 18 anni, di grande suggestione pedagogica, perché accompagna lo sviluppo delle nuove generazioni dalla prima infanzia alle soglie della maggiore età: si tratta, infatti, di rendere più coerente e solida la formazione di tutti i cittadini, consegnando loro quei "saperi di cittadinanza e di responsabilità" indispensabili per affrontare consapevolmente il futuro.

Questa formazione "lunga" deve garantire la padronanza dei linguaggi e delle abilità fondamentali (i saperi procedurali) e la progressiva organizzazione dei saperi sul mondo (le conoscenze "dichiarative"). Sappiamo anche che la formazione obbligatoria non si esaurisce nella nuova scuola di base settennale (a 13 anni), ma implica che tutti i ragazzi frequentino almeno due anni le scuole superiori (fino a 15 anni), come base indispensabile per sostenere i successivi percorsi formativi differenziati, ma obbligatori, fino a 18 anni (in virtù dell’obbligo formativo).

Nel corso del dibattito si nota oggi, a differenza di un anno fa, una maggiore attenzione per questo curricolo obbligatorio di 9 anni (dai 6 ai 15 anni), che abbraccia entrambi i cicli (quello primario e quello secondario). Viene anche da pensare che questo spostamento di attenzione verso l’alto, verso i primi due anni delle superiori riformate, possa rappresentare anche il "giusto" riconoscimento della storia e del ruolo della scuola media (una parte delle sue funzioni e valenze democratiche sono oggi ricollocate nel biennio delle superiori), anche mediante una possibile utilizzazione dei docenti provenienti dalla scuola media.

Questo percorso ha un punto di cerniera decisivo nella nuova scuola di base settennale. Questa chiama in causa le migliori tradizioni della scuola elementare e media, ma chiede anche di reinterpretarne le funzioni: un ambiente di apprendimento che stimoli motivazioni, curiosità e partecipazione, ma che offra solidi alfabeti e codici per rappresentare il mondo, comprenderlo, comunicarlo.

C’è oggi - l’abbiamo registrato in tutti i documenti preparatori - una aspettativa di maggior sicurezza sui livelli di alfabetizzazione funzionale (in merito a fondamentali abilità logico-linguistiche) che non può essere elusa. La socializzazione e l’accoglienza non sono più sufficienti ad interpretare il ruolo della scuola di base nella formazione dei cittadini, perché oggi si tratta di insegnare ai ragazzi a muoversi in uno spazio culturale sempre più complesso e ricco di segni, oggetti, immagini, tecnologie.

Ma proprio per questo occorre una interpretazione evoluta dei modelli di apprendimento, del valore "gnoseologico" (formativo) delle discipline di studio (cioè del loro effettivo promuovere processi cognitivi), delle necessarie coerenze sul piano metodologico, ove una didattica laboratoriale, operativa, di stile cooperativo si fa nettamente preferire a didattiche unilaterali, povere e trasmissive.

 

Il ruolo della ricerca con le scuole

La ricerca sul curricolo essenziale non è dunque solo una ricerca sulla didattica compatibile, ma sugli assi formativi decisivi per costruire identità e cultura. Ecco allora le grandi domande sulle aree del sapere, sui linguaggi verbali e non, sui testi scritti o multimediali, su specialismi o trasversalità, sulla cultura professionale e sul sapere disinteressato.

Agli operatori della scuola interessa ricomporre questo quadro in aggregazioni unitarie, senza però perdere la forza conoscitiva dell’approccio disciplinare. Queste osservazioni già ci portano al centro dei processi didattici (la classe), là ove può avvenire (o meno) l’incontro con i saperi. Ma a questo punto "i saggi" sono gli insegnanti, perché ad essi spetta assumersi l’onere di partecipare con competenza e passione a questa ricerca. L’autonomia ed il riordino dei cicli saranno un evento positivo se riusciranno a garantire a tutti gli operatori della scuola effettivi spazi di ricerca e di sviluppo, insieme culturali e professionali.