Camera
|
Aula |
21,
22 |
DdL 7239/B,
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2001 e bilancio
pluriennale per il triennio 2001-2003, approvato dal Senato
DdL 7238 bis/B, Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge
Finanziaria 2001), approvato dal Senato
Il 22 dicembre 2000 l'Aula approva definitivamente (300
voti a favore, 137 contrari e 2 astensioni) la manovra finanziaria per il
2001
|
Aula |
11,
12 |
Programma
di attuazione dei cicli scolastici (relazione
approvata dalla 7a Commissione)
L'11 dicembre ha inizio il dibattito in Aula che si
conclude il 12 dicembre con l'approvazione (246 favorevoli, 196 contrari,
2 astenuti) della risoluzione n.
6-00155.
Riportiamo
di seguito l'intervento del relatore e del ministro della PI:
(11 dicembre 2000) SERGIO SOAVE, Relatore per la
maggioranza.
Signor Presidente il programma quinquennale di attuazione della riforma dei cicli di istruzione, trasmesso dal Governo alle Camere il 17 novembre 2000, costituisce la prima fase del processo di attuazione progressiva dei nuovi cicli di istruzione ed avviene in ottemperanza delle modalità del tutto particolari dettate dall'articolo 6 della legge n. 30 del 2000.
Secondo quanto previsto dalla legge, il programma deve indicare la scansione temporale e le modalità di attuazione della legge stessa; contenere un progetto generale di riqualificazione del personale docente secondo criteri già individuati (valorizzazione delle specifiche professionalità maturate o riconversione); individuare i criteri generali per la formazione degli organici di istituto; definire i criteri generali per la riorganizzazione dei curricoli; definire un piano di adeguamento delle infrastrutture; contenere una relazione di fattibilità in relazione a eventuali maggiori oneri finanziari o economie; indicare i criteri e le modalità di riutilizzazione delle economie di spesa.
Il programma presentato dal Governo contiene valutazioni e risposte sui singoli punti, anche se in molte parti preferisce ipotizzare differenti soluzioni per le quali richiede il giudizio delle Camere, rispettando in tal modo lo spirito dell'articolo 6 della legge n. 30 del 2000 e cogliendo, in particolare, le indicazioni della speciale procedura approvata dal Parlamento, preoccupato del fatto che la complessa e graduale procedura di attuazione potesse sembrare delegata, una volta per tutte, al solo Governo. Di qui il carattere in qualche misura anomalo del documento e la necessità che la risoluzione finale sia molto precisa nella definizione degli indirizzi cui il Governo dovrà attenersi, in modo da bilanciare l'impressione di una certa genericità che la lettura di un testo così difforme dall'ordinaria produzione normativa può legittimamente suscitare.
Non bisognerà comunque dimenticare, nell'avvicinarsi al testo, che si tratta di un primo programma, il quale non deve e non può presentare la soluzione di tutti gli innumerevoli problemi connessi all'attuazione di una riforma generale così complessa, ma può solo indicare indirizzi e fattibilità legati alla prima fase di applicazione, certo decisiva ma non esaustiva. Come si sa, del resto, la legge prevede la possibilità di continue misure correttive del programma stesso che possono essere emanate anche nel corso dell'attuazione, ove se ne rilevi la necessità. Si presta, pertanto, una particolare attenzione al rapporto Governo-Parlamento ed alla necessità di seguire una procedura graduale e prudente.
Il programma di attuazione si articola in sette capitoli: i primi due riguardano le finalità, le ragioni, le condizioni ed i soggetti della riforma, gli altri affrontano punto per punto le tematiche contenute nell'articolo 6 della legge n. 30 del 2000.
I primi due capitoli introduttivi, pur non contenendo norme di attuazione, costituiscono un'utile premessa. Da più parti, infatti, nel tentativo di arrestare il cammino della legge di riforma, si opera una singolare rimozione delle ragioni che hanno indotto il Parlamento, dopo quasi trent'anni di discussioni e di vani tentativi, ad approvare il testo di riordino. A leggere, anzi, alcuni appassionati critici, sembra che la presunta «follia distruttiva» - così è stata definita - della legge si abbatta su una scuola perfetta, che abbisogna al più di qualche ritocco marginale. È curioso che questa rappresentazione venga fatta anche da chi, nei decenni precedenti, ha sempre rivendicato l'assoluta necessità di un radicale cambiamento.
Ora, se è comprensibile che, arrivati al dunque, cioè al momento della prima attuazione, si tenda ad enfatizzare la bontà di ciò che si lascia e, per converso, ad amplificare i rischi e le difficoltà inevitabili del nuovo cammino, non si dovrà diventare prigionieri di un pur naturale e comprensibile riflesso psicologico. Il legislatore sa che le riforme, anche quelle per le quali più si è combattuto, recano con sé, nella fase iniziale, una resistenza inevitabile al nuovo e ciò gli consiglia di essere prudente nell'innovazione e graduale nell'applicazione. Ma prudenza non può voler dire immobilità e gradualità non può essere sinonimo di rinvio.
A chi, dunque, voglia confrontarsi davvero con le finalità e le ragioni della legge, i primi due capitoli del programma ricordano opportunamente che le finalità sono riassumibili: in primo luogo, nel dare piena attuazione ai principi costituzionali in materia di uguaglianza e diritto allo studio e nel considerare la centralità della persona che apprende come fondamento dell'intero ordinamento; in secondo luogo, nel coordinare l'offerta di formazione con le trasformazioni sociali in atto nel paese, riconoscendo valore e dignità alle diverse tradizioni culturali esistenti; in terzo luogo, nell'adeguare la preparazione dei giovani al contesto internazionale e, soprattutto, alle esigenze della nuova casa europea che è in costruzione; infine, nel rinnovare l'identità delle istituzioni scolastiche, recuperando il meglio della tradizione culturale della scuola.
Quanto alle ragioni di un riassetto complessivo che hanno spinto il Parlamento ad agire, esse possono essere riassunte molto chiaramente nei seguenti punti: in primo luogo, la discontinuità tra i vari livelli di scuola e l'eccessiva e non funzionale differenziazione dei vari indirizzi della scuola superiore, limiti che la legge si propone di superare;
in secondo luogo, il mancato o difficile raccordo con il sistema universitario, con la formazione professionale e con il mondo del lavoro; in terzo luogo, il carattere parziale e poco risolutivo delle riforme fin qui effettuate che hanno finito per incidere debolmente su nodi quali l'insuccesso scolastico e la dispersione; in quarto luogo, le nuove emergenze, quelle derivanti dall'analfabetismo di ritorno e dal problema dell'immigrazione; in quinto luogo, la necessità di superare la gestione centralizzata e autoreferenziale della scuola.
Se si va ad esaminare queste ragioni e questi principi, non vi è chi non veda come si tratti di argomentazioni largamente condivisibili e che, infatti, fino ad un certo punto della discussione parlamentare per la predisposizione della legge, sono stati condivisi da una vasta maggioranza. Poi, quel clima di confronto costruttivo si è in qualche modo incrinato per delle ragioni che, a parere del relatore della maggioranza, erano estranee alla legge e più individuabili in un clima generale di opposizione dura tra le forze di maggioranza e quelle dell'opposizione. Per tale motivo, anche il recente dibattito ha fatto emergere spesso delle posizioni perlopiù «demolitorie», mentre qui si tratta piuttosto di discutere se la legge e il programma siano più o meno coerenti con i principi appena esposti.
Passiamo ora all'analisi dei capitoli veri e propri all'interno dei quali il programma deve affrontare le richieste e dare le risposte previste dall'articolo 6.
Mi soffermerò innanzitutto sui criteri generali per la riorganizzazione dei curricoli.
Al riguardo credo che siano condivisibili le osservazioni del programma di attuazione relative ai principi informatori che dovranno sottostare alla nuova formulazione dei curricoli. Mi riferisco innanzitutto alla necessità che essi rispondano ai bisogni formativi degli alunni; alle istanze territoriali di riferimento nella prospettiva di bilanciare unitarietà del sistema e pluralismo culturale; al fatto che essi siano formulati esaltando l'essenzialità, la storicità e la problematicità del sapere (e qui vi è una risposta significativa a chi parla superficialmente di svilimento nella riforma della qualità della scuola); al fatto che tengano conto del carattere progressivo e graduale dei percorsi, in antitesi con l'attuale ripetersi degli stessi contenuti nelle fasi successive (questa è un'indicazione che farà - credo - lavorare - lo spero - fecondamente e proficuamente, ma in maniera molto impegnativa chi dovrà affrontare appunto la stesura e la tematica dei nuovi curricoli); al fatto che si rafforzino tra le competenze essenziali quelle linguistiche e matematiche, nonché la capacità di impiego delle tecnologie informatiche.
In secondo luogo, i criteri generali per la riorganizzazione dei curricoli non possono non affrontare la questione dei tempi e, cioè, il monte ore annuale a cui fare riferimento. Qui viene «scandito» il monte orario complessivo: dalle 1.150 alle 1.300 ore per la scuola dell'infanzia, forte dei suoi ordinamenti e, per la prima volta, parte integrante del sistema di istruzione e di educazione sotto la diretta responsabilità del dirigente scolastico. Faccio questa sottolineatura semplicemente perché pare strano, nonostante tutto, che si sia alimentata in queste settimane l'idea - farei meglio a definirla la «leggenda metropolitana» - che in questa riforma la scuola dell'infanzia venga posta in un'area marginale, quando invece proprio da un'area marginale viene sottratta per essere collocata pienamente dentro, diventandone parte integrante, del sistema di istruzione e di educazione!
Naturalmente, la realizzazione di tale obiettivo (1.150 ore e 1.300 ore annuali) implica in particolare la riconversione delle sezioni, ancora funzionanti a tempo ridotto, nella prospettiva di una progressiva generalizzazione della scuola dell'infanzia. Questo è un altro tema che cozza direttamente contro le «fantasie» sulla marginalità! Vengono poi definiti i «monte ore». Per la scuola di base è previsto un monte ore di circa mille ore annuali (cioè trenta ore settimanali per trentatré settimane), con una quota riservata alle istituzioni scolastiche attorno al 25 per cento; per la scuola secondaria si stabilisce un monte ore di mille ore annuali con una soglia autonoma del 20 per cento incrementabile con una quota fino al 10 per cento per i primi due anni, per le attività di recupero e di orientamento (che abbiamo già detto essere indispensabili per favorire il passaggio da aree e indirizzi diversi qualora le vocazioni degli alunni non siano abbastanza sicure), e un altro 20 per cento per l'articolazione interna agli indirizzi mediante l'insegnamento di discipline scelte dalle scuole sulla base di un repertorio di opzioni definite a livello nazionale, in modo trasparente, per venire incontro a quell'articolazione che dovrà essere prevista pur dentro la compressione in soli sei indirizzi dei cento e più che erano presenti nell'area tecnica e tecnologica. I curriculi della scuola secondaria dovranno tenere conto della nuova definizione per aree e indirizzi. Il programma chiarisce quello che nel dibattito parlamentare precedente non era stato precisato. È prevista un'area classico-umanistica, con due indirizzi (lingue e letterature classiche e lingue e letterature moderne); un'area scientifica, con due indirizzi (scienze matematiche e sperimentali e scienze sociali); un'area tecnica e tecnologica con sei indirizzi (gestione e servizi per la produzione di beni, gestione e servizi per l'economia, gestione e servizi per l'ambiente e il territorio, gestione e servizi per le risorse naturali e agro-industriali, gestione e servizi alla persona e alla collettività, gestione e servizi relativi al turismo - questa mi pare che sia la risposta da dare ad un interrogativo che era stato posto nel programma -); infine l'area artistica e musicale, con almeno due indirizzi.
Su questi punti credo che saranno necessarie alcune avvertenze. Esse troveranno posto anche nella risoluzione a cui darà luogo il programma.
Innanzitutto bisogna tenere conto dello sviluppo progressivo dell'intero percorso settennale nel definire in maniera compiuta per il settembre del 2001, così come si vuole, i curriculi dei primi due anni della scuola di base.
Per quanto attiene all'articolazione della scuola di base, occorre impegnare il Governo a considerare la soluzione che viene prospettata nel programma (il famoso 2+3+2) come ipotesi di lavoro valida soprattutto per le implicazioni metodologiche e organizzative, ma da realizzare nell'ambito dell'autonomia didattica e organizzativa e da verificare a conclusione del primo triennio. In questo caso credo che il Parlamento debba suggerire cautela - a parere nostro - per uno sbilanciamento significativo della relazione.
Per quanto riguarda il curriculo dei primi due anni della scuola secondaria, credo che il programma debba attenersi più rigorosamente al comma 3 dell'articolo 4 della legge n. 30 del 2000, per cui la possibilità di passare da un modulo ad un altro, anche di indirizzi diversi, non può in alcun modo deprimere la caratterizzazione specifica dell'indirizzo e l'obbligo di un rigoroso svolgimento del relativo curriculo, visto nella sequenza quinquennale, anche se da svolgersi in anni di obbligo scolastico. In tal senso - e soltanto in tal senso - andrà valutato anche l'equilibrio da realizzarsi tra le materie di indirizzo e quelle di equivalenza disciplinare.
Per quanto riguarda poi i curriculi in generale della scuola secondaria, e cioè dei cinque anni, credo che occorra precisare, rispetto ai suggerimenti del programma governativo, che in particolare per l'area tecnica e tecnologica, nonché evidentemente per quella artistica e musicale, il rafforzamento della dimensione culturale non ostacoli l'apprendimento di specifiche professionalità già spendibili al termine del quinquennio sia sul mercato del lavoro, sia per l'accesso alla formazione tecnica superiore o all'università. Per la calibratura degli stessi curriculi dovrà naturalmente tenersi conto dei previsti raccordi con il mondo della formazione professionale e dell'apprendistato, già previsti in altre leggi (qui il programma è abbastanza esplicito). Un ultimo punto che vorrei raccomandare, più difficile da tradurre in norma, ma pur rintracciabile nel dibattito precedente che si è svolto per la formulazione della legge, sia nel dibattito successivo, è quello di attenersi agli aspetti innovativi della legge nella formazione dei curriculi.
Essa, mentre sottolinea la necessità dell'incontro, variamente modulato nelle diverse aree e nei vari indirizzi, con la cultura classica e con un approccio di tipo storico-filosofico (ciò al fine della piena valorizzazione della persona umana, così fortemente richiamata nell'articolo 1 della legge), fa esplicitamente cenno - vedi il comma 6 dell'articolo 4 - all'arricchimento derivante dal periodo di alternanza scuola-lavoro-professioni, che deve diventare esperienza estesa a tutte le aree della scuola secondaria. Queste sono le cinque raccomandazioni che, a mio avviso, dovranno essere espresse anche nella risoluzione, ad integrazione e correzione di quanto scritto nel programma governativo.
Per quanto attiene al capitolo IV, quindi alla valorizzazione delle specifiche professionalità maturate dal personale docente e la sua eventuale riqualificazione e riconversione, il programma, con osservazioni condivisibili, precisa che il progetto generale di formazione in servizio dovrà, naturalmente nella necessaria concertazione con le forze associative e sindacali presenti nella scuola (perché questa è una delle prevalenti tematiche della concertazione), affrontare i problemi specifici connessi ai diversi cicli, in particolare la convivenza nella scuola di base dei docenti delle ex scuole elementare e media, dove situare tale convivenza, come formularla, come attuare la sperimentazione. Bisognerà inoltre privilegiare le attività formative, da realizzare anche mediante la formazione a distanza, ma nelle scuole ed in altri ambienti integrati rispetti ai tradizionali corsi di aggiornamento; agevolare l'autoformazione mediante borse di studio, periodi sabbatici ed un sistema di crediti cumulabili nel tempo; prevedere strumenti per agevolare l'acquisizione di crediti universitari, specializzazioni universitarie, dottorati di ricerca disciplinare e master orientati alla didattica, nuovi crediti in materie affini a quelle di titolarità. Questo sarà possibile, naturalmente, se appunto, per la fase dell'autoformazione, saranno messe a bilancio risorse sufficienti per affrontare tematiche così ponderose.
Infine, sempre con riferimento alle questioni condivisibili, il progetto prevede che l'amministrazione dovrà strutturare una rete permanente di servizi a supporto delle istituzioni scolastiche, proprio al fine della formazione in servizio. Vi è poi un punto sul quale si richiede una nuova disciplina giuridica, anche sul piano della normazione secondaria, sostitutiva del testo unico, per la quale si rimanda alla necessaria procedura: a tale riguardo si richiama, innanzitutto, la formazione dei docenti, sia iniziale sia in servizio, la possibilità di articolazione in carriera con l'eventuale definizione dei diversi gradi di docenza e di un'anagrafe delle competenze e delle professionalità dei docenti (particolarmente importante); la necessità di definire i criteri di valutazione e di certificazione (è la materia più delicata e spinosa, oggetto di un appassionato dibattito dei soggetti valutatori); infine la questione dei ruoli del personale con la revisione del rapporto d'impiego e la riarticolazione del sistema delle classi di concorso per ambiti disciplinari.
Su tutti questi punti, le raccomandazione, le osservazioni, le condizioni che il relatore si sente di rivolgere al Governo riguardano l'esigenza, con riferimento alla formazione iniziale dei docenti, di ripensare gli attuali percorsi universitari in modo da integrare con lo studio delle scienze della formazione l'approfondimento disciplinare, nonché di prefigurare vere forme di partenariato tra scuola e università e di stabilire comunque, nella formulazione del regolamento (che ci viene esplicitamente richiesto al comma 8 dell'articolo 6 della legge n. 30), relativamente ai titoli universitari richiesti per il reclutamento degli insegnanti della scuola di base, la necessità di una laurea, integrata da una fase di approfondimento pedagogico e didattico che contenga esperienze di tirocinio, anche al fine del tendenziale raggiungimento del ruolo unico.
È poi convinzione personale del relatore che tale esigenza sarebbe da considerare anche per la scuola dell'infanzia, sia pure con peculiari e specifiche modalità (...)
Per quanto riguarda i criteri generali per la formazione degli organici di istituto, condividendo in generale i princìpi e le osservazioni contenuti nel programma, ritengo che la Camera debba prevedere l'estensione alla scuola secondaria dell'organico funzionale e l'attuazione di un programma di superamento delle attuali rigidità che caratterizzano, appunto, la formazione degli organici di istituto.
Per quanto attiene al capitolo relativo ai tempi e alle modalità di attuazione, a mio avviso, il Governo deve assumere preliminarmente alcuni impegni che sono contemplati tra le varie ipotesi delineate nel programma di attuazione. Occorre premettere che, senza dubbio, al di là delle posizioni interessate o enfatizzate delle opposizioni, che sostengono un rinvio puro e semplice della riforma, si tratta di valutare effettivamente la necessità di tempi distesi a causa della complessità della materia. In una prima fase di attuazione, ritengo si debbano considerare le ipotesi che permettono condizioni minime di fattibilità. Tra queste ultime, in particolare, quella che prevede l'inizio della riforma nell'anno scolastico 2001-2002, limitatamente alle prime due classi della scuola di base. Per la scuola superiore si tratta, da un lato, di confermare le disposizioni emanate con il decreto ministeriale del 26 giugno 2000 e, dall'altro, di consentire che le istituzioni scolastiche, nell'esercizio dei poteri dell'autonomia, possano modificare - senza incidere sulla finalità formativa degli indirizzi - i quadri orari dei vigenti piani di studio superiori alle 32 ore settimanali, riducendoli non oltre tale limite e adottare, in coerenza con gli indirizzi funzionanti in ciascun istituto, i programmi di studio avviati nell'anno scolastico 1997-1998, ai fini della sperimentazione dell'autonomia didattica e organizzativa nei primi due anni della scuola secondaria superiore. Naturalmente si dovrà utilizzare il tempo per approntare, entro il dicembre del 2001, i curricoli relativi ai cinque anni del ciclo, al fine di iniziare compiutamente la riforma della scuola secondaria nell'anno scolastico 2002-2003.
Infine, il problema più delicato: riducendo di un anno il tempo-scuola complessivo, confluiranno, ad un certo punto, due leve di alunni nello stesso anno scolastico. Rispetto alle ipotesi prospettate nel programma, alla cosiddetta «onda anomala» e al suo possibile impatto sulle istituzioni scolastiche, credo che occorra scegliere l'ipotesi della cosiddetta «onda anomala frantumata» con l'avvertenza che, al riguardo, è necessaria una speciale, continua verifica del suo andamento.
Infine, l'adeguamento delle strutture edilizie e delle infrastrutture tecnologiche.
Per quanto riguarda l'adeguamento delle strutture edilizie e delle infrastrutture tecnologiche, va precisato che il programma si fonda su una ricognizione regionale delle strutture edilizie esistenti, con la relativa valutazione delle possibili conseguenze del riordino sull'utilizzazione degli edifici scolastici attuali.
Per la scuola di base non si prevedono al riguardo grandi problemi, se non per quel 3 per cento delle classi (ma 26 per cento dei comuni) situate in quei piccoli comuni che ora dispongono della scuola elementare, per il quale mi pare utile suggerire il completamento in loco degli spazi utilizzando spazi disponibili anche fuori del plesso, normalmente largamente presenti nei comuni, e solo eccezionalmente ricorrendo all'utilizzo di aule anche nei comuni viciniori.
Per la scuola secondaria non vi dovrebbero essere grandi problemi, se non in relazione alla cosiddetta «onda anomala», per la quale come extrema ratio, secondo quanto suggerisce il programma, è ipotizzabile anche l'utilizzazione di quelle aule degli istituti scolastici di livello inferiore che naturalmente saranno rese disponibili nella contrazione temporale.
Su questo aspetto credo siano tre gli impegni che dobbiamo chiedere al Governo: in primo luogo occorre considerare la diversificazione di plesso non solo negativamente, ma come opportunità da valutare per risolvere le questioni di compresenza, giudicate problematiche, tra gli alunni dei primissimi anni del settennio e quelli ormai prossimi all'adolescenza o per recuperare presenze periferiche nei piccoli comuni. In secondo luogo, bisogna adottare specifiche soluzioni per favorire l'applicazione della riforma nelle scuole parificate che non abbiano riuniti i corsi delle attuali elementari e medie in uno stesso istituto. Infine, occorre iniziare una fase concertativa molto serrata con gli enti locali competenti per sostenere la ricerca di soluzioni idonee rispetto ai problemi piuttosto complessi che essi dovranno affrontare.
Per quanto riguarda la relazione di fattibilità, dato il poco tempo a disposizione, dirò soltanto che le ipotesi qui avanzate ed argomentate, in regime di «onda anomala frantumata» e con la possibile riduzione dell'orario dalle ventidue alle diciotto ore, sembrano in effetti permettere dei risparmi. Credo si debba impegnare il Governo ad adottare le soluzioni già precisate, relative all'avvio della riforma con la variante dell'onda anomala frantumata, che prevede economie di spesa oscillanti tra i 19 mila miliardi circa, con orario invariato, e i 6 mila miliardi circa, con un orario di diciotto ore settimanali per tutti i docenti, e ad avviare con le organizzazioni a ciò deputate una contrattazione collettiva che affronti il problema di tali oscillazioni, sembrando più praticabile la riduzione graduale dell'orario attraverso una fase intermedia di venti ore e con la conclusione finale al momento del consolidamento definitivo della riforma.
Il programma di attuazione mette a disposizione un gran numero di allegati volti a fornire le fonti delle argomentazioni addotte. Una volta dipanato il filo del ragionamento e raggiunta l'essenza della proposta, il programma pare al relatore un'utile strumento non solo per la definizione della normativa, ma anche per la comprensione del compito, ad un tempo arduo ed affascinante, che attende la scuola italiana nel prossimo decennio di primo assestamento.
Il clima politico in cui si sono collocate sia l'approvazione della legge n. 30, sia ora il primo programma di attuazione ha impedito purtroppo che si sviluppasse un dibattito rigoroso e sereno sulle ragioni della riforma e sulle soluzioni da confrontare. Dopo una primissima fase di utile comparazione delle varie proposte, come ho ricordato, il dibattito ha fatto piuttosto emergere le argomentazioni appassionate sul significato della legge, che si credevano già esaurite all'inizio dell'anno con il varo della legge stessa.
Leggendo alcuni interventi sembra quasi di essere di fronte ad un Governo e ad una maggioranza che illuministicamente abbiano imposto una riforma non voluta e mai discussa ad una scuola felice di procedere lungo i tradizionali itinerari. Sarà dunque bene ricordare che a queste prime conclusioni si è arrivati dopo un dibattito serrato durato trent'anni e va detto piuttosto che, di fronte alle varie ipotesi di revisione dell'architettura istituzionale e di innovazione contenutistica di questa legge, il legislatore ha agito con prudenza cercando e trovando la soluzione che, pur operando una inevitabile discontinuità con il passato, ha dichiarato il proposito di recuperare quanto di meglio la tradizione della scuola ci ha consegnato.
La fattibilità, pur nelle inevitabili difficoltà del piano, conferma la bontà del cammino percorso fin qui; molto più difficile sarebbe oggi operare se si fossero seguite altre strade (sei più sei iniziali del Governo oppure quattro più quattro più quattro delle opposizioni) ritenute più radicalmente innovative. (...)
Fra l'altro l'attuazione prevede un tempo lungo (...)
In questo tempo essenziale potrà essere il contributo del mondo della cultura, del sindacato, del ricco e fiorente associazionismo professionale in modo che si possa procedere senza i traumi che la percezione generale del percorso potrebbe oggi indurre qualcuno a paventare.
(12 dicembre) TULLIO DE MAURO, Ministro della pubblica istruzione.
Signor Presidente, signore e signori, onorevoli deputate e deputati, non so sia rituale, chiedo scusa (...), ma come persona poco abituata a frequentare quest'aula, vi chiedo comprensione.
Mi permetto di iniziare il mio intervento ringraziando i deputati dei gruppi di opposizione al Governo.
Li ringrazio perché la discussione sul piano del riordino dei cicli era cominciata, anzi, era cominciata a sembrare che non cominciasse molto male. Dopo alcune dichiarazioni dell'ex ministro della pubblica istruzione, il collega D'Onofrio - dichiarazioni giornalistiche che, forse, erano state mal riportate -, il giorno prima che il Governo approvasse il piano ora in discussione, il 2 novembre, il giorno dei morti, l'onorevole Berlusconi ha comunicato che, se non avesse visto il piano, non lo avrebbe preso in considerazione, ma lo avrebbe respinto. Egli ha annunciato che, ove le elezioni dessero la maggioranza alla sua Casa delle libertà, avrebbe provveduto a cancellare tutta la legislazione in materia scolastica approvata nel corso di questa legislatura.
Questo proposito che, se l'onorevole Malgieri, amante della grecità e della classicità, me lo consente, definirei nomoclastico o, più latinamente, legicida, non si capisce dove potesse arrestarsi. Cosa avrebbe voluto cancellare l'onorevole Berlusconi? La legge che assegna autonomia alle scuole? Non gli piace, o non piace alla Casa delle libertà dell'onorevole Berlusconi, la legge sull'autonomia? Non gli piace il disegno di decentramento che i Governi dell'Ulivo hanno perseguito per tutta la pubblica amministrazione e per la scuola? Non gli piace la creazione di direzioni regionali che, d'intesa con le regioni e gli enti locali, provvedano alla gestione delle scuole? Non gli piace tutto ciò che dal progetto Giannini del 1980 alla giornata della scuola di Sergio Mattarella, ministro nel 1989, si è maturato in materia di decentramento gestionale e culturale della scuola? Non gli piace l'esame di Stato che ha avviato il ripristino di una maggiore serietà negli studi medio superiori? Non gli piace - tornerò su questo punto - l'istituzione di un sistema di valutazione nazionale che renda trasparente ciò che si apprende nelle scuole?
È oscuro fino a qual punto il legicidio dovesse arrivare. Evidentemente vi è stato un qualche ripensamento ed io ne sono grato a tutta l'opposizione. Per carità, chiedo scusa, i colleghi professori universitari e gli onorevoli dei gruppi di opposizione sono entrati nel merito del provvedimento manifestando dissenso su alcuni punti, ma sostanzialmente entrando nel vivo della discussione e lasciando cadere quella ripulsa aprioristica e radicale che era stata annunciata. I dissensi offrono materia di riflessione e credo che il Governo e il ministro della pubblica istruzione non possano che essere grati di questa materia. Certo, non siamo a quello spirito bipartisan che un tema come la scuola avrebbe richiesto. Vi sono chiusure preconcette, ma almeno c'è anche un avvio di discussione. Ciò è importante perché la stessa legge n. 30 del febbraio 2000 prevede verifiche parlamentari a cadenza triennale e tutti sono chiamati a dare il loro puntuale contributo oggi ed in queste verifiche, ora e in futuro; di tali contributi è necessario che chiunque tenga conto, ora e in futuro.
Da molte parti - dalla maggioranza, che si è impegnata nell'analisi attenta del piano e che ha fornito indicazioni importanti, e dall'opposizione - si è suggerito ripetutamente di procedere con gradualità e prudenza. Il Governo nella redazione del piano ed il ministro in questo momento non possono che accettare in toto questi due suggerimenti (gradualità e prudenza). La gradualità e la prudenza sono opportune non solo per qualcuno dei motivi qui addotti, non solo per quella che è stata definita in quest'aula la «resistenza al nuovo» con la quale si devono fare i conti, ma anche perché la scuola - ciò, però, non sembra avvertito da tutti - è certamente un patrimonio di tutti, un patrimonio costituzionale che esige, quindi, estrema cautela relativamente a tutto ciò che può portare (...)
Stavo dicendo che la prudenza è motivata non solo dalla natura costituzionale che, ad avviso nostro e credo di tutti, la scuola ha, ma anche da altre ragioni. Una difficile e lunga trattativa sindacale sta volgendo al termine con l'espletamento delle elezioni. Sarà possibile, dunque, che l'impegno del Governo e le richieste di alcune grandi organizzazioni rappresentative del personale della scuola trovino finalmente uno sbocco; il delinearsi nella legge finanziaria, tra l'approvazione del Senato e l'eventuale ritorno alla Camera, di un piano pluriennale di spostamento di risorse in direzione della scuola, anche se non entra nel merito del piano, consente certamente di precisarne meglio la sua graduale attuazione.
Esige una qualche cautela, poi, ciò che abbiamo deciso col piano e, prima ancora, con la legge, ossia il raccogliere e l'ordinare, possibilmente al meglio, le esperienze e le sollecitazioni che sono pervenute a tutti - non solo ai Governi dell'Ulivo, a questo Governo e al Ministero che rappresento - attraverso i decenni, attraverso gli anni, dalla scuola militante e dal pensiero educativo.
Vorrei permettermi di richiamare l'attenzione su questo punto. Al centro del piano vi è un elemento che è un patrimonio antico del nostro pensiero pedagogico (dico «nostro» intendendo anche internazionale e non solo italiano). Ciò che noi con il piano, e già con la legge n. 30, molto esplicitamente abbiamo cercato di delineare è una scuola orientata sulle esigenze e sui bisogni delle alunne e degli alunni: una scuola children oriented. Questo ci viene da tanta parte del pensiero educativo del nostro secolo. Ma non è solo il pensiero, sono anche le esperienze vive della scuola militante in questi decenni.
Posso qui ripetere i nomi di coloro che hanno fatto, per esempio, l'eccellenza della scuola dell'infanzia italiana, non solo di Reggio Emilia, ma di tutta Italia: Loris Malaguzzi, per esempio, a cui - e vorrei manifestargli la mia gratitudine - il signor Presidente della Repubblica ha conferito alla memoria un'alta onorificenza; Bruno Ciari, Mario Lodi, don Lorenzo Milani, Emma Castelnuovo. Mi riferisco non solo ai singoli insegnanti ed ai singoli docenti come quelli che ho ricordato, ma anche alle associazioni disciplinari degli insegnanti sia della scuola attiva sia delle università: penso all'Unione matematica italiana e alle sue indicazioni per un insegnamento della matematica radicato nelle capacità e nelle possibili crescite di capacità degli allievi; penso alla Società di linguistica italiana. Non sono però solo esperienze singole o indicazioni di educatori, ma anche esperienze istituzionali che noi, nella legge n. 30 del 2000 prima e, poi, in questo piano, abbiamo cercato di raccogliere.
In quest'aula mi limiterò a ricordarne tre.
La prima esperienza: quello sugli orientamenti per la scuola dell'infanzia è un testo chiave per avere sottolineato che cosa significhi centralità dell'allievo e conformità degli insegnamenti alle esigenze di partenza dell'allievo per portarlo a traguardi più alti. È un testo che è stato alla base delle elaborazioni e delle proposte per quanto riguarda i criteri di individuazione dei curricula nelle fasi ulteriori della scuola.
La seconda esperienza: gli istituti comprensivi.
Ringrazio il collega D'Onofrio per avere detto e ricordato in una trasmissione televisiva, a correzione di sue precedenti
dichiarazioni, che gli istituti comprensivi - nei quali convivono maestre e maestri della scuola dell'infanzia elementare, insegnanti di scuola media - sono nati ormai da parecchi anni, sulla base iniziale di un decreto del Governo Berlusconi, proposto e firmato dal ministro D'Onofrio. Questi istituti, ormai, rappresentano la confluenza di oltre due terzi degli istituti elementari e medi e rappresentano un punto di riferimento dell'esperienza che il piano si propone di generalizzare.
La terza esperienza: le sperimentazioni nelle scuole medie superiori. Le sperimentazioni hanno mostrato la integrabilità, al di là degli istituti tecnici del rapporto scuola-esperienza di lavoro e hanno mostrato la possibilità di ridurre e di compattare in un numero più ristretto di aree la enorme dispersione di indirizzi eterogenei che caratterizzano attualmente la nostra scuola superiore.
Dunque, chi ha detto che il piano partiva da presupposti ideologici ha detto qualche cosa di non esatto. Il piano parte da indicazioni del pensiero educativo, parte da esperienze di grandi personalità che hanno lavorato nella scuola militante, parte da esperienze ormai istituzionalizzate, ne fa tesoro e le ripropone più largamente a tutta la nostra scuola e alla nostra società. Soprattutto, vorrei ricordare che a monte del piano, così come a monte della legislazione che qualcuno avrebbe voluto, fino a qualche settimana fa, cancellare in toto, c'è la Costituzione della Repubblica italiana, non solo in quegli articoli che evidentemente sono più direttamente correlati con leggi importanti (che mi auguro nessuno voglia cancellare) sulla parità scolastica, sulla creazione di un sistema pubblico statale e paritario dell'istruzione e della formazione, ma anche nell'intero impianto dei principi fondamentali della Costituzione stessa, in particolare l'articolo 3. Nell'articolo 3 si colloca quel rapporto stretto tra persona e società - non è un'invenzione filosofica -, quel rapporto stretto tra libero sviluppo della persona e rimozione degli ostacoli che si possano frapporre, che è alla base degli orientamenti del piano.
Come ho detto era doveroso ascoltare con attenzione non solo i molti consensi di cui sono grato al relatore di maggioranza, ma anche gli elementi di dissenso. In verità, su questo punto c'è stato qua e là negli interventi qualche elencazione incauta. Si è detto che le famiglie - non meglio identificate - sarebbero contrarie. Le famiglie, le associazioni delle famiglie e i loro rappresentanti hanno partecipato attivamente e, a loro dire per la prima volta, alla elaborazione dei documenti su cui il piano è fondato e hanno dato atto al ministro attuale di avere coinvolto per la prima volta questa componente nell'elaborazione dei criteri per i curricula e dei possibili contenuti e riordinamenti della scuola. Si è detto che sarebbero contrari gli studenti (non so quali fonti di sondaggio abbia chi ha dichiarato questo). Io so che si sono riuniti per tre giorni a Fiuggi gli studenti delle consulte (...) ed hanno espresso all'unanimità apprezzamento per il piano e si sono poi divisi per quanto riguarda i tempi di attuazione, in parte chiedendo ciò che il piano propone (un rinvio differenziato tra scuola di base e scuola superiore) e in parte chiedendo il rinvio di un anno, ma accettando - chiedo attenzione agli interloquenti e alle interloquenti - dichiaratamente i principi ispiratori, la filosofia e la struttura del piano.
Dunque, qui vi è un elemento di dissenso che non va oltre opposizioni - mi dispiace - che hanno delle motivazioni evidentemente politiche, aliene.
Si è detto nel merito che il piano così com'è concepito (la legge n. 30) porterebbe ad un abbassamento delle competenze.
Non è chiaro perché questa catastrofe dovrebbe minacciare la nostra scuola: perché abbassamento delle competenze? Forse perché si accorcia di un anno il cammino complessivo degli studi, ma gli onorevoli preopinanti sono pregati di considerare con qualche attenzione i dati comparativi internazionali, dai quali risulta che sistemi scolastici con un tempo-scuola molto più ridotto del nostro, in termini sia di orario sia di anni, hanno ottimi risultati comparativi internazionali: citerò soltanto il caso della Finlandia, felice paese dove cominciano a studiare a sette anni.
Dunque, non è questo un motivo, ma soprattutto, per la prima volta, questo piano e la legge n. 30 consentono che l'attività della scuola faccia organicamente corpo con l'istituto nazionale della valutazione, cioè con un sistema di valutazione. Ringrazio la collega che ha ricordato le mie preoccupazioni personali sullo stato in cui parecchie scuole medie superiori si trovano per quanto riguarda il profitto delle alunne e degli alunni: una splendida indagine, che cito volentieri ancora una volta, dell'istituto Cattaneo, ripetuta quest'anno, ma i dati sono ancora inediti, ci ha indicato che non tutto funziona bene nella scuola media superiore in ordine a tutte le materie. Soltanto per le materie scientifiche, si può registrare un progresso grazie alle rilevazioni che il CEDE e l'OCSE ci hanno appena fornito rispetto al 1970.
Tuttavia, ciò che conta è che, quale che sia lo stato attuale della scuola, deve esservi un impegno a questo punto comune - mi auguro che almeno questo non sia cancellato - per sottoporre ad un monitoraggio continuo la qualità e la quantità degli apprendimenti dei nostri alunni, al di là del voto. Si tratta di un punto di riferimento che ci consentirà di discutere seriamente sugli innalzamenti progressivi, o sulle eventuali flessioni della qualità degli apprendimenti: è la prima volta nella storia della nostra scuola che abbandoniamo il sistema dei voti dati ad intuito, sulla base della preziosa esperienza degli insegnanti ma senza un correlato analitico.
Dunque, non solo nessun timore ma strumenti per fronteggiare il timore di ciò che potrebbe avvenire. Si sono manifestati dubbi sull'ipotesi delineata dal piano di delineare una possibile segmentazione della scuola di base in un biennio iniziale, un biennio terminale e un triennio centrale, nel quale progressivamente i maestri dei moduli, che già ci sono (forse è sfuggito a qualche editorialista) dal 1990, con ambiti disciplinari già tendenzialmente differenziati, ed anche progressivamente gli insegnanti della scuola media superiore possono iniziare alla disciplinarità le bambine e i bambini.
È chiaro, però, come è stato ricordato in qualche risoluzione, ed è assolutamente obbligatorio accettare tale indicazione, che ciò avviene nella cornice dell'autonomia dei collegi dei docenti, i quali decideranno al meglio come articolare il corso degli studi: ricordo infatti che la legge n. 30 stabilisce che i percorsi di crescita, cui i docenti tutti devono assistere e che i docenti tutti devono sollecitare, possono essere al limite anche individualizzati, in ragione della diversità dei ritmi di singole personalità di discenti. Si tratta, quindi, di un suggerimento d'ordine, ma non più di un'ipotesi che viene prospettata. Ancora, non c'è dubbio che, per quanto riguarda il problema del biennio, nella fase di progressiva attuazione - il lavoro che ci impegnerà nei prossimi mesi - dobbiamo delineare un punto di equilibrio tra la terminalità della scuola dell'obbligo e la preparazione alle esperienze di lavoro, alle esperienze di studio. In tale ambito, abbiamo già un patrimonio acquisito, che sarebbe un errore mettere da parte o, peggio ancora, cancellare: le esperienze di tutte le istituzioni scolastiche medio-superiori che hanno prefigurato spontaneamente la riforma in questi anni. Si tratta di quasi mille istituti scolastici, circa un terzo di quelli superiori e si tratta di quelle esperienze più specifiche che chiamiamo aree di progetto negli istituti tecnici. Quindi, rifletteremo, ma tutto questo porta soltanto a valutare l'opportunità di una partenza sollecita per quanto riguarda la scuola media superiore. In coscienza, devo dire che mi sarebbe piaciuto trovare elementi di fatto, spiegazioni, indicazioni minimamente convincenti, o comunque delle indicazioni sull'opportunità di rinviare la partenza del ciclo di base. Ho trovato ostilità, ho trovato timori, ho trovato paure e non ho trovato alcun elemento circostanziato (...) e circostanziabile come per il ciclo superiore che possa indurre a frenare il processo di riforma.
Mi riferisco ad elementi che possano indurre a proporre ragionevolmente il rinvio di un anno. Si chiede una pausa di riflessione, ma per riflettere su che cosa? Alla conferenza delle scuole cattoliche, una robusta e vigorosa suora, suor Maria, ha ricordato ai suoi, pubblicamente, che rinviare di un anno significava solo rinviare di un anno anche le riflessioni necessarie e quindi ha esortato le sue colleghe e i suoi colleghi a partire con la riforma dei cicli di base dal 1o settembre 2001.
Per la verità, altri elementi potevano essere interessanti, ma non sono stati evocati: la riforma del ministero, la creazione degli istituti regionali di ricerca educativa, la funzione della biblioteca di documentazione pedagogica, che arricchisce le nostre scuole e i nostri insegnanti di un continuo flusso di informazioni e di formazione e che, da un anno, è ormai in rete; l'istituto della valutazione e le esperienze di autovalutazione compiutesi nel corso di quest'anno nella scuola. Tutto questo insieme unitario fa sì che noi possiamo proporre tranquillamente a questo Parlamento la partenza della progressiva attuazione del riordino dei cicli, in primo luogo, per la scuola di base - per le attività militanti della scuola di base - dal 1o settembre 2001, mentre dal 1o settembre 2002 per gli altri adempimenti complessi relativi alla scuola superiore, che richiedono ritorni nelle Commissioni parlamentari e in Assemblea.
Voglio assicurare che, per l'una e l'altra impresa, l'amministrazione, il Ministero ed il Governo sono al lavoro fin da ora.
|
|
7a
Com. |
5, 19 |
Interrogazioni
|
7a
Com. |
5, 6,
7 |
Programma
di attuazione dei cicli scolastici
Il 7 dicembre la Commissione approva, con modifiche, la relazione
presentata dal relatore.
|
7a
Com. |
12,
13, 20, 21 |
comitato ristretto, DdL
AC 6562, Stato giuridico dei Docenti Universitari
|
7a
Com. |
19 |
comitato ristretto, DdL,
Associazioni Sportive Dilettantistiche (DdL AC 2761,
769,
1776,
2489,
2739,
3607,
3912)
|
|
11a
Com. |
14 |
DdL AC
7238, Stato giuridico degli IRC (già approvato dal Senato)
(14 dicembre) Carlo STELLUTI (DS-U), relatore, osserva
che è indispensabile, ai fini di una migliore comprensione dei
provvedimenti in esame, ricordare, per sommi capi, il contesto
legislativo vigente nel quale esso si colloca.
Va innanzitutto ricordato che la legge n. 121 del 1985, di ratifica
delle modifiche al Concordato del 1929, garantisce che lo Stato assicuri
l'insegnamento della religione cattolica nella scuola statale
riconoscendo il valore formativo della cultura religiosa anche come
fondamento del patrimonio storico degli italiani e nel contempo
riconosce il diritto di avvalersi o meno dell'insegnamento.
Il Protocollo addizionale alla legge succitata dispone inoltre che nelle
scuole pubbliche non universitarie l'insegnamento della religione
cattolica venga impartito in conformità alla dottrina della Chiesa e
nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni. Gli insegnanti
devono essere riconosciuti idonei dall'autorità ecclesiastica e
nominati d'intesa con l'autorità scolastica.
Il Ministero della pubblica istruzione e la CEI hanno stipulato una
intesa, resa esecutiva dal decreto del Presidente della Repubblica n.
751 del 1985, finalizzata a definire le modalità di organizzazione
dell'insegnamento e i profili della qualificazione degli insegnanti.
Per quanto riguarda i titoli richiesti per l'insegnamento nella scuola
materna ed elementare, è prevista la frequenza ai corsi di religione
cattolica impartiti nelle scuole secondarie superiori, mentre per le
scuole secondarie sono richiesti titoli accademici in teologia, diplomi
di laurea validi nell'ordinamento italiano unitamente a un diploma
rilasciato da un istituto di scienze religiose riconosciuto dalla CEI.
Per entrambi gli insegnamenti è richiesto il possesso dell'idoneità
riconosciuta dall'autorità ecclesiastica diocesana.
È necessario ricordare che il decreto legislativo n. 297 del 1994,
all'articolo 309, prevede che il capo di istituto, d'intesa con
l'ordinario diocesano, conferisce agli insegnanti di religione cattolica
incarichi annuali, che si intendono confermati qualora permangano i
requisiti richiesti. L'idoneità rilasciata dall'autorità ecclesiastica
ha effetto permanente fino a che non venga revocata a seguito di grave e
accertata carenza dei requisiti previsti dal codice di diritto canonico.
L'obiettivo comune delle proposte di legge abbinate riguarda il
superamento della sostanziale condizione di precariato degli insegnanti
di religione, attribuendo ad essi lo stato giuridico del personale
docente di ruolo dello Stato e regolando l'accesso alla scuola
attraverso una apposita procedura concorsuale. Tuttavia, le soluzioni
tecniche proposte sono fra loro significativamente diverse.
La proposta n. 1008 prevede l'istituzione di ruoli provinciali dei
docenti di religione, rinviando a un decreto ministeriale la
specificazione di titoli, requisiti, prove e criteri di formazione delle
graduatorie, mentre la proposta n. 1119 disciplina in modo puntuale e
dettagliato le modalità di reclutamento e di sistemazione del personale
precario.
Le proposte n. 666 e n. 3929, oltre a stabilire i requisiti per il
conferimento delle cattedre, prevedono entrambe l'istituzione di un
ruolo nazionale di ispettori ministeriali per il settore disciplinare
della religione cattolica.
La proposta n. 1120 permette il riconoscimento degli anni di servizio
pregresso ai fini dell'ammissione a concorsi per soli titoli.
La proposta n. 1382 prevede l'istituzione di concorsi e ruoli
provinciali e stabilisce che l'immissione in ruolo avvenga per concorso
ordinario per titoli ed esami.
Le proposte n. 1463 e n. 6917 estendono la normativa relativa allo stato
giuridico e ai concorsi delle scuole statali anche agli insegnanti di
religione e regolano la procedura di mobilità in caso di revoca
dell'idoneità.
La proposta n. 1468 regola la nomina in ruolo, la procedura dei
trasferimenti, delle assegnazioni provvisorie, delle riammissioni in
servizio, delle supplenze e degli orari di cattedra.
La proposta n. 3597 prevede l'immissione in ruolo degli insegnanti di
religione che hanno maturato almeno 5 anni di servizio nell'anno
scolastico 1995-96 e prevede l'indizione di concorsi triennali per
l'accesso ai ruoli ordinari.
Si sofferma quindi sulla proposta approvata dal Senato.
L'articolo 1 estende agli insegnanti di religione cattolica le norme
sullo stato giuridico e il trattamento economico previsti dal testo
unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione e dalla
contrattazione collettiva per gli insegnanti di ruolo.
L'articolo 2 definisce le dotazioni organiche dei posti per
l'insegnamento della religione cattolica.
L'articolo 3 detta le norme relative al reclutamento del personale
docente in questione. Per l'accesso ai ruoli si applicano le
disposizioni generali contenute nel testo unico, per quanto compatibili
con la presente legge.
In particolare il comma 3 conferma che ciascun candidato dovrà essere
in possesso del riconoscimento dell'idoneità all'insegnamento della
religione cattolica rilasciato dall'autorità ecclesiastica diocesiana
competente per territorio, come previsto dal Protocollo che correda
l'Accordo tra lo Stato Italiano e la Santa Sede di revisione del
concordato.
Ai sensi del comma 5, l'assunzione dell'insegnante di religione avviene
con contratto di lavoro a tempo indeterminato da parte del dirigente
dell'ufficio scolastico periferico, d'intesa con l'ordinario diocesano
competente per territorio. Per tutti i posti non coperti con contratto
di lavoro a tempo indeterminato, il dirigente scolastico provvede alla
stipula di contratti a tempo determinato.
Oltre ai motivi previsti dalle disposizioni vigenti, la risoluzione del
rapporto di lavoro può avvenire anche attraverso la revoca dell'idoneità
da parte dell'Ordinario diocesano.
L'articolo 4 prevede che agli insegnanti di religione inseriti nei ruoli
si applicano le disposizioni relative alla mobilità professionale per
il personale della scuola, subordinatamente al possesso della
qualificazione richiesta per il ruolo al quale si aspira.
L'articolo 5 reca infine le norme transitorie relative al primo concorso
per titoli ed esami, il quale dovrà essere riservato agli insegnanti in
servizio alla data di entrata in vigore della legge, purchè siano in
possesso dei titoli di qualificazione previsti dalla legge e abbiano
svolto almeno quattro anni di insegnamento della religione cattolica con
orario settimanale non inferiore a dodici ore oppure quattro anni di
insegnamento di altra materia nelle scuole statali. Il personale docente
della scuola per l'infanzia e della scuola di base può partecipare al
primo concorso anche se non in possesso del diploma di laurea.
Il comma 3 prevede che l'esame del primo concorso, consistente in una
prova scritta ed orale, sarà volto non solo all'accertamento della
conoscenza dell'ordinamento scolastico e degli orientamenti didattici e
pedagogici, ma anche alla conoscenza nel campo delle scienze sociali,
filosofiche e storiche.
Al comma 4 si specifica che le norme si applicano agli insegnanti che
operano nelle regioni di confine, terminologia non usuale nel nostro
ordinamento, ma presente nel citato Protocollo addizionale, ove non
risultino in contrasto con le norme locali.
Sottolinea che il Senato ha approvato, con ampi consensi, dopo un lungo
lavoro ed un vivace dibattito, il testo illustrato, che finalmente tende
a far uscire dalla condizione di precariato perenne i circa 25 mila
insegnanti di religione, oltre due terzi dei quali sono laici. È tanto
più apprezzabile il lavoro svolto dal Senato in quanto si tratta di una
materia molto delicata per le implicazioni che essa ha con le
convinzioni religiose di ciascuno, con la storia del nostro Paese, con i
rapporti fra lo Stato italiano e la Santa Sede, con i trattati che li
regolano, senza contare le numerose sentenze della Corte costituzionale.
Auspica che la Commissione prenda in considerazione tutti gli elementi a
disposizione per contribuire alla costruzione di un provvedimento, da
tanti anni invocato, che veda, in uno Stato laico ed in una scuola
laica, gli insegnanti di religione cattolica come una risorsa del
processo di mutamento positivo della scuola e della società.
|
Senato
|
Aula |
11,
12,13, 14, 15, 16, 18, 19, 20 |
DdL 4886,
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2001 e bilancio
pluriennale per il triennio 2001-2003, approvato dalla Camera dei deputati
DdL 4885, Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge
Finanziaria 2001), approvato dalla Camera dei
deputati
Il 20 dicembre 2000 l'Aula approva (168 voti a favore e
100 contrari) la manovra finanziaria per il 2001
|
Aula |
20,
21 |
Programma
di attuazione dei cicli scolastici
Il 20 dicembre ha inizio il dibattito in Aula che si
conclude il 21 dicembre con l'approvazione della risoluzione n.
6-00057.
Riportiamo
di seguito l'intervento del relatore e del ministro della PI:
(20/12/00) DONISE, relatore. Signora Presidente, colleghi, signor Ministro, credo sia innanzitutto doveroso porgere un ringraziamento alle forze di opposizione (dalla Lega Nord ad Alleanza Nazionale, da Forza Italia al CCD) che in Commissione hanno consentito di giungere in tempi rapidi all'esame del provvedimento in Aula.
La legge-quadro n. 30 sul riordino dei cicli dell'istruzione, che il Parlamento ha approvato il 10 febbraio di quest'anno, all'articolo 6 prevede una complessa e graduale procedura per la sua attuazione; prevede infatti la presentazione da parte del Governo di un programma quinquennale di progressiva attuazione, oggetto appunto della discussione odierna. Si tratta di un ponderoso fascicolo su cui il Senato oggi adotta una risoluzione che reca indirizzi specificamente riferiti alle singoli parti del programma.
Si tratta, quindi, di un passaggio impegnativo: il Senato è infatti chiamato a dare un contributo, che è parte integrante del programma di attuazione della riforma. Il programma, infatti, consente e propone di avviare il meccanismo di attuazione della legge in maniera graduale, anche con una scelta tra modi e tempi diversi prima della messa a regime: gradualità e prudenza. Tuttavia, il programma chiede che si decida e si dia così, da un lato conclusione ad un intenso ed ampio programma riformatore, dall'altro un ulteriore sviluppo.
Credo sia giusto riconoscere che al Senato, nella discussione in Commissione, anche da parte dell'opposizione non vi è stata una linea di pura e semplice resistenza; non si è scelta la strada di bloccare la legge, correndo così il rischio di paralizzare l'istituzione scolastica. Le pur legittime e anche pesanti critiche e le argomentate preoccupazioni sono state espresse in termini di riflessione approfondita e di contributo propositivo.
Il Governo, sulla base delle risoluzioni che tra l'altro la Camera ha già adottato e di quella che oggi dovrà adottare il Senato, è impegnato a presentare successivamente – credo sia importante fare attenzione a questi passaggi – i regolamenti di attuazione, i regolamenti per la definizione di nuovi curricula, il regolamento per il reclutamento degli insegnanti. Insomma, ci sarà poi la verifica triennale; in sostanza, a conclusione dei tre anni si dovrà rilevare a che punto e come è il processo di riforma ed eventualmente introdurre anche disposizioni correttive e modificative del programma.
Il mio auspicio è che ci sia, anche al di là della verifica triennale, un confronto continuo tra il Governo, il Parlamento e l'insieme del mondo della scuola, perché siamo di fronte ad una fase complessa e difficile ed anche a molte questioni non del tutto risolte. Dobbiamo esserne – io credo – tutti quanti consapevoli.
Illustrerò in termini rapidissimi – vi assicuro – e molto stringati i contenuti dei sette capitoli in cui si articola questo programma.
Il primo capitolo riguarda in generale le finalità, le ragioni, le condizioni e i soggetti della riforma; riassume i criteri orientativi della legge. Sottolineo in particolare i seguenti aspetti: la centralità dell'alunno, la dimensione europea ed internazionale e l'esperienza italiana, aspetto sul quale vorrei soffermarmi.
A metà degli anni Cinquanta – lo ricorda spesso il ministro De Mauro, che citerò anche altre volte nel corso del mio intervento – il 60 per cento degli italiani non aveva alcun titolo di studio. Oggi tale percentuale si è ridotta al 10 per cento: il 90 per cento degli italiani possiede un titolo di studio. La scolarità media dai tre anni del 1950 è passata ai nove anni del 2000. Un lavoro immenso è stato fatto. Credo che questo sia il primo punto che dobbiamo proprio oggi sottolineare.
Il ministro De Mauro ha detto, in occasione dell'insediamento della commissione preparatoria del programma dei cicli: «L'immenso lavoro che scuole e insegnanti hanno compiuto in questi anni rappresenta, probabilmente insieme – non è una dichiarazione enfatica – allo Statuto dei lavoratori, lo sforzo meglio riuscito per tradurre espressioni formali come "libero sviluppo delle persone" e "pari condizioni di partecipazione alla vita del Paese", contenute nella Costituzione, in una realtà concreta, per lo meno per le giovani generazioni». Poi il ministro De Mauro ha rivolto una espressione di riconoscenza che ritengo molto importante. Egli ha detto: «Grazie al lavoro delle scuole alcuni dei segmenti più alti della Costituzione formale sono diventati realtà operante. Lo ricordo non solo» – e io mi associo al Ministro – «per segnare un esplicito debito di riconoscenza che Governo, Parlamento, Nazione devono sapere di avere verso la scuola, ma perché questo lavoro ha sedimentato un patrimonio enorme di esperienze, di progetti, di disegni didattici, di offerte e di sperimentazioni formative».
Proprio a partire dalla consapevolezza di questa realtà, oggi possiamo affrontare con maggiore decisione i ritardi, i limiti, i problemi aperti dinanzi a noi. Infatti, i problemi non sono risolti e anzi la situazione della scuola nel nostro Paese, dell'insieme del sistema formativo, ha problemi gravissimi ancora da risolvere.
Considerando la fascia di età compresa tra i 24 ed i 64 anni, si constata che in Italia – sono dati del 1998 – solo il 38 per cento della popolazione ha conseguito un diploma. Il rapporto 2000 dell'OCSE dimostra che l'Italia occupa uno degli ultimi posti nella classifica in fatto di durata della scolarità, anche se riconosce i passi avanti compiuti in questi anni.
Permettetemi di ricordare che anche nella formazione si evidenzia il divario drammatico fra Centro-Nord d'Italia e Mezzogiorno; i dati sull'evasione dell'obbligo, sul basso livello di scolarizzazione e sull'abbandono rappresentano un rischio e un limite gravissimo per tutto il Paese, ma soprattutto per il Mezzogiorno.
Ecco perché il tentativo di dare risposta ai problemi sopra descritti, di affrontare i nodi dell'evasione, dell'abbandono e dell'insuccesso scolastico hanno motivato l'accelerazione impressa in questi anni da Berlinguer al processo riformatore. Ecco il senso e il valore della riforma dei cicli, della sua attuazione con il programma che oggi giunge all'esame dell'Assemblea. Il riordino dei cicli tende a ricomporre unitariamente tutte le esigenze di ordine educativo e sociale che richiedono, appunto, una formazione in grado di realizzare pienamente la persona umana e di preparare, con il più ampio spessore culturale e critico, il futuro cittadino.
Il terzo capitolo riguarda i curricula. In particolare, per la scuola dell'infanzia sono ribaditi l'obiettivo della generalizzazione e della sua collocazione quale primo segmento del percorso scolastico.
Per quanto riguarda la scuola di base, che è il centro della riforma, si cerca di superare la frattura in quella età delicata di passaggio tra l'infanzia e la preadolescenza, accompagnando la crescita con uno sviluppo progressivo, coerente, unitario della scuola, senza quelle forzature e rotture che la separazione tra scuola elementare e media ancora realizza. In questo modo si intende valorizzare anche la collaborazione di docenti diversi, così come avviene nelle scuole più avanzate d'Italia e di tutto il mondo, private e pubbliche.
La scuola secondaria si articola in due percorsi, ma in estrema sintesi il tentativo è quello di superare la frantumazione eccessiva di indirizzi di fronte ai quali ci troviamo con la scuola di oggi (il liceo, gli istituti tecnici, professionali ed altri), quindi la rigidità di percorsi tra loro separati e incomunicanti, con il dato drammatico della dispersione, che si ritrova anche nel primo anno dell'università.
Il quarto capitolo riguarda il tema importantissimo della valorizzazione delle professionalità degli insegnanti.
Il quinto e il sesto capitolo recano i temi delle modalità e dei tempi di attuazione della riforma, sui quali si svolgerà anche qui un dibattito.
Venendo rapidamente alla conclusione, credo che sulla questione dei tempi e delle modalità la scuola, pur attraversata da tensioni critiche e da dubbi, si domandi perché iniziare oggi e non aspettare ancora un poco.
Ritengo che ci siano due argomenti importanti sui quali riflettere. Già circa il 40 per cento delle scuole, i cosiddetti istituti comprensivi, sperimentano un percorso unitario della scuola di base; la scuola superiore è stata attraversata in questi anni (credo più di trenta, i senatori più anziani di me ricorderanno i progetti da Biasini a Brocca) da vari tentativi di rinnovare e riorganizzare il ciclo superiore dell'istruzione.
Per molti aspetti la scuola è già cambiata, anche rispetto alle leggi che sono in vigore. Ecco pertanto da dove nasce la necessità oggettiva ed ineludibile dell'accelerazione: rispondere a questi problemi, a queste esperienze, a queste realtà già in corso nella pratica quotidiana della scuola.
Però voglio sottolineare un punto: il nocciolo del problema – diciamocelo – è stato nell'incapacità del Parlamento, in particolare, e dei Governi che si sono succeduti (anche se i Governi hanno fatto tentativi importanti) di rinnovare con una legge l'organizzazione degli studi secondari, dando così una visione d'insieme, un progetto complessivo alla scuola italiana. È questa la novità che oggi noi come Parlamento dobbiamo introdurre per rispondere ai bisogni della scuola e della società italiana.
Sulla realizzazione dei cicli, sull'insieme delle leggi di riforma della scuola non ci sottraiamo agli interrogativi, ai problemi non ancora risolti, ai rischi che corriamo. Ci sono i limiti di spesa, c'è la non ancora definita revisione dei programmi di insegnamento, il riassetto della docenza, la previsione di una inevitabile fase di difficoltà organizzativa, lo sforzo necessario per radicare nel costume e nella mentalità la pratica difficile, ma straordinaria, dell'autonomia che già coinvolge e interessa la gran parte delle scuole del nostro Paese.
Il punto vero, politico, è questo: noi dobbiamo decidere stasera – e possiamo deciderlo – di andare avanti, di non restare fermi. Ormai tutti riconoscono che gli obiettivi della riforma sono ineccepibili: costruire un sistema scolastico più giusto e più efficiente, che sia teso ad eliminare o a ridurre al minimo gli insuccessi e gli abbandoni, che sia capace di farci tenere il passo dei Paesi più avanzati e che sia più rispondente agli sviluppi della scienza, alle trasformazioni della società, che sia in grado di valorizzare la capacità critica della persona e la funzione civile del cittadino.
Credo che noi dobbiamo assolvere a questo compito con la decisione di questa sera.
(21/12/00) DE MAURO, ministro della pubblica istruzione. Signor Presidente, non per onorare le esigenze del tempo e della brevità – mi auguro che lei mi tolga rapidamente la parola se mi dilungassi troppo – risponderò brevemente, ma perché questo è nel carattere stesso della legge, del piano e del processo che abbiamo avviato.
Risponderò brevemente perché le molte cose importanti che sono state scritte e che sono state dette dai senatori dell'opposizione tutti, non solo è doveroso, ma è possibile e opportuno che siano prese in carico, più seriamente che attraverso una semplice dichiarazione verbale, negli impegni che ci attendono. Questo è – ripeto – nel carattere stesso della legge.
La legge n. 30, come loro sanno bene, non introduce, anzi non vuole introdurre un'architettura innovativa rigida. È una legge che si proietta nella scansione di momenti successivi di un processo di riforma a cui siamo chiamati tutti a collaborare, a cui è chiamato soprattutto il Parlamento non solo a collaborare, ma anche a esercitare funzioni di verifica, con una cadenza almeno triennale, sull'andamento del processo stesso.
Ci saranno, quindi, sedi ben più impegnative, vuoi regolamentari, vuoi di discussione nelle Commissioni e in quest'Aula, in cui dovremo tornare mano a mano su ciascuno dei problemi già posti.
Vorrei permettermi di aggiungere, dopo aver ascoltato con la doverosa attenzione le considerazioni del senatore D'Onofrio, che la legge si inserisce in un processo in atto da anni nelle nostre scuole. C'è qualcosa di più di una consultazione formale delle opinioni di questo o di quel segmento della nostra scuola: ci sono esperienze che si sono andate generalizzando.
In primo luogo, vorrei ricordare la rapida generalizzazione che il felice decreto sugli istituti comprensivi ha avuto; si trattava di una generalizzazione su richiesta – praeter necessitatem – di istituzioni scolastiche elementari e medie, al di là dei problemi delle aree montane, per i quali inizialmente era stato pensato il decreto, e del dimensionamento stesso.
Come si è detto, in un po' più del 40 per cento delle scuole di base ormai convivono insegnanti di scuola materna, elementare e media.
Vorrei richiamare fuggevolmente l'attenzione sul fatto che la cifra del 40 per cento è parecchio inferiore a quella che è giusto ricordare, perché è calcolata guardando, a fronte del 40 per cento di istituti comprensivi, le singole scuole elementari e medie; tuttavia se si torna alla fonte, ci si rende agevolmente conto che, in realtà, la maggior parte degli istituti elementari e medi sono confluiti in tale 40 per cento.
In questi anni, abbiamo attentamente monitorato (come si suol dire con un neologismo) tale esperienza e abbiamo constatato che dà buoni risultati: collegi unitari di docenti e dirigenze unitarie di queste scuole fanno sì che il progetto educativo, dalla scuola dell'infanzia al termine del ciclo di base, si svolga in modo armonico.
Personalmente (se posso fare una considerazione personale in questa sede formale) condivido l'opinione implicita che diversi di voi hanno espresso, da ultimo il senatore D'Onofrio: non abbiamo alcuna necessità di motivare con l'adeguamento a questo o a quel modello non italiano le condizioni della nostra scuola; il fatto è che, ad esempio, per ragioni di lavoro mi è capitato di dover considerare comparativamente sistemi scolastici diversi e dover constatare – come molti di voi sanno – che i sistemi che progettano unitariamente il ciclo di base ottengono al termine di tale ciclo risultati migliori del nostro.
Il nostro soffre – lo sappiamo tutti bene – di picchi di abbandono collocati nel passaggio dalle elementari alle medie e di uno scadimento del buon livello che gli alunni hanno al termine della scuola elementare, sempre nel passaggio dalle elementari alle medie. Sono queste – lo dirò solo rapidamente – alcune delle ragioni per cui non da oggi, ma da molti anni (a mia conoscenza perlomeno dal 1984, e forse anche da prima) discutiamo nel nostro Paese della opportunità di creare un unico ciclo di base.
Quindi, in questa materia non c'è alcuna improvvisazione; c'è il voler raccogliere e voler portare a norma di legge indicazioni di educatori, di realtà straniere, che ci vengono da questa felice esperienza che lei, senatore D'Onofrio, ha avuto il merito di inaugurare. Ma lei non ha inaugurato solo questa. Vorrei richiamare l'attenzione sul senso profondo che ebbe un suo provvedimento, che personalmente ho condiviso, e cioè la soppressione degli esami di riparazione. Che cosa significava quel provvedimento? Significava avviare una impostazione nuova nel rapporto tra scuola e alunno, un rapporto meno notarile, di mera registrazione della capacità dell'alunno di adeguarsi o meno ai ritmi imposti da programmi centralistici. Significava tenere conto dei ritmi di crescita e chiedere alle istituzioni scolastiche di assumere un atteggiamento completamente diverso: non di valutazione di un'astratta e generale capacità di adeguamento a certi ritmi, ma di attenzione alla crescita effettiva e complessiva degli alunni. Mi pare che questo principio, che era lì presente in modo implicito e riguardava il piccolo ma nodale problema della valutazione a fine anno, è stato raccolto: è una delle tante esperienze e indicazioni che sono state raccolte dalla legge e soprattutto, ancora più esplicitamente, nel piano.
Ancora, (ma vorrei poi fermarmi, per non annoiarvi troppo): non devo quasi aggiungere niente a ciò che è stato già detto dai banchi dell'opposizione sulla necessità di razionalizzare questo dedalo, questo meandro di 243 indirizzi effettivi (tanti sono i temi e le prove che il Ministro deve faticosamente siglare e controfirmare in occasione degli esami di Stato), perché sono 243 gli indirizzi di studio della nostra scuola superiore, come risultato dello sforzo continuo di adeguamento a richieste importanti non solo corporative, ma anche sociali, produttive e culturali dell'impianto gentiliano della scuola media superiore. Su questo impianto mi permetterò di tornare, in omaggio alla memoria, da me personalmente riverita (ma credo da tutti), di Giovanni Gentile.
Ebbene, è stato già detto che era assolutamente necessario ricondurre ad unità, prosciugare questi meandri dai canali troppo numerosi, ma questa non è solo un'esigenza che viene dalla comparazione con altri sistemi, da discussioni di pedagogisti ed educatori, avviate formalmente per iniziativa del Ministero della pubblica istruzione nel 1969 – lo ricordo – ma viene anche dalla felice esperienza di tanti istituti medi superiori che si sono riorganizzati sperimentalmente in modo polivalente e hanno realizzato da anni i «polivalenti», che prefigurano la riforma della secondaria superiore e che sono ormai oltre 800, a parte gli «sperimentali Brocca», per così dire.
Quindi vi sono tante esperienze che la legge prima e successivamente il piano raccolgono, che suggeriscono di procedere su questa strada; pertanto non c'è bisogno di un referendum.
Il raccogliere esperienze già fatte non è una pratica che avviene per la prima volta nella storia dei grandi processi di riordinamento della nostra storia. Si tratta di una storia breve perché alle spalle della legge n. 30 del 2000 e di quella in materia di autonomia scolastica – che fa corpo con la precedente – abbiamo da annoverare in sostanza, due grandi esperienze. In primo luogo vi è quella del ministro Gonella, il quale seguì la strada – che stamane è stata indicata – di una previa consultazione che peraltro è restata agli atti nei quali i lettori di oggi trovano ancora qualche motivo di interesse, ma che allora non produsse nulla.
L'altra esperienza, più antica, è quella della riforma Gentile cui ho già accennato. Rivolgendomi soprattutto a chi ha una visione ideologica della storia della nostra scuola, desidero ricordare – anche se mi imbarazza farlo in quest'Aula, ricoprendo un ruolo che ben più altamente svolse Giovanni Gentile – quanto dichiarò Giovanni Gentile a proposito di quella che qualche anno dopo Mussolini avrebbe definito «la più fascista delle riforme», anche se pare che in realtà non la condividesse e non l'avesse ben capita, ma questo aspetto lo lascio agli storici del pensiero politico e della scuola.
Ebbene, Giovanni Gentile in quest'Aula, da questi banchi ricordò alla opposizione – che ancora poteva parlare e che avrebbe potuto continuare a farlo solo per qualche mese – che si trattava di una riforma fondata su preposte esperienze che venivano dai primi anni del secolo, e a questo proposito citò Salvemini e Credaro, quindi i rappresentanti del pensiero liberale e socialista che avevano delineato il quadro della scuola media superiore suddivisa in licei e scuole tecniche, cioè, detto brutalmente, distinta in scuole di serie A e scuole di serie B.
Mi sembra di rammentare che in quella sede non abbia ricordato che, per quanto riguardava la scuola elementare, l'esperienza si rifaceva a quella del suo straordinario direttore generale della pubblica istruzione, Giuseppe Lombardo Radice, cioè colui che aveva disegnato il progetto di riordinamento e rinnovamento della cultura elementare italiana fin dai primi anni del secolo mettendolo a punto nelle lezioni di pedagogia del 1913 anche grazie all'ispirazione che gli veniva da quella donna geniale, di origine mitteleuropea, che era Gemma Harasim.
Ricordo questi episodi semplicemente per dire che le riforme funzionano – questo Vincenzo Cuoco cercò di insegnarcelo a tutti in anni più lontani – solo se raccolgono movimenti che oggettivamente si vanno delineando. Così fece la riforma Gentile che è durata lungamente, così cerchiamo di fare noi. C'è solo una differenza che è importante tenere presente: la riforma Gentile fu attuata a colpi di decreti-legge, e non prevedeva – anche se poi furono necessari degli aggiustamenti – momenti di ripensamento e di revisione.
La legge n. 30 è una legge – non so se sia tecnicamente giusto chiamarla così – processuale o, almeno, regolativa di processi in cui essa prevede dei ritorni sia legislativi sia regolamentari che passano attraverso il Parlamento. Il Parlamento non è espropriato, anzi è chiamato a pronunciarsi mano a mano; e non sono espropriate le scuole, non solo perché dalle scuole raccogliamo l'essenziale delle proposte della legge n. 30 e del piano di attuazione, ma perché alle scuole compete, se il Parlamento approverà il nostro piano, pronunciarsi sin dai prossimi giorni, in re, sulle procedure di attuazione graduale della riforma.
Se il Presidente permette, vorrei fare alcune brevissime considerazioni sui punti centrali del piano di attuazione della riforma. Sono centrali alcuni princìpi su cui credo, voglio credere, non possa non esservi la convergenza più generale del Parlamento, così come la più generale convergenza si è verificata nella commissione. A me dispiace che qualcuno abbia alterato il numero, e non solo quello, ma anche le caratteristiche dei componenti della commissione. I componenti sono un po' meno di 250 e non 300; 300 erano «i giovani e forti» di marradiana memoria, in realtà i componenti della commissione sono – ripeto – meno di 250. Sono giovani e anziani insieme e questo è solo un aspetto dell'eterogeneità. Queste generose persone, come i componenti di precedenti commissioni insediate dal Ministero della pubblica istruzione per analoghi compiti di revisione e innovazione dei programmi, hanno lavorato gratuitamente e solo chi veniva da fuori Roma, se dipendente dall'Amministrazione, ha avuto il rimborso delle spese di viaggio ma non di soggiorno. Gli altri hanno lavorato con quella generosità che l'Amministrazione pubblica richiede in generale ai suoi dipendenti. Non hanno esitato a lavorare e a farlo anche nelle difficili condizioni estive, peraltro avvalendosi largamente dei mezzi ormai disponibili di comunicazione elettronica.
Quello però che mi preme dire è che, come si è voluto ripetutamente dimenticare e in qualche caso di maggior superficialità negare, la commissione è stata composta cercando di raccogliere – parrà strano a qualcuno – innanzitutto le voci di potenziali dissenzienti, di persone che avevano manifestato orientamenti critici sulla legge n. 30, di persone cercate in tutti gli schieramenti ideali del Paese. Devo dire che quasi tutte queste persone hanno accettato di lavorare nella commissione e con la commissione.
Da questo punto di vista il Ministro non era incauto. Ho avuto il privilegio di far parte di una delle commissioni di riordino dei programmi, nominate nei decenni passati e avevo seguito poi con attenzione il lavoro di tutte le commissioni di riordino dei programmi e so che quando dalla discussione ideologico-politica si passa a discutere concretamente sul che cosa e sul come l'insegnante deve insegnare, sul che cosa o sul come la bambina o il bambino può e deve apprendere, non c'è ovviamente unanimità di opinione, ma i fronti di dissenso si ricompongono su linee completamente diverse che lasciano da parte le contrapposizioni politiche, e la collaborazione più larga non è un obiettivo utopico, ma sta nelle cose.
Lo abbiamo visto tante volte per i programmi delle medie, per i programmi dei bienni e poi dei trienni Brocca; per gli orientamenti pedagogici della scuola dell'infanzia, materia per la quale si poteva immaginare previamente una qualche contrapposizione tra pensiero educativo laico e pensiero educativo cattolico.
Le commissioni hanno lavorato concordemente, e questa in particolare. Le persone che avevano manifestato dissensi verso la legge n. 30 non marginalmente, ma in veste di moderatori e di coordinatori di gruppi hanno collaborato e contribuito in modo prezioso e le loro parole risuonano nel piano. Sono le parole di studiosi di area lontana da quelle della maggioranza che si possono identificare una per una nel piano con un po' di modesta filologia.
Riandando ai documenti di sintesi dei lavori di gruppo firmati da coordinatori e moderatori mano a mano consegnati al Parlamento e riandando ai verbali della commissione, su alcuni princìpi credo che anche in questa sede, anche alle soglie di una campagna elettorale, sia difficile che qualcuno possa manifestare dissenso.
Il primo principio è quello della centralità: è un principio innovativo, forte ma ci viene da troppo lontano perché lo possiamo considerare merce che appartenga ad un gruppo o ad un altro: è quello della centralità della persona che apprende, della bambina e del bambino che entra nella scuola con il suo peculiare bagaglio culturale che noi vogliamo contribuire a far crescere.
Dirò subito qual è l'altro principio verso il quale vogliamo che la scuola vada: essa deve essere in grado di capirlo nei suoi deficit, nelle sue idiosincrasie, nelle sue appartenenze a gruppi differenziati socialmente e culturalmente affinché si faccia carico di queste diversità.
La legge n. 30 dice – non il piano – che il Parlamento ha il merito di aver approvato tutto ciò anche attraverso percorsi individualizzati introducendo questa straordinaria formulazione. La formulazione viene da Mario Lodi, da don Milani, dal pensiero educativo internazionale. Non c'è alunno o alunna di cui la scuola non debba sapersi fare carico nella sua peculiarità per portarlo avanti.
Qualcuno di noi è contro questo? Qualcuno chiede una scuola dell'esclusione o la perpetrazione di forme di esclusione attraverso la scuola? Credo che nessuno possa accettare un infamante sospetto del genere.
Vi è un secondo principio che bilancia il primo con i rischi che potrebbe portare con sé: ci si potrebbe dire di voler cristallizzare le differenze soprattutto sociali, di classe, dialettali e etniche. Ovviamente non è così. Abbiamo detto nella legge n. 30 e in quella sull'autonomia, assieme al Parlamento che vogliamo che la scuola resti di competenza centrale, dello Stato, del Ministero e del Parlamento. L'indicazione è di obiettivi e di standard nazionali come punto di arrivo del cammino che le scuole devono sapersi costruire in autonomia, che porta la bambina o il bambino che entrano nella scuola dell'infanzia verso questi obiettivi e standard.
Qualcuno ha detto che nel piano non vi sono i curricula; nel piano possono e poteva esserci, come richiesto dalla progettualità processuale che la legge n. 30 innesca, l'indicazione dei criteri per la determinazione dei curricula. Se il Parlamento, ed in particolare questo ramo, darà il suo benestare al piano, faccio presente che la commissione che di fatto sta già riflettendo su ciò nelle vacanze si riconvocherà per cominciare a discutere in concreto dei curricula una volta dati.
Ma attenzione, l'accettazione che vi siano standard nazionali è forte nella legge e nel piano, naturalmente, e il piano è tutt'altro che vuoto, perlomeno su un punto e mi permetto di sottolinearlo: non è vuoto sul punto di quali sono gli indicatori fondamentali della crescita. La Commissione europea (tutt'altro che vuota), che a sua volta si rifaceva a vaste esperienze e a vaste proposte pedagogiche internazionali, ha deciso di assumere due indicatori come fondamentali per misurare il processo di crescita delle competenze intellettuali e conoscitive degli alunni. Si tratta di indicatori trasversali, come dicono i pedagogisti.
Il primo riguarda il grado di controllo, la capacità di controllo della lingua nazionale. So che molti sono stati sensibili al tema della difesa della lingua nazionale. Bene, come linguista non ho qui possibilità di pronunciarmi sull'intera questione, ma voglio solo dire che se qualcosa c'è da difendere – e probabilmente c'è – questo va difeso a partire dalla formazione nella scuola. Va quindi difesa la capacità di controllo ricettivo e produttivo della nostra lingua, della lingua che ereditiamo dai nostri padri. Questo è il primo indicatore.
Il secondo indicatore è, ahinoi tutti, intendo dire nazionalmente, la capacità di controllo degli strumenti matematici, l'equivalente della lingua per il controllo delle attività tecniche e scientifiche.
Signor Presidente, mi permetta di ricordare alcuni aspetti solo incidentalmente.
(...) Fatemi solo dire che ho ascoltato ancora questa mattina in televisione, quindi un mezzo largamente rispettabile per le sue ricadute, la lamentela – che in qualche modo ho evocato anch'io – sui bassi standard di conoscenza matematica che caratterizzerebbero il nostro Paese: se noi siamo Atene e non ridiamo o piangiamo, altri non ridono o piangono in modo non differente da noi. Vorrei richiamare soltanto un punto. Rispetto al 1970, data della prima indagine comparativa internazionale, la scuola italiana nelle materie scientifiche ha realizzato un enorme salto in avanti (è una buona notizia, tante ce ne diamo di cattive): è passata dal un ventitreesimo posto su ventiquattro Paesi (come nella barzelletta di quello che arriva secondo ma correvano in due) al tredicesimo posto su una cinquantina di Paesi. La scuola anche nella qualità è riuscita a fare enormi passi in questi drammatici, duri, difficili anni.
Questi sono i due indicatori a cui fanno corona tutti gli altri e su cui il programma fornisce dei criteri: la problematicità dei contenuti, l'insegnamento a capire criticamente che cosa si impara e a capirlo in funzione delle esigenze di vita delle persone. Ma non ho tempo di fermarmi su questo.Vorrei soltanto ricordare un ultimo punto.
Il terzo grande principio è quello di consegnare alla società italiana una scuola che continuamente si sottopone, come dice il titolo di una vecchia e bellissima commedia, ad esami.
Se voi approverete questo piano, ebbene per la scuola italiana tutta (gli esami di riparazione li ha meritoriamente cassati il ministro D'Onofrio) gli esami non finiranno mai, perché abbiamo introdotto un sistema di valutazione che renderà, momento per momento, come già sta rendendo (i dati che ho riferito sulla matematica vengono di là), trasparente come e quanto imparano, con quali ritmi, le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi, di trimestre in trimestre, di quadrimestre in quadrimestre, di anno in anno.
Quindi il Parlamento, il Ministro, tutti quanti avranno a disposizione materiali preziosi per introdurre elementi di aggiustamento che non siano puramente ingegneristici ma che guardino alla qualità effettiva degli apprendimenti.
Signor Presidente, ho finito. Le chiedo scusa se ho valicato i limiti di tempo che avrei voluto rispettare io per primo, ma come per molti qui questa è materia che segna la nostra esistenza. È difficile contenersi nei limiti di tempo stabiliti.
Ringrazio tutti per l'attenzione e mi impegno a tener conto di tutto ciò che è stato detto, dalla maggioranza nelle varie forme in cui si è espressa, naturalmente nella risoluzione, e a maggior ragione dall'opposizione, nel corso dei mesi che mi saranno dati per occuparmi della progressiva e graduale attuazione del piano di riordino dei cicli di istruzione.
|
|
7a
Com. |
6,
12, 14, 15, 19 |
Programma
di attuazione dei cicli scolastici
Il 19 dicembre 2000 la Commissione conferisce mandato al
relatore di riferire favorevolmente all'Assemblea.
(6 dicembre 2000) Il relatore informa anzitutto la Commissione di aver
avviato un ciclo informale di audizioni con i soggetti che ne hanno
fatto richiesta, raccogliendo utili indicazioni sui cui contenuti si
riserva di riferire in una fase successiva. Per il momento, segnala
esclusivamente che la CISL-Scuola ha lamentato gravi carenze di
informazione e di coinvolgimento, testimoniate addirittura dalla mancata
trasmissione alle scuole di una bozza, ancorché provvisoria, del
programma.
Egli ricorda poi che l'articolo 6 della legge n. 30 del 10 febbraio
2000, di riordino dei cicli scolastici, ha previsto una procedura
piuttosto complessa per la sua progressiva attuazione: anzitutto la
presentazione da parte del Governo di un programma quinquennale di
attuazione, su cui acquisire il parere delle Camere, con particolare
riferimento alle singole parti di cui il programma stesso si compone;
indi, successivi regolamenti governativi di attuazione e regolamenti
ministeriali per la definizione dei nuovi curricula, da emanarsi previo
parere delle competenti Commissioni parlamentari; ancora, regolamenti
ministeriali per l'individuazione dei titoli e dei curricula richiesti
per il reclutamento degli insegnanti; infine, una verifica triennale
della riforma, da condursi sulla base di una relazione del Ministro
della pubblica istruzione.
Tale complesso meccanismo procedurale ha avuto inizio (con un
tollerabile ritardo da parte del Governo nella presentazione del
programma alle Camere) lo scorso 16 novembre, data di assegnazione del
provvedimento in titolo alla Commissione. Essa è ora chiamata ad
esaminarne i contenuti e ad esprimere le sue valutazioni in una
relazione per l'Assemblea, la quale inizierà l'esame del programma
subito dopo l'approvazione della manovra finanziaria e lo concluderà
con l'approvazione di una risoluzione.
Passando ai contenuti del programma, il relatore ne illustra quindi
dettagliatamente l'articolato.
Quanto al primo capitolo, relativo a finalità, ragioni, condizioni e
soggetti della riforma, egli ne sottolinea la particolare attenzione
all'alunno, i legami con la dimensione europea e il rilievo attribuito
all'innalzamento qualitativo degli studi. Egli richiama altresì uno
studio dell'OCSE, che ha rilevato criticamente la discontinuità che ha
finora caratterizzato i diversi segmenti del sistema formativo italiano
e la parzialità degli interventi riformatori finora avviati per
contrastare fenomeni deprecabili quali l'insuccesso e la dispersione
scolastici. Al riguardo, ricorda la drammatica condizione del
Mezzogiorno, ma anche i problemi emergenti in alcune aree del Centro
Nord. Il programma non assume tuttavia in pieno tale dimensione critica
rispetto al passato. Lo stesso ministro De Mauro, ricorda il relatore,
ha preso atto che il riordino dei cicli scolastici si pone al centro di
un processo riformatore che viene da lontano e che non appartiene ad una
sola parte politica, ma travalica gli schieramenti e riguarda l'intera
rappresentanza parlamentare.
Il relatore sottolinea altresì l'esigenza di valorizzare i soggetti
interessati alla riforma (insegnanti e studenti), in un rapporto
cooperativo fra scuola, genitori ed enti locali.
Quanto al secondo capitolo, dedicato al riordino dei cicli nel quadro
delle riforme approvate, egli afferma che l'introduzione della scuola
media unificata (benché contestata all'atto della sua approvazione) ha
rappresentato – insieme allo Statuto dei lavoratori – uno degli
sforzi meglio riusciti per accrescere la coscienza civile e sociale del
Paese. Da allora, ha avuto avvio un lungo processo di riforma coronato,
grazie all'accelerazione impressa dagli ultimi Governi e alla iniziativa
del Parlamento, dalla piena attuazione dell'autonomia scolastica, dalla
riforma degli esami di Stato, dall'elevamento dell'obbligo scolastico,
dall'introduzione dell'obbligo formativo a diciotto anni, dalla legge
sulla parità scolastica, dalla riforma della formazione tecnica e
superiore, nonché – da ultimo – proprio dal riordino dei cicli
scolastici.
Il terzo capitolo, prosegue ancora il relatore, è poi dedicato alla
riorganizzazione dei curricula per la scuola dell'infanzia, la scuola di
base e la scuola secondaria, secondo criteri volti a non sovrapporre
l'apprendimento dei saperi bensì ad enucleare argomenti essenziali
intorno a cui formare i nuovi curricula.
Per quanto riguarda in particolare la scuola dell'infanzia, si tratta di
acquisire una prima elaborazione concettuale delle esperienze compiute e
di realizzare un primo incontro con i saperi formalizzati, nella
prospettiva di una diffusione generalizzata di tale segmento formativo.
Ad essa deve essere raccordata la scuola di base, quale elemento
fondante della scuola nel suo insieme. L'orario ideale dovrebbe
attestarsi intorno alle 35/40 ore settimanali articolate su cinque
giorni e il curriculum dovrebbe essere volto alla padronanza delle
competenze di base in un rapporto dinamico fra ambiti e discipline. Il
programma prevede la seguente articolazione del settennio unitario, atta
a risolvere, ad avviso del relatore, il problema del rapporto fra gli
attuali docenti di scuola elementare e di scuola media: un primo biennio
di raccordo con la scuola dell'infanzia e di alfabetizzazione; un
triennio centrale; un ultimo biennio di raccordo con la scuola
secondaria. Quest'ultima dovrebbe infine vedere una riduzione del numero
degli attuali indirizzi, pur senza contrarre il ventaglio di successive
esperienze professionali. In tale segmento, appare fondamentale
mantenere in equilibrio il rapporto fra biennio iniziale (nel quale si
completa l'obbligo scolastico) e successivo triennio (di indirizzo). Al
riguardo, egli rinvia all'allegato A del programma, in cui sono
riportate diverse ipotesi di articolazione degli indirizzi.
Passa indi ad illustrare il capitolo quarto, relativo alla
valorizzazione del personale docente e alla sua eventuale
riqualificazione e riconversione. Nel ricordare gli aspetti problematici
relativi alla continuità e all'unicità della funzione docente e ai
criteri di valutazione, egli esprime apprezzamento per l'attenzione
prestata all'attività residenziale, all'autoformazione, alla
riconversione mediante anni sabbatici, alla specializzazione
universitaria e alla prefigurazione di un nuovo stato giuridico.
Dopo aver brevemente accennato al capitolo quinto, relativo alla
formazione degli organici di istituto, si sofferma poi sul capitolo
sesto, recante i tempi e le modalità di attuazione della legge di
riforma. Al riguardo, segnala che il programma reca due ipotesi
alternative: una, secondo la quale la riforma avrebbe avvio dall'anno
scolastico 2001-2002 sia per gli alunni che l'anno prossimo saranno
iscritti alla prima e alla seconda elementare sia per coloro che saranno
iscritti al primo anno della scuola secondaria superiore; un'altra,
secondo la quale la riforma partirebbe dal prossimo anno scolastico per
gli alunni della prima e della seconda elementare, ma dall'anno
scolastico 2002-2003 per gli alunni del primo anno della scuola
secondaria. Questa seconda ipotesi sarebbe dettata dall'esigenza di
assicurare maggiori spazi temporali all'elaborazione dei curricula della
scuola secondaria e consentire una scelta più consapevole da parte
delle famiglie all'atto della individuazione dell'indirizzo nel mese di
gennaio. Entrambe tali ipotesi prevedono la convivenza, fino alla piena
applicazione della riforma, di due percorsi di base paralleli, con
durata differenziata. Nell'anno scolastico 2007-2008 si avrebbe poi la
loro confluenza nel primo anno della scuola secondaria, con l'effetto
efficacemente definito di un' "onda anomala". Per evitare il
verificarsi, in quell'anno, del raddoppio della popolazione studentesca
superiore (che si protrarrebbe evidentemente fino al completamento del
primo ciclo superiore), il Governo ha ipotizzato anche una
"frantumazione" dell'onda anomala, attraverso la
sperimentazione di percorsi abbreviati di un anno che dovrebbero
coinvolgere – ogni anno – il 25 per cento della popolazione
studentesca. In tal modo, nell'arco di quattro anni, l'onda anomala
avrebbe perso la sua forza d'urto e la riforma potrebbe entrare a pieno
regime.
Quanto al capitolo settimo, relativo all'adeguamento delle strutture
edilizie, il relatore sottolinea positivamente che il 53 per cento dei
comuni potrebbe garantire l'unitarietà del percorso formativo di base
nel medesimo edificio. Tale percentuale sale ad oltre il 70 per cento
con riferimento ad edifici siti nello stesso comune. Solo poco più di
un quarto dei comuni dovrebbe pertanto fare ricorso ad edifici siti in
comuni vicini. Il relatore ricorda comunque i recenti stanziamenti
disposti in favore dell'edilizia scolastica, nonché i fondi aggiuntivi
previsti dalla manovra finanziaria in esame.
Egli si sofferma indi sugli aspetti relativi alla fattibilità del
programma ed in particolare a quelli relativi alle risorse
professionali. Al riguardo, ricorda che la dirigenza scolastica si
articolerà in relazione alle due tipologie di scuola (di base e
secondaria) e che – nonostante la riduzione del numero complessivo di
posti conseguente al dimensionamento – il numero dei dirigenti
attualmente in servizio non pare eccedente; anzi, il programma ritiene
che vi sarà probabilmente l'esigenza di coprire ulteriori posti
dirigenziali per i quali stanno per avviarsi le procedure di concorso.
Anche per il personale ATA gli organici esistenti sono ritenuti
sufficienti. Con riferimento infine al personale docente, l'attuale
consistenza di posti è ritenuta ampiamente sufficiente rispetto
all'esigenza della scuola rinnovata, a causa della riduzione di un anno
del percorso scolastico e della diminuzione del numero di ore di
insegnamento nei diversi settori. Queste variazioni non comporteranno
tuttavia situazioni di soprannumerarietà, posta la previsione
complessiva di pensionamento. Egli si sofferma infine sull'impatto
amministrativo del programma, che demanda alla legge di bilancio
l'adeguamento del contributo di funzionamento amministrativo-didattico,
nonché di quello relativo all'autonomia e alle lingue straniere; a
decreti ministeriali la realizzazione dell'organico funzionale
d'istituto, la flessibilità dei curricula, la revisione degli ambiti
disciplinari, la definizione del nuovo assetto delle istituzioni
scolastiche, nonché la disciplina dell'esame di Stato conclusivo della
scuola di base; alla contrattazione collettiva l'aggregazione degli
attuali ruoli di personale docente, l'istituzione di periodi sabbatici
per i docenti, nonché il piano delle iniziative di formazione in
servizio.
Avviandosi alla conclusione, egli riconosce che i molteplici profili
problematici illustrati potrebbero indurre a rinviare l'entrata in
vigore della riforma. Ritiene tuttavia che il legislatore abbia il
dovere non solo di portare a compimento un processo riformatore che
altrimenti resterebbe monco, ma anche di assicurare alla scuola un
quadro di riferimento unitario e certo. Del resto, l'esperienza degli
istituti comprensivi è ampiamente positiva e rappresenta un utile
modello. Dopo tanti anni di promesse, di dibattiti e di tentativi
abortiti, è dunque tempo che il Parlamento si dimostri capace di
riformare la scuola.
|
7a
Com. |
21 |
Procedure informative:
Comunicazioni del Ministro dell'Università e della ricerca
scientifica e del Ministro della pubblica istruzione sulle modalità della
formazione universitaria dei docenti della scuola di base e della scuola
secondaria.
|
7a
Com. |
6 |
parere, Schema di regolamento di
semplificazione recante modifica del decreto del Presidente della
Repubblica 28 aprile 1998, n. 351, in materia di cessazione del servizio e
di trattamento di quiescenza del personale della scuola
La Commissione esprime parere favorevole a condizione
che la proroga a due anni del termine per la conferma o l'integrazione
della documentazione (art. 2) di cui all'articolo 3 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 351 del 1998, atteso che la compilazione
del modello di dichiarazione richiede un notevole impegno da parte del
personale docente, sia estesa ad un termine più ampio, pari ad almeno tre
anni dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della
Repubblica n. 351.
|
7a
Com. |
6, 13, 14, 15,
16 |
in sede referente, DdL nn. 4864,
4631, 4645 e 4874, Iscrizione ai corsi universitari
(6 dicembre 2000) La relatrice, tratteggiato l'iter del disegno di legge
n. 4864 presso la Camera dei deputati, si sofferma sulle disposizioni
del testo che permettono agli studenti, cui pronunce giudiziarie
amministrative abbiano consentito di iscriversi a corsi a numero
programmato per l'anno accademico universitario 1999-2000 (sospendendo
in via cautelare l'efficacia degli atti delle università preclusivi
dell'iscrizione), di iscriversi nell'anno accademico 2000-2001 al
secondo anno di altro corso di diploma o di laurea universitaria, il cui
accesso non sia programmato. Sono riconosciuti i crediti formativi
eventualmente maturati. Per tali studenti, inoltre, è mantenuta
l'erogazione delle provvidenze per il diritto allo studio, ove essi
abbiano maturato i relativi requisiti nel corso universitario
frequentato a seguito dell'ammissione con riserva. E' infine prevista
l'applicazione delle disposizioni vigenti in materia di continuazione
del ritardo della ferma di leva per motivi di studio.
Tale insieme di previsioni - ella prosegue - trae origine dalla
situazione creatasi già nell'anno accademico 1998-1999, in cui taluni
studenti furono ammessi con riserva alla frequenza di corsi universitari
a numero programmato, a seguito di provvedimenti cautelari dei Tribunali
amministrativi regionali avverso atti delle singole università
preclusivi dell'iscrizione. Successivamente, una specifica disposizione
legislativa (l'articolo 5 della legge n. 264 del 1999) intese
regolarizzare quelle iscrizioni. Tale disposizione mirava a chiudere una
volta per tutte il contenzioso amministrativo instauratosi, che tuttavia
si ripropose anche nell'anno accademico successivo, a seguito dei
ricorsi di un elevato numero di giovani, talora non informati dai loro
legali del fatto che la precedente regolarizzazione delle iscrizioni
fosse da imputarsi non già al giudicato amministrativo (dal momento che
il Consiglio di Stato aveva rilevato, delle medesime iscrizioni,
l'illegittimità) bensì alla sanatoria deliberata in sede parlamentare.
Di fronte al prodursi del nuovo contenzioso e, correlativamente, di
nuove ordinanze sospensive del giudice amministrativo di primo grado, il
Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica
nonché le singole università interessate adivano il Consiglio di
Stato, che anche per tale anno accademico dava torto ai ricorsisti. A
seguito di quella decisione del giudice amministrativo di ultimo grado,
si è avuta tuttavia una condotta da parte delle università oltremodo
variegata, con un trattamento degli studenti interessati diverso da sede
a sede (come emerge da una analitica ricognizione, esposta dalla
relatrice). Di qui il provvedimento ora giunto all'esame del Senato, che
deve sia tutelare i diritti degli studenti sia ricusare la richiesta di
una sanatoria generalizzata, il cui accoglimento costituirebbe un
esercizio demagogico e non sarebbe accetto alla Camera dei deputati, ove
tale orientamento già si è espresso ed è stato sconfessato.
Ai fini del dibattito - conclude la relatrice - potrà essere utile
ripercorrere talune indicazioni emerse presso la VII Commissione della
Camera dei deputati, ove fu tra l'altro prospettato di far salve le
iscrizioni degli studenti ricorsisti che avessero sostenuto almeno due
esami. Rimane che il disegno di legge, così come giunge all'attenzione
del Senato, presenta taluni profili suscettibili di approfondimento, in
primo luogo per quanto concerne la disposizione relativa agli obblighi
di leva, che non pare fornire sufficienti elementi per l'ipotesi in cui
le iscrizioni siano state annullate dagli atenei prima dell'inizio della
sessione di esami utile. Ancora, non pare risolutiva, ai fini dell'anno
accademico successivo a quello in corso, la disposizione relativa al
mantenimento delle provvidenze per il diritto allo studio. Infine, il
riconoscimento ex lege dei crediti formativi deve essere verificato
nella sua compatibilità con gli ordinamenti dei corsi, autonomamente
definiti dalle università.
|
|
Com.
Infanzia |
20 |
in sede referente, DdL
sull'Istituzione dello Psicologo scolastico (DdL as 2967, 2888, 1829, 3345, 3620 e 3866)
|
|
Il 18 dicembre 2000 è riconvocata a Roma la Commissione di esperti
incaricati dal Ministro De Mauro di definire i criteri generali per
l'elaborazione dei curricoli nazionali.
Dopo il documento di lavoro reso
pubblico nel mese di settembre 2000 e la proposta di Piano
quinquennale di attuazione della legge 30/2000 (in discussione al
Parlamento) si tratta ora di passare alla fase di redazione vera e propria dei
curricoli.
E' prevedibile che la commissione articoli i suoi lavori per grandi aree
disciplinari, in una logica di continuità verticale ed in connessione con la
nuova articolazione dei cicli scolastici. I primi documenti dovrebbero essere pronti nella primavera del 2001.
Nella rubrica Riforme On Line il nostro
collaboratore Giancarlo Cerini, membro della Commissione De Mauro,
compie una prima ricognizione di alcune delle "fonti" che stanno alla
base della ricerca su "Saperi,
curricolo, competenze".
Il 19 dicembre 2000 il MPI comunica i nomi dei nuovi Direttori Generali
Regionali che saranno approvati definitivamente col prossimo Consiglio dei
Ministri.
Il consiglio dei ministri del 15 dicembre approva il decreto di nomina dei nuovi Capo Dipartimento
(Giovanni Trainito e Alfonso Rubinacci)
del Ministero della Pubblica Istruzione previsti dal DLvo 300/99
e dal DPR 347/00.
Il 15 dicembre CGIL, CISL e UIL Scuola raggiungono un'intesa col governo
sugli aumenti salariali per il rinnovo del contratto.
Riportiamo di seguito il testo del comunicato stampa rilasciato il 15
dicembre dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri: