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Educazione Interculturale 
e Didattica della Lingua italiana come Seconda

Il problema della proposta del non più del 10% di studenti stranieri per classe, sollevato a Torino, fa emergere ancora una volta, l’idea di una scossa di assestamento su un sistema scolastico rigido che non regge i flussi di vita indipendenti da esso. Alla fine il sistema si sgretola anche per questa pressione endogena non controllabile.

La normativa fa già riferimento ad un inserimento adeguato e distribuito nelle classi ma non tiene conto delle realtà territoriali in essere ormai da oltre un decennio: famiglie italiane in cerca di scuole da far frequentare ai propri figli e in cui siano garantiti programmi non rallentati; classi interamente multietniche in Emilia Romagna. La normativa non tiene conto delle scelte dei gruppi stranieri che si stabiliscono in Italia per “vicinanza” o “richiamo” etnico in precisi luoghi territoriali, tanto da sovraffollare le più vicine istituzioni scolastiche.

Alla scuola può non interessare la percentuale di studenti di altre cittadinanze se l’impianto didattico spostasse il suo asse da rigida impostazioni gestionale e amministrativa a considerazione della persona da far “crescere” e da valutare in entrata. Abbiamo scuole con il 95% di iscritti con cittadinanza non italiana.

E allora? Mettere le toppe con tetti o altri strumenti di supporto non è utile a nessuno. Ancora una volta richieste di soluzioni che non tengono conto di significati profondi: innovazione, mutamento, spostamento, autonomia, valutazione.

Se l’attenzione venisse spostata dall’inizio, sulle reali capacità di esprimersi di qualsiasi studente e sulle sue capacità di apprendimento, sulle sue competenze e conoscenze, si formerebbero gruppi omogenei per livello, che si incontrano sul piano dell’infanzia o dell’adolescenza, che si riconoscono esclusivamente in crescita.

In Gran Bretagna, in Svezia, in Danimarca si tende a valorizzare il ragazzo nella sua dimensione di realizzazione personale e si parla di “under achieving”, di un ragazzo che “non riesce a realizzare le sue potenzialità individuali”.

In Spagna e in Belgio l’insuccesso è in rapporto alla società e già dal 1996 Vaniscotte, F scrisse che << Il sistema scolastico non risponde alla domanda sociale e ai bisogni delle imprese e gli alunni non sono motivati. Il ragazzo è in rottura con il sistema scolastico perché i metodi pedagogici non sono adatti e la scuola è incapace di adattarsi ed integrare i cambiamenti sociali>>. Si può tendere verso una lettura integrata delle modalità di valutazione del nord Europa e delle parole di Vaniscotte?

Invece in Italia si considera l’insuccesso scolastico come un dislivello in rapporto ad una norma istituzionale: lasciare la scuola senza aver ottenuto un diploma.

E’ la scuola attenta ai bisogni dell’apprendimento della propria popolazione scolastica che chiede supporto alle Istituzioni per fare “rete”, per comunicare. La scuola che accoglie, accompagna e supporta uno studente straniero sa prendere in seria considerazione un altro vissuto linguistico e altre condizioni neurovegetative; sa che altre nazionalità entrano nella sfera didattica italiana con una ‘tonalità’ diversa o con un’attenzione silenziosa di assorbimento totale per poi esplodere e raggiungere il personale successo. Lo sforzo della docenza sarà visibile nella valutazione finale complessiva ed opportuna, se rimodulata anche verticalmente. Il prezioso scorrere del tempo, il ritmo scolastico, le ore con cui svolgere un programma molto vasto, non permettono veramente di occuparsi di tutto. Soprattutto se, come spesso accade, il docente è lasciato alla sua volontà. Il tempo scolastico è ristretto per tutti gli attori coinvolti e le figure ‘mediatrici’ sono opportune per il sostegno generale all’istruzione in classe. L’atteggiamento di farsi carico solo del programma da svolgere senza pensare al sapere pregresso inesistente, significa frustrazione, debiti, abbandono scolastico da parte dell’allievo; significa sconfitta, non realizzazione didattica e professionale, classi decimate, per il docente, per la scuola, per la società.

Oltre ad una seria rivisitazione didattica, metodologica e valutativa, si sente forte la necessità di un punto unico di supporto informativo.

Ma gli studenti stranieri, come si sentono nel sistema scolastico italiano? A livello cognitivo, il non riconoscere una cultura lontana dalla propria, sia geograficamente sia sentimentalmente, pone una serie di condizionamenti che purtroppo, specialmente in studenti neoarrivati, è difficile da prendere in considerazione perché non siamo preparati. E’ più importante pensare ad una sedia e ad un banco da spostare, alla iscrizione che sia ben effettuata, ai moduli da riempire. O forse costa meno.

Nunzia Latini

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