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Parlamento
Camera
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Aula |
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Commissioni |
7a |
10,
17, 24, 26 |
Audizione del Ministro dell’istruzione,
dell’università e della ricerca, Mariastella Gelmini, sulle linee
programmatiche del suo dicastero
(10.6.08) Come darò atto dando lettura
dell'intervento programmatico di questa mattina, nelle settimane che
hanno preceduto la mia audizione mi sono astenuta dal rilasciare
interviste e dichiarazioni in ordine al tema dell'istruzione,
dell'università e della ricerca proprio per il grande rispetto che nutro
nei confronti del Parlamento. Mi sono state rivolte molte domande
sull'intendimento programmatico del mio dicastero, ma non ho rilasciato
alcun tipo di dichiarazione, se non laddove vi era la necessità di
prendere decisioni, come nel caso dei famosi debiti.
L'incontro con il Presidente della Repubblica non ha avuto come oggetto
l'illustrazione dettagliata delle mie linee programmatiche, bensì una
valutazione sugli esami di maturità e sul tema della prova scritta ad
opera dell'INVALSI per quanto riguarda la scuola media.
Non nego che all'interno di questo colloquio, molto cordiale, si sia
discusso ovviamente di quella che anche il Presidente Repubblica,
condividendo le parole del Papa, definisce «comune emergenza educativa»,
ma non credo francamente di aver mancato di rispetto nei confronti della
Commissione, posto che le linee programmatiche verranno illustrate per
la prima volta qui oggi.
Non intendo rispondere di quanto scrive Il Messaggero. Nella mia
relazione, non vi sono certamente solo i temi da esso citati.
Probabilmente la testata giornalistica è andata a intuito, consapevole
della posizione programmatica dell'attuale Governo. Ignoro come abbia
avuto quelle informazioni, che credo non corrispondano esattamente ai
contenuti del mio programma. Vi garantisco comunque che non vi sono
state indiscrezioni giornalistiche per quanto di mia competenza.
Entrerei dunque nel merito della relazione.
Signor presidente, onorevoli deputati, il grande rispetto che nutro per
il lavoro del Parlamento e l'importanza che assegno al confronto con le
Commissioni mi hanno indotto a chiedere al presidente Aprea e al
presidente Possa di separare in due distinti momenti la mia audizione.
Istruzione, università e ricerca scientifica costituiscono un tutt'uno,
hanno per protagonista lo stesso soggetto, la persona nel suo cammino di
crescita e di conoscenza, e sono parte dell'unica infrastruttura
dell'educazione e del sapere. Tuttavia, la loro complessità, la
diversità di linguaggi e in parte di problemi, la necessità di
focalizzare sia pure a grandi linee il dibattito e di dare alla
Commissione la più ampia possibilità di esprimersi meritano da parte di
tutti noi l'esercizio di un duplice sforzo.
Oggi, quindi, discuterò con voi dalla scuola primaria e secondaria. È
necessario sottolineare innanzitutto un aspetto che mi preme e che
ritengo voi abbiate il diritto di sapere e io il dovere di esprimere,
ovvero il criterio affettivo, il sentimento razionale con cui ho deciso
di accettare questo incarico gravoso ed esaltante. So bene che esso è
pesato su spalle di grandi filosofi e di eminenti letterati, ai quali
non mi permetto certo di paragonarmi, se non per l'essenziale, che non è
la scienza e la cultura, ma la passione per l'educazione, il desiderio
che questa Italia cresca nel bene più prezioso che oggi si usa definire
«capitale umano», ma che più semplicemente si chiama «persona».
In continuità con l'intendimento delle famiglie, la scuola è il luogo
primo e decisivo di questa possibilità, in cui sola sta la speranza. Per
definire la crisi che attraversa non solo l'Italia ma l'intero
Occidente, il Santo Padre non ha esitato a parlare di «emergenza
educativa» come del punto di debolezza maggiore della nostra società,
parole che rispecchiano i sentimenti di preoccupazione che il Presidente
Napolitano ha voluto manifestarmi.
Nel dibattito sulla fiducia lo scorso 13 maggio, questa espressione è
stata richiamata dai deputati di entrambi gli schieramenti, in
particolare dagli onorevoli Renato Farina del Popolo della Libertà e
Marina Sereni del Partito democratico.
L'emergenza educativa non si affronta semplicemente con nuovi contenuti
e nuove metodologie pur utili, né con il richiamo a valori astrattamente
affermati. I valori, per essere condivisi e vissuti, devono essere
convincenti per i ragazzi, come sono quando testimoniati da adulti
(genitori, insegnanti, personale non docente), che propongono un senso
positivo della vita.
Signor presidente, onorevoli deputati, ho deciso in queste settimane di
mantenere il più assoluto riserbo sulle linee di indirizzo, salvo
rispondere ad alcune urgenze rispetto alle quali il silenzio del
ministro poteva essere male interpretato. Non ho concesso interviste né
scritto articoli, ma ho invece iniziato a studiare i dossier, a leggere
quanto di buono o meno buono è stato scritto in questi ultimi anni sulla
scuola, a riflettere per impostare proposte ragionevoli e utili.
Oggi non intendo fare la lista della spesa, soprattutto perché i singoli
capitoli di questa lista meritano (e credo li avranno) momenti di
confronto focalizzato. Intendo invece esporre i princìpi e i metodi di
un piano di legislatura. Sono sicura che il presidente della
Commissione, l'onorevole Valentina Aprea, sia la persona più
qualificata, anche per temperamento ed indole, a trasformare questo
metodo in realtà quotidiana.
Signor presidente, onorevoli deputati, il Governo e il ministro hanno
piena consapevolezza dei gravi e complessi problemi della scuola.
Consentitemi di risparmiarvi una serie di dati di largo e pubblico
dominio e di valutazioni, che in questi ultimi mesi ho visto largamente
condivise, limitandomi solo ad alcuni numeri fondamentali.
Nelle comparazioni internazionali i nostri studenti risultano tra i più
impreparati d'Europa. Le indagini OCSE-PISA, che misurano le competenze
in ambito matematico e scientifico, la capacità di lettura e di
soluzione dei problemi da parte dei quindicenni, collocano l'Italia ai
livelli più bassi della classifica. Tra 57 Paesi siamo al trentatreesimo
posto in lettura, al trentaseiesimo in cultura scientifica, al
trentottesimo in matematica. Peggio di noi in Europa sono solo Grecia,
Portogallo, Bulgaria e Romania, mentre meglio di noi Lituania e
Slovenia. Negli ultimi sei anni siamo scivolati ancora più in basso.
Vorrei però sottolineare preliminarmente come i risultati cambino sia
riguardo alla tipologia di scuola - meglio i licei, peggio gli istituti
tecnici professionali - sia rispetto all'area geografica - meglio il
nord, peggio il sud e le isole - sia all'interno di ciascuna area, con
una distribuzione di emergenze e di eccellenza a macchia di leopardo.
Va anche sottolineato che, se tutti i commentatori hanno fermato la
propria attenzione sui dati preoccupanti dei quindicenni, ben pochi
hanno parlato delle scuole elementari, che mantengono invece un livello
di eccellenza. Lo studio IEA PIRS pone i nostri bambini di 9 anni
all'ottavo posto al mondo come capacità di lettura, secondi in Europa
solo a Russia e Lussemburgo. Ritengo opportuno evitare di cercare
soluzioni indifferenziate, giacché trattare malattie diverse con la
stessa cura non è certamente un approccio razionale.
Premesso il quadro nazionale unitario, cui siamo chiamati dai princìpi
espressi dall'articolo 117 della Costituzione, occorre superare una
vecchia e deleteria logica centralistica, che non tiene conto delle
specificità sociali e territoriali. Il nuovo ruolo delle regioni,
sancito dal Titolo V della Carta costituzionale e da definire
compiutamente nell'attuazione della legge n. 53, così come il necessario
rafforzamento dell'autonomia scolastica, devono costituire una sorta di
federalismo all'insegna della sussidiarietà, che rappresenta il quadro
istituzionale entro cui affrontare i problemi.
Dobbiamo adottare la miglior cura per chi è più malato. Se siamo tutti
convinti che l'istruzione è storicamente la più formidabile leva di
emancipazione e di riscatto sociale, è ancora più urgente riparare
questa leva nel Mezzogiorno d'Italia, dove i bassi livelli di
apprendimento, la povertà e il degrado sociale rappresentano un male da
estirpare. Quasi centocinquanta anni di studi e interventi dei grandi
meridionalisti, sin dalle prime indagini di Sonnino e Franchetti, ci
insegnano che solo attraverso il riscatto del Mezzogiorno e il
dispiegamento delle sue enormi potenzialità l'Italia potrà considerarsi
pienamente nazione.
A fronte di questi dati serve, a mio modo di vedere, uno scatto
d'orgoglio nazionale. Ciascuno di noi è chiamato a reagire e a togliere
quel velo di rassegnazione che troppo spesso accompagna l'analisi del
sistema scolastico. Dai posti più bassi delle classifiche l'Italia può e
deve risalire. Non possiamo rassegnarci, inoltre, di fronte al dato
preoccupante della dispersione scolastica. È un dovere cui siamo
chiamati non solo dal Protocollo di Lisbona, ma anche dalla necessità di
garantire alle nuove generazioni tutti gli strumenti atti ad affrontare
il futuro. Due milioni di studenti delle scuole superiori (oltre il 70
per cento) riportano una o più insufficienze al termine del primo
quadrimestre, negli istituti professionali gli insufficienti sono ben 8
su 10, mentre duecentomila studenti delle superiori nel corso del
quinquennio abbandonano la scuola o vengono bocciati.
In una scuola in cui, per riconoscimento unanime, seri e rigorosi
criteri selettivi sono venuti scemando e in cui si registra un'enorme
dispersione di capitale umano, o meglio di persone in carne ed ossa che
vedono il proprio futuro pregiudicato, occorre una presa di posizione
lontana da inutili visioni ideologiche. Il Paese ci chiede a gran voce
di lasciare lo scontro politico fuori dalla scuola. Non basta elevare
sulla carta l'obbligo scolastico ed è negativa la scorciatoia di
semplificare i processi di apprendimento. Nostro compito è quello di
offrire al Paese una scuola che ciascuno, secondo le proprie propensioni
individuali, consideri strumento utile e necessario. Credo che sia
giunta l'ora del buonsenso, del pragmatismo e delle soluzioni condivise.
Questo principio vale anche sul fronte degli insegnanti. Non possiamo
ignorare che lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria
superiore, dopo 15 anni di insegnamento, è pari a 27.500 euro lordi
annui, tredicesima inclusa. In Germania ne guadagnerebbe 20.000 in più,
in Finlandia 16 .000 in più. La media OCSE è superiore a 40.000 euro
l'anno. Questa legislatura deve vedere uno sforzo unanime nel far sì che
gli stipendi degli insegnanti siano adeguati alla media OCSE. Ma per
fare questo le difficoltà sono molte ed è necessario aggredire le cause
delle iniquità del sistema, mediocre nell'erogazione dei compensi,
mediocre nei risultati, mediocre nelle speranze.
Una scuola ostaggio di rivendicazioni, più finalizzata allo scontro
ideologico che non al recupero dei compiti del sistema, ha prodotto un
esito che credo né i sindacati, né i partiti, né la società italiana
tutta possano ritenere sensato: stipendi da fame, tramonto della cultura
del merito, tramonto del senso della scuola.
È una sconfitta nazionale, cui tutti abbiamo il dovere di reagire
invocando un vero cambiamento e non presunte riforme. Per troppi anni
abbiamo creduto tutti che le riforme legislative potessero produrre una
palingenesi del sistema educativo e abbiamo affidato all'approvazione
parlamentare di leggi di sistema la nostra speranza di migliorare la
scuola. Abbiamo investito le nostre energie sull'attività legislativa.
Abbiamo discusso troppo e troppo a lungo di cicli, di modelli
pedagogici, di indirizzi, di dottrine e di ideologie formative. Abbiamo
imbullonato e sbullonato leggi e decreti, badando più al colore politico
che alla sostanza dei problemi. Oggi dovremmo tutti renderci conto che
abbiamo bisogno di buona amministrazione, di buongoverno, di
semplificazione e di chiarezza. Il ministro prende qui l'impegno solenne
di rispettare queste considerazioni.
Proporrò modifiche legislative solo laddove sia strettamente necessario;
cercherò di contenere l'irresistibile tendenza burocratica a produrre
montagne di regolamentazione confusa e incomprensibile, di favorire
l'adozione di criteri generali e indicazioni nazionali leggibili,
evitando la metastasi delle norme di dettaglio. Soprattutto cercherò di
preservare e di mettere a sistema quanto di buono fatto dai miei
predecessori. Per questo motivo non ho avuto tentennamenti rispetto alla
cosiddetta «circolare Fioroni» sul recupero dei debiti scolastici
attraverso prove supplementari. Nonostante il suo ritiro mi fosse
chiesto da più parti - e mi avrebbe certamente garantito una facile
popolarità - ho preferito rischiare di essere impopolare piuttosto che
antipopolare. Ho provveduto certo a modificare aspetti che mi sembravano
troppo dirigistici, ma non ne ho cambiato la sostanza. Questi anni hanno
dimostrato che non c'è alternativa possibile e praticabile al ritorno
della scuola dell'impegno e del rigore.
Per troppi anni la scuola, come altre istituzioni, è stata amministrata
con una visione ribaltata rispetto alla logica e al buonsenso. Si è
pensato che l'abbassamento della qualità potesse agevolare gli studenti
offrendo agli insegnanti qualche garanzia in più in grado di compensare
la perdita di ruolo e di status, con il risultato di non favorire né gli
uni né gli altri. La scuola ha smesso di essere un servizio ai cittadini
e alla nazione per diventare un enorme ammortizzatore sociale. Non c'è
Paese al mondo che abbia fatto così. Non ci sarebbe organizzazione in
grado di sopravvivere a queste procedure. È ingiusto per gli studenti e
per i docenti, è soprattutto mortale per la qualità del sistema
educativo.
Accanto a questo criterio autodistruttivo ne abbiamo introdotto un
altro, che ha mortificato il senso di responsabilità. Abbiamo livellato
le retribuzioni verso il basso e quindi - verrebbe da dire - toccato il
fondo. Nella scuola abbiamo troppi dipendenti e poco pagati, con una
carriera pressoché piatta. Non c'è quindi da stupirsi se tantissimi
bravi maestri e professori non si sentono motivati, se tantissimi
giovani preparati, con la vocazione all'insegnamento, scelgono altre
strade; se lo Stato dà poco, non potrà che chiedere poco, in una spirale
di frustrazione inarrestabile.
Dobbiamo trovare il modo di rovesciare questi criteri. La rivalutazione
del ruolo dei docenti, a partire dal pieno riconoscimento del loro
status professionale, che non può essere confuso con chi nella scuola
ricopre altri ruoli, ancorché essenziali, è un nodo da sciogliere.
Affermo questo ringraziando tutti quegli straordinari insegnanti, quegli
eccezionali dirigenti scolastici, i membri del personale amministrativo,
che non solo svolgono il proprio dovere, ma nonostante tutto vanno ben
oltre. Abbiamo delle eccellenze da cui desidero imparare, andando non a
fare visite rituali, ma vivendo la scuola con loro.
Dobbiamo trovare insieme il modo di migliorare le prestazioni della
scuola, la retribuzione degli insegnanti e la qualità dei servizi
accessori, sapendo che non disponiamo di risorse economiche illimitate,
e che, anzi, dobbiamo compiere un grande sforzo di riqualificazione
della spesa pubblica. Il precedente Governo aveva avviato un piano
triennale di contenimento della spesa pubblica nel settore della scuola,
che abbiamo ereditato e rispetto al quale non possiamo che procedere. I
conti dello Stato e la situazione economica internazionale lo impongono.
Va anche detto, tuttavia, che la coperta è corta, ma che la scuola è una
priorità, anzi «la priorità». Non si tratta di un capitolo di bilancio
qualsiasi, perché da essa dipende il futuro del Paese e il Governo dovrà
tenerne conto.
Se vogliamo migliorare concretamente il sistema scolastico in Italia,
non si può eludere il tema dell'autonomia e dell'assunzione di
responsabilità a tutti i livelli. Parlare di autonomia significa
innanzitutto valorizzare le governance degli istituti, dotarle di poteri
e di risorse adeguate e puntare alla loro valutazione. Autonomia e
valutazione sono due facce della stessa medaglia: non possiamo rendere
piena l'autonomia scolastica senza un sistema di valutazione che
certifichi in trasparenza come e con quali risultati venga speso il
pubblico denaro.
Roger Abravanel in Meritocrazia definisce l'Italia un Paese pietrificato
e come tale destinato al declino, precisando la sua idea di merito, che
condivido pienamente. Meritocrazia è un sistema di valori che promuove
l'eccellenza delle persone, indipendentemente dalla loro provenienza
sociale, etnica, politica ed economica. Il merito non è una fonte di
disuguaglianza, ma, al contrario, uno strumento per garantire pari
opportunità ed è, dunque, la più alta forma di democrazia. Secondo
Abravanel l'equazione del merito è «intelligenza più impegno. La scuola
e l'università devono premiare gli studenti migliori. Se i risultati
sono uguali per tutti, saranno sempre i figli dei privilegiati a
prevalere». Ritengo che il punto di approdo del merito sia rappresentato
dalla valutazione oggettiva degli studenti, degli insegnanti e delle
scuole, che deve riguardare, scuola per scuola, non la presunta qualità
dei processi e delle strutture, ma misurare il risultato dell'azione
educativa sul singolo ragazzo quanto a valore aggiunto di cognizioni e
crescita rispetto all'ingresso. Deve altresì tenere conto della
dispersione scolastica. Serve un cambiamento epocale di mentalità, ma la
società è pronta e se lo aspetta. Non sarà semplice e non sarà
immediato, ma desidero dare il mio contributo per spargere i semi dal
merito. Germoglieranno, ne sono sicura, perché l'Italia è pronta.
Se condividiamo il valore della valutazione, questa legislatura deve
dare stabilmente all'Italia un sistema avanzato e riconosciuto. Se
condividiamo il ruolo delle autonomie scolastiche, non solo a parole, ma
nei fatti, sarà più facile liberare le loro potenzialità.
Ritengo fuorviante in questo senso parlare di parità scolastica marcando
la diversità degli istituti scolastici in statali e privati. Si dice
paritaria e paradossalmente con ciò si finisce per allargare il solco.
Con la legge n. 62 del 2000, varata otto anni fa da un Governo di
centrosinistra, esiste oggi in Italia un sistema pubblico di istruzione
in cui convivono, in piena osservanza costituzionale, scuole dello Stato
e scuole paritarie, istituite e gestite da privati. Tutte svolgono un
servizio pubblico, in quanto tenute a rispondere a precise indicazioni
ordinamentali stabilite dal sistema legislativo.
Le scuole statali servono oltre il 90 per cento dell'utenza e sono
quindi una realtà estremamente ampia, importante e capillarmente diffusa
su tutto il territorio nazionale. D'altra parte, sta crescendo in tante
zone d'Italia la domanda delle famiglie per percorsi educativi con
specifiche connotazioni, cui la scuola paritaria può fornire risposte
adeguate. Un sistema pubblico d'istruzione, che fondi sul principio di
sussidiarietà forme di pluralismo educativo, è la risposta alle esigenze
di istruzione e di formazione del cittadino.
L'affermazione della parità scolastica sarebbe un espediente retorico,
se si lasciassero languire o morire valide esperienze educative.
Oltretutto, un dossier dell'AGESC rivela che il risparmio per l'erario,
determinato nell'anno corrente dall'esistenza di queste libere
iniziative, è di circa 5,5 miliardi, a fronte di un contributo di circa
500 milioni di euro. Invito tutti a pensare non agli istituti, ma agli
studenti e alle loro famiglie. Ritengo infatti che tutte le famiglie
meritino di poter liberamente scegliere dove far educare i propri figli.
Le risposte finanziarie fin qui sperimentate costituiscono un valido
punto di partenza per individuare forme efficaci di sostegno alle
famiglie. Le scelte che il Governo farà in proposito avranno tutto lo
spazio del dibattito parlamentare, per arrivare ad un sistema equo e
condiviso. In questo senso, sarà interessante valutare non solo le
soluzioni messe a punto dai Governi nazionali succedutisi, ma anche le
strategie promosse dai governi regionali più sensibili alla soluzione
del problema.
Per quanto riguarda la condivisione degli obiettivi, al di là dei
singoli temi e capitoli, occorre percorrere la strada del cambiamento
condiviso, per dare stabilità al sistema. Solo condividendo la necessità
di cambiare e rifuggendo da logiche conservative si entra in sintonia
con larga parte del corpo sociale e si garantisce un senso al nostro
ruolo. Quattordici associazioni di genitori, di dirigenti scolastici e
di docenti hanno recentemente promosso un manifesto-appello, che chiede
la condivisione di obiettivi che vanno dalla libertà di scelta educativa
alla piena attuazione dell'autonomia scolastica, dalla personalizzazione
dei piani di studio alla rivalutazione del ruolo del corpo docente.
Altre spinte nella medesima direzione provengono dal mondo della scuola,
dell'imprenditoria, dagli enti locali e dalle regioni, altre ancora
dall'indagine conoscitiva condotta nella precedente legislatura dal
Ministero dell'economia e delle finanze e dal Ministero dell'istruzione,
i cui esiti sono stati raccolti e analizzati nel Libro bianco sulla
scuola del settembre 2007.
Autonomia, valutazione e merito sono i grandi temi sui cui il Paese
aspetta una risposta, in primo luogo dalla sottoscritta, e su cui il
Parlamento ha il diritto e il dovere di esprimere la propria potestà
legislativa. Mi sembra di poter registrare una convergenza anche con
l'opposizione sulla necessità di avviare, citando dal programma del
Partito democratico «una vera e propria carriera professionale degli
insegnanti che valorizzi il merito e l'impegno» e ancora «nel realizzare
un nuovo salto nell'autonomia degli istituti scolastici, facendo leva
sulle capacità manageriali dei loro dirigenti all'interno di organi di
governo aperti al contesto sociale e territoriale sulla valutazione
sistematica dei risultati». Celebrando la Costituzione italiana, il mio
predecessore, onorevole Fioroni, parlava di questa come della possibile
legislatura del buonsenso. Condivido le sue parole.
Se esiste un campo in cui il buonsenso e la politica devono incontrarsi,
questo è proprio quello della scuola. Proprio sotto l'egida del
buonsenso, mi sembra si sia avviato il confronto con Maria Pia
Garavaglia in qualità di ministro ombra dell'istruzione, che ringrazio,
più ancora che per le parole di stima che ha voluto rivolgermi, per
essere da subito entrata senza preclusioni nel merito dei primi atti
compiuti dal mio dicastero.
Oggi dobbiamo interrogarci anche su cosa chiediamo alla scuola. La
risposta potrebbe apparire scontata, ma in realtà non lo è. Pochi si
aspettano dalla scuola che fornisca conoscenze disciplinari, formazione
culturale, formazione professionale ed educazione. Non se lo aspettano
molti, troppi studenti. Non è un caso se abbiamo portato al 93 per cento
il tasso di partecipazione all'istruzione secondaria superiore della
fascia dei giovani tra i 15 e i 19 anni.
Nel 2006, un giovane su cinque tra i 18 e 24 anni aveva abbandonato
prematuramente gli studi senza acquisire un diploma di scuola superiore
o almeno una qualifica professionale entro il diciottesimo anno di età.
Possiamo tendere a raggiungere gli obiettivi di Lisbona solo se a quei
giovani e a quelle famiglie riusciamo a dimostrare e non a dire che in
quel diploma e in quella qualifica risiede non un pezzo di carta, ma un
futuro migliore.
Oggi i dati statistici indicano che la società italiana è immobile. Il
figlio dell'operaio è drammaticamente condannato, se è fortunato, a fare
l'operaio. Ditemi voi se questo può essere ritenuto un sistema equo.
Antonio Gramsci asseriva che il merito e la fatica dello studio sono gli
unici possibili fattori di promozione sociale. È una citazione dai
Quaderni dal carcere, che voglio ricordare prima di tutto a me stessa.
Gramsci scriveva: «Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è
un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio. È un
processo di adattamento. È un abito acquisito con lo sforzo, la noia e
anche la sofferenza». La partecipazione di più larghe masse alla scuola
media porta con sé la tendenza a rallentare la disciplina dello studio e
a domandare facilitazioni. Occorrerà resistere alla tendenza di rendere
facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato.
Abbiamo di fronte a noi un'occasione: il precedente Governo ha
stabilito, di concerto con le regioni, di rinviare al 1o settembre 2009
l'entrata a regime della legge n. 53. Il tempo è poco, ma il Parlamento
e tutti gli attori coinvolti hanno la possibilità di dare al Paese una
straordinaria prova di produttività. Ci sono due pilastri da rafforzare:
il primo riguarda il nocciolo dell'istruzione, il secondo riguarda la
personalizzazione dell'istruzione.
Lo Stato è chiamato dalla Costituzione a determinare i livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che
devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e a dettare le
norme generali sull'istruzione. I livelli essenziali nella società della
conoscenza non possono che essere costituiti da una formidabile
preparazione di base, che oggi è venuta drammaticamente a mancare.
La patente delle tre «I» - inglese, internet e impresa -, indispensabile
a percorrere le strade del terzo millennio, non può essere presa a
discapito della quarta «I», quella di italiano, termine con cui
ricomprendo l'antico trinomio «leggere, scrivere e fare di conto», da
declinare e approfondire a seconda dei livelli e dei percorsi di
istruzione, senza indulgere nello spezzettamento dei saperi e nei «progettifici»,
che, come segnalato dai moniti internazionali e dai documenti elaborati
dal precedente Governo, producono nei nostri studenti inevitabili corto
circuiti e deficit nella conoscenza, impossibili da recuperare.
Come fa dire Leonardo Sciascia al professore Carmelo Franzò «l'italiano
non è l'italiano, è il ragionare». L'italiano è quindi il territorio in
cui si esercita la ragione, la ricerca del senso, la matematica e infine
le tre «I», che fioriscono bene solo in questo alveo di significato.
Le indicazioni nazionali saranno concentrate su questo obiettivo,
lasciando alle autonomie scolastiche le più ampie possibilità, nella
parti a loro riservate, di esaltare le proprie specificità, sempre - mi
auguro - con l'obiettivo dell'eccellenza.
Si sarà notato che uso spesso la parola «eccellenza» e che non cerco
sinonimi, perché lo scopo che con voi vorrei pormi è il seguente
ossimoro: «la normalità dell'eccellenza». Non è un paradosso, ma
l'attenzione che anima ogni educatore.
Quanto alla personalizzazione dell'istruzione, non intendo riassumere un
dibattito troppo vasto e troppo ben conosciuto dai presenti, la cui leva
principale è nell'interazione, nella sinergia tra autonomie scolastiche,
docenti, studenti e famiglie. Al mondo non esiste legge o circolare
ministeriale che possa indicare come e quando personalizzare. Esistono
invece quadri di riferimento in grado di aiutare i soggetti della
personalizzazione a parlare tra di loro e ad individuare le soluzioni
concrete. Servono uno sforzo innanzitutto umano e il cuore
dell'educatore che personalizzi l'istruzione.
Mi concentro ora, seppur per sommi capi, sulla scuola secondaria di
secondo grado, sul sistema dei licei, degli istituti tecnici e
professionali, sulla formazione professionale. Ho ereditato materiali
utilissimi, come il rapporto della cosiddetta «Commissione De Toni»
sull'istruzione tecnica e professionale, che ci consentono di non
iniziare ancora una volta da capo.
La mia prospettiva - spero la nostra prospettiva - è quella di portare
tutto il sistema in serie A. Ogni pezzo del sistema deve avere pari
dignità, perché ogni persona deve avere gli strumenti atti ad edificare
il proprio progetto di vita.
Vorrei che il dibattito sulla cosiddetta «scelta precoce» si
trasformasse nella costruzione dei percorsi più adeguati per permettere
ad ogni ragazzo di trovare la propria strada. Il substrato di quel
dibattito, magari sottaciuto, è permeato da una concezione classista,
per cui il liceo è di serie A, l'istruzione professionale e tecnica sono
di serie B, il sistema regionale delle qualifiche è di serie C. Non è
così, o meglio, non è scontato che debba essere così. Non è così per gli
istituti tecnici, ad esempio, da cui proviene - mi limito a citare un
dato - lo zoccolo duro dei nostri laureati in ingegneria. Mi rifiuto,
inoltre, di considerare il sistema della formazione professionale come
una sorta di suburra, in cui relegare forzosamente sui banchi
adolescenti per così dire difficili.
Alcune regioni hanno costruito un sistema di grande qualità, che offre
prospettive ai giovani e garantisce al mondo del lavoro persone
preparate e predisposte alla formazione permanente. L'indifferenziazione
dei percorsi, la pretesa di uccidere le propensioni individuali per
pretendere ope legis che ogni adolescente percorra la stessa strada sono
la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e la dispersione. Diamo ad
ogni persona la sua scuola e ogni persona troverà nella sua scuola le
ragioni per frequentarla con profitto. Ridare senso alla scuola
significa ridare senso a ciascuno dei percorsi per gli studenti e per le
loro famiglie, ridare una motivazione per ciascuno a stare sui banchi,
per stare meglio nella vita. Alcune di queste motivazioni possono essere
rintracciate nella permeabilità tra mondo della scuola e mondo del
lavoro.
Alcune delle eccellenze nei settori dell'istruzione tecnica e della
formazione professionale si fondano su questo interscambio, ma non credo
che il sistema dei licei debba essere considerato una turris eburnea,
tutt'altro. L'interazione tra scuola e lavoro, tra scuola e vita reale
ha un ruolo inestimabile: far comprendere allo studente, in un'età
difficile, l'utilità concreta di quanto sta facendo, che imparare serve
ad essere promosso non solo a scuola, ma anche nella vita.
Nello spirito di una scuola che sia realmente per tutti, affermo il
diritto all'istruzione di chi presenta abilità diverse. Gli obiettivi
didattici, le metodologie e gli strumenti devono essere personalizzati e
coerenti con le abilità di ciascuno, per definire i livelli di
apprendimento attesi. Molte sono le buone pratiche costruite su
competenza, professionalità, disponibilità e impegno delle diverse
componenti scolastiche, dagli insegnanti di sostegno agli insegnanti
curriculari, dai dirigenti scolastici alle associazioni. Occorre fare
tesoro dell'esperienza. Il mio impegno è indirizzato ad ascoltare le
esigenze, le criticità, le proposte delle famiglie e di tutte quelle
realtà associative che si occupano di disabilità, al fine di individuare
insieme anche percorsi formativi più adeguati al bisogno con la
necessaria flessibilità, superando le rigidità non coerenti con l'azione
educativa.
La scuola coinvolge la responsabilità dell'intera società, a cominciare
dalle famiglie e dagli insegnanti. Elevare la qualità della scuola
richiede un'assunzione di responsabilità collettiva. I fallimenti
sperimentati nella quotidianità con i gravi fatti di violenza, di
bullismo, di tossicodipendenza rendono consapevoli insegnanti e famiglie
dell'impossibilità di farcela da soli, ciascuno per proprio conto, e
della necessità di una cooperazione corresponsabile tra tutti i
protagonisti del processo di crescita umana e professionale dei giovani.
Se avvicineremo famiglia, scuola, comunità civile e mondo del
volontariato, con il suo patrimonio di valori vissuti e di conoscenza
del prossimo, e li faremo convergere su un'attenzione disinteressata nei
riguardi dei giovani, sarà possibile far fronte alla sfida
dell'emergenza educativa. Solo una partnership tra scuola e famiglia è
in grado di affrontare disagi e difficoltà e di perseguire la qualità
nei rapporti e negli apprendimenti, in modo che ogni studente possa
trovare nella scuola le condizioni per valorizzare le proprie capacità e
realizzare il proprio progetto di vita.
Difficoltà di apprendimento, scarso rendimento scolastico, abbandono
degli studi, inconsapevolezza delle regole, abuso di sostanze
stupefacenti si trovano alla base di fenomeni antisociali, quali la
micro delinquenza e il bullismo e si manifestano sempre più
precocemente. Va anche osservato che troppo a lungo si sono delegate
alla scuola responsabilità e azioni che competono alla famiglia, che,
pur nelle sue difficoltà, rappresenta la base fondamentale su cui
sviluppare le attività didattiche, formative ed educative.
In questi ultimi anni, in particolare, la crisi della famiglia rende
ancora più complesso il compito della scuola. Il manifestarsi delle
diverse forme di disagio, infatti, chiama in causa innanzitutto gli
affetti, i sentimenti, la vita di relazione dei giovani. Se si vuole
rispondere efficacemente alla profonda esigenza di trasmettere il valore
del rispetto e dell'osservanza delle regole, il valore della legalità,
dei diritti e dei doveri, occorre agire sin dai primi anni di vita, sin
dalla scuola dell'infanzia e dalla scuola primaria.
Veniamo al tema dell'integrazione, una parole chiave: integrazione nella
comunità, nella civitas. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla
spinta migratoria, che coinvolge centinaia di migliaia di adulti e
centinaia di migliaia di bambini. Il nostro primo obbligo è insegnare a
tutti loro la lingua italiana e la Costituzione della Repubblica.
Non sono passati secoli, ma pochi lustri, da quando un'altra spinta
migratoria all'interno del Paese è stata l'occasione per alfabetizzare
centinaia di migliaia di italiani, che sono diventati l'ossatura della
nostra industria e gli artefici, con la doppia fatica dello studio e del
lavoro, del miracoloso boom economico italiano. Oggi dobbiamo garantire
la stessa alfabetizzazione agli immigrati e ai loro figli, per loro e
per i nostri figli. In numerose classi il processo di apprendimento è
frenato dalla necessità di non lasciare indietro, di non escludere quote
sempre più alte di alunni extracomunitari, ragazzi e ragazze con
competenze proprie, ma penalizzati dalla barriera linguistica.
Occorre trovare soluzioni atte ad abbattere questa barriera e
concentrare su quelle le nostre risorse professionali ed economiche,
uscire dalle sperimentazioni per entrare nella normalità. Sulle modalità
vorrei che si esprimesse la Commissione, ma chiederò anche l'aiuto di
chi si trova in prima linea ad affrontare il problema, a partire dagli
insegnanti delle classi in cui il numero di studenti stranieri è più
elevato.
Alfabetizzazione significa anche alfabetizzazione civile per i figli
degli extracomunitari, che devono apprendere le regole della comunità
italiana, così come noi apprendiamo e applichiamo le regole delle case
in cui veniamo ospitati, ma anche per i giovani italiani. Giusto
cinquanta anni fa, un grande statista e Ministro della pubblica
istruzione, Aldo Moro, introduceva nelle scuole lo studio
dell'educazione civica. Mi sembra che potremmo celebrare degnamente
questo cinquantenario e i sessanta anni dalla nascita della Costituzione
restituendo un ruolo centrale all'educazione civica.
Signor presidente, onorevoli deputati, mi avvio ormai a concludere.
Prima delle elezioni, un gruppo di volenterosi uomini di conoscenza, il
cosiddetto «gruppo di Firenze», si è riunito per proporre agli italiani
e in particolare alle forze politiche un manifesto-appello. Vorrei farlo
mio e impossessarmi del suo messaggio più importante, laddove recita:
«Sia le riforme sia il Governo e la vita della scuola, a tutti i
livelli, dovranno ispirarsi ai criteri di merito e di responsabilità.
L'aggiornamento dei programmi, la riorganizzazione dell'istruzione
superiore, l'autonomia delle scuole potranno dare risultati effettivi e
duraturi solo recuperando e mettendo in pratica questi elementari
princìpi dell'etica pubblica e privata. Dobbiamo offrire ai nostri
ragazzi una scuola più qualificata ed efficace, ma insieme più esigente
sul piano dei risultati e del comportamento. Dobbiamo restituire ai
docenti, spesso demotivati e resi scettici da troppe frustrazioni, il
prestigio e l'autorevolezza del loro ruolo, intervenendo, però, con
tempestività e rigore nei casi - pochi, ma negativi per l'immagine della
scuola - di palese negligenza o di inadeguatezza. I dirigenti
scolastici, infine, andranno valutati in primo luogo per la loro
capacità di garantire nel proprio istituto professionalità e rispetto
delle regole da parte di tutti».
Desidero rivolgermi ai firmatari di questo appello, chiedendo loro
aiuto. Sono infatti convinta che invertire la tendenza al degrado della
scuola richieda un grande sforzo nazionale, cui sono chiamati il
Parlamento e le parti sociali nelle loro definite responsabilità, cui è
partecipe il mondo della cultura, il mondo dei giovani e le loro
famiglie. Abbiamo bisogno di una grande alleanza per la scuola, che
restituisca al Paese la parola «speranza».
A chi ha sottoscritto quel documento, ai tanti che in queste settimane
mi hanno dato utilissimi consigli chiedo collaborazione, così come anche
alle associazioni degli studenti. Recentemente, ho incontrato il loro
forum e so che non sarà facile trovare una lingua comune, perché spesso
sono stati dati per scontati una sostanziale incomunicabilità e un
atteggiamento in cui ministro e rappresentanti degli studenti sono
controparti. Non lo do per scontato e chiedo loro di non darlo per
scontato, prendendo l'impegno di tenere aperto un canale non episodico
di discussione. Su alcuni punti avremo probabilmente posizioni diverse,
ma ci saremo parlati e confrontati.
La scuola ha bisogno di un grande impegno civile. Non dobbiamo
rassegnarci e credere che la scuola italiana sia un malato terminale, ma
è necessario uno scatto di orgoglio da parte di tutti. Personalmente ci
credo, sono ottimista e intendo spendermi fino in fondo. Vi chiedo
collaborazione e aiuto in questo sforzo di ricostruzione della
principale infrastruttura italiana. Grazie. (Applausi).
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Senato
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Aula |
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Commissioni |
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11,
17, 18, 24, 25 |
Comunicazioni del Ministro
dell'istruzione, università e ricerca sugli indirizzi generali della
politica del suo Dicastero
Il ministro GELMINI chiarisce anzitutto di aver
chiesto di tenere separate le dichiarazioni programmatiche in ordine
all'Istruzione e all'Università e ricerca, in considerazione
dell'importanza che assegna al confronto con le Commissioni
parlamentari. I due settori, pur avendo senz'altro per protagonista il
medesimo soggetto, presentano infatti una complessità e una diversità di
linguaggi che meritano l'esercizio di un duplice sforzo.
Avviandosi ad illustrare gli intendimenti del Governo in materia di
Istruzione, ricorda anzitutto che il Santo Padre non ha esitato a
parlare di recente di "emergenza educativa" quale punto di maggiore
debolezza della società contemporanea. La medesima espressione è stata
poi richiamata nel dibattito sulla fiducia al nuovo Esecutivo da
parlamentari di entrambi gli schieramenti. Essa non si affronta tuttavia
a suo giudizio solamente con nuovi contenuti e nuove metodologie, pur
utili, ma con valori condivisi e, pertanto, convincenti per i ragazzi in
quanto testimoniati da adulti.
Dopo aver manifestato il proprio apprezzamento per la saggezza e
l'esperienza del Presidente della Commissione, ella illustra poi gli
intendimenti del Governo volti a fronteggiare i gravi e complessi
problemi della scuola.
Al riguardo, ella rammenta anzitutto che i quindicenni italiani
risultano, nelle comparazioni internazionali, tra i più impreparati
d'Europa in ambito matematico, scientifico e della lettura, anche se i
risultati cambiano in relazione alla tipologia di scuola e all'area
geografica. Né va dimenticato che i risultati sono invece di eccellenza
con riferimento alla scuola elementare. Ritiene quindi che le soluzioni
non possano essere indifferenziate, ma occorra superare la vecchia e
deleteria logica centralistica che non tiene conto delle specificità
territoriali. Al contrario, reputa che il nuovo ruolo delle Regioni,
così come individuato dal riformato Titolo V della Costituzione,
congiuntamente alla piena attuazione della "legge Moratti" e al
necessario rafforzamento dell'autonomia scolastica, debbano
rappresentare una sorta di federalismo all'insegna della sussidiarietà.
I maggiori sforzi devono poi essere indirizzati in direzione della
maggiore criticità ed in particolare al Sud, dove i bassi livelli di
apprendimento, la povertà e il degrado sociale costituiscono senz'altro
un male da estirpare. L'esperienza degli ultimi 150 anni dimostra del
resto che solo attraverso il riscatto del Mezzogiorno e il dispiegamento
delle sue enormi potenzialità
l’Italia potrà considerarsi pienamente nazione. A tal fine invoca uno
scatto d’orgoglio nazionale, ritenendo che l’Italia possa e debba
risalire la china.
Analogamente, reputa che il Paese non possa rassegnarsi di fronte al
dato preoccupante della dispersione scolastica, garantendo alle nuove
generazioni la disponibilità di tutti gli strumenti atti ad affrontare
il futuro.
Purtroppo però i criteri selettivi seri e rigorosi sono venuti via via
scemando e si registra un’enorme dispersione di capitale umano per
fronteggiare la quale il Paese chiede a gran voce di lasciare lo scontro
politico fuori dalla scuola.
In tale prospettiva, ella non giudica sufficiente elevare sulla carta
l’obbligo scolastico, né condivisibile semplificare i processi di
apprendimento. Al contrario, immagina una scuola che ciascuno, secondo
le proprie propensioni individuali, senta come uno strumento utile e
necessario.
Quanto agli insegnanti, ella rammenta che i loro stipendi sono
drammaticamente inferiori rispetto alla media Ocse. Si augura quindi che
la legislatura in corso veda uno sforzo unanime affinché essi siano
adeguati agli standard internazionali. A tale scopo, giudica
indispensabile aggredire le cause di iniquità del sistema, mediocre
nell’erogazione dei compensi, nei risultati e nelle speranze. Una scuola
ostaggio di rivendicazioni, più finalizzata al controllo ideologico che
non al recupero dei compiti del sistema ha del resto prodotto un esito,
osserva, che né i sindacati, né i partiti, né la società italiana
possono condividere: stipendi inadeguati, nonché tramonto della cultura
del merito e del senso della scuola.
Quanto alle riforme, ella sottolinea criticamente come per anni si sia
affidata all’approvazione parlamentare di leggi di sistema la speranza
di migliorare la scuola, badando più al colore politico che alla
sostanza dei problemi.
Ella ritiene invece che il sistema abbia bisogno prevalentemente di
buona amministrazione e di buon governo, di semplificazione e di
chiarezza.
Prende quindi l’impegno a proporre modifiche legislative solo laddove
strettamente necessario, a contenere l’irresistibile tendenza
burocratica a produrre montagne di regolamentazione confusa e
incomprensibile, a favorire l’adozione di criteri generali e Indicazioni
nazionali leggibili, evitando la metastasi delle norme di dettaglio e
preservando quanto di positivo fatto dai Governi precedenti. In
quest'ottica, precisa di non aver ritirato la cosiddetta "circolare
Fioroni" sul recupero dei debiti scolastici, nonostante ciò le fosse
chiesto da più parti e le avrebbe garantito una facile popolarità,
preferendo modificare soltanto gli aspetti che le sembravano troppo
dirigistici, senza cambiarne la sostanza. Questi anni hanno dimostrato
del resto, rileva, che non c’è alternativa possibile al ritorno nella
scuola dell’impegno e del rigore.
Ella lamenta poi che per anni si sia pensato che l’abbassamento della
qualità potesse agevolare gli studenti da un lato, offrendo dall’altro
lato agli insegnanti qualche garanzia in più che compensasse la perdita
di ruolo e di status, con il risultato di non favorire né gli uni né gli
altri e di trasformare la scuola in un enorme ammortizzatore sociale.
Inoltre, è stato mortificato il senso di responsabilità dei docenti,
livellando le loro retribuzioni verso il basso. L'assenza di qualunque
prospettiva di carriera ha così tenuto lontani dalla scuola tantissimi
giovani preparati, che avevano la vocazione all’insegnamento, ma che
hanno scelto altre strade non solo meglio retribuite, ma con migliori
prospettive.
Onde rovesciare questi criteri, ritiene indispensabile sciogliere il
nodo della rivalutazione del ruolo dei docenti, a partire dal pieno
riconoscimento del loro status professionale, che non può essere confuso
con chi nella scuola ricopre altri ruoli pur essenziali.
Passando al tema delle risorse, si dichiara consapevole dell'esigenza di
un grande sforzo di riqualificazione della spesa pubblica.
Il precedente Governo, ricorda, aveva avviato un piano triennale di
contenimento della spesa nel settore scuola, che i conti dello Stato e
la situazione economica internazionale impongono di proseguire.
Per migliorare concretamente il sistema scolastico in Italia non si può
peraltro eludere, prosegue, il tema dell’autonomia e dell’assunzione di
responsabilità a tutti i livelli. Autonomia e valutazione sono infatti
due facce della stessa medaglia, né si può rendere piena l’autonomia
scolastica senza un sistema di valutazione che certifichi, in
trasparenza, come e con quali risultati venga speso il pubblico denaro.
La meritocrazia è un sistema di valori che promuove l'eccellenza
indipendentemente dalla provenienza sociale, etnica, politica ed
economica delle persone; il merito non è quindi una fonte di
disuguaglianza, ma all'opposto uno strumento per garantire pari
opportunità, ed a tal fine deve essere valutato oggettivamente.
Passando al tema della parità scolastica, ella rammenta che la legge n.
62 del 2000, varata dal Centro-sinistra, ha istituito un sistema
pubblico di istruzione in cui convivono, in piena osservanza
costituzionale, scuole statali e scuole paritarie, gestite da privati.
Un sistema pubblico di istruzione che fondi sul principio di
sussidiarietà forme di pluralismo educativo è, a suo avviso, la risposta
alle esigenze di istruzione e formazione del cittadino.
I modelli finanziari fin qui sperimentati costituiscono, prosegue il
Ministro, un valido punto di partenza per individuare forme efficaci di
sostegno alle famiglie. Annuncia peraltro che le scelte del Governo in
proposito saranno sottoposte al pieno dibattito parlamentare per
arrivare ad un risultato equo e condiviso.
A questo proposito, ritiene peraltro interessante valutare le soluzioni
che non solo i Governi nazionali via via succedutisi hanno messo a
punto, ma anche le strategie promosse dai governi regionali più
sensibili alla soluzione del problema.
Ella sottolinea poi l'esigenza di condividere gli obiettivi, richiamando
il manifesto-appello che recentemente hanno promosso numerose
associazioni di genitori, di dirigenti scolastici e di docenti. Nel
riferirsi altresì alle aspettative del mondo della scuola,
dell’imprenditoria, delle Regioni e degli enti locali, nonché alle
risultanze del "Libro bianco sulla scuola" redatto nella scorsa
legislatura, individua nell'autonomia, nella valutazione e nel merito i
grandi temi su cui il Paese aspetta una risposta e su cui intende
promuovere un proficuo dialogo con il Parlamento. In tale ottica, si
augura di poter registrare una convergenza anche con l'opposizione e di
avviare una "legislatura del buon senso", come già aveva indicato l'ex
ministro Fioroni. Registra in proposito il costruttivo impegno del
ministro ombra Mariapia Garavaglia, che ringrazia fin d'ora.
Nel soffermarsi sul tasso ancora troppo elevato di precoce abbandono
degli studi, ella sottolinea poi l'esigenza di dimostrare agli studenti
e alle famiglie che i diplomi non rappresentano un pezzo di carta ma il
biglietto per un futuro migliore, disincrostando una società immobile ed
iniqua in cui lo studio non riesce a rappresentare un effettivo fattore
di promozione sociale.
Cogliendo l'occasione del rinvio operato dal precedente Governo al 1°
settembre 2009 della piena applicazione della riforma Moratti, ella
sollecita quindi il Parlamento e la società intera a dare una prova
straordinaria di produttività, creando le premesse per una formidabile
preparazione di base ed una effettiva personalizzazione dell'istruzione.
Quanto al primo aspetto, ritiene che le tre I (inglese, internet,
impresa) non possano andare a discapito della quarta (italiano), che
deve essere approfondita senza indulgere nello spezzettamento dei saperi
e nei "progettifici". Ritiene quindi che le Indicazioni nazionali
debbano essere concentrate su questo obiettivo, lasciando alle autonomie
scolastiche le più ampie possibilità, nelle parti a loro riservate, di
esaltare le proprie specificità, sempre con l'obiettivo dell'eccellenza.
Quanto alla personalizzazione dell’istruzione, reputa che la leva
principale sia nell’interazione tra autonomie scolastiche, docenti,
studenti e famiglie.
Con riferimento specifico alla scuola secondaria di secondo grado,
richiama anzitutto il rapporto della cosiddetta "commissione De Toni"
sull'istruzione tecnica e professionale. Al riguardo, comunica che
l'intenzione del Governo è di portare tutto il sistema alla "serie A",
assicurando ad ogni segmento una pari dignità.
In quest'ottica, il dibattito sulla cosiddetta "scelta precoce" si
trasforma a suo avviso nella costruzione dei percorsi più adeguati per
permettere ad ogni ragazzo di trovare la propria strada, superando la
concezione classista per cui il liceo è di "serie A", l’istruzione
professionale e tecnica di "serie B", il sistema regionale delle
qualifiche di "serie C".
Ancora una volta, ribadisce, la risposta sta nella personalizzazione
dell'istruzione. L’indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di
sopprimere le propensioni individuali imponendo ad ogni adolescente di
percorrere la stessa strada è la traiettoria più sicura verso gli
abbandoni e la dispersione.
Nello stesso spirito di una scuola che sia realmente per tutti, il
Ministro afferma poi il diritto all’istruzione di chi presenta abilità
diverse. Gli obiettivi didattici, le metodologie e gli strumenti devono
infatti essere personalizzati e coerenti, a suo giudizio, con le abilità
di ciascuno. Al riguardo, richiama le molte buone pratiche costruite su
competenza, professionalità, disponibilità e impegno delle diverse
componenti scolastiche, dagli insegnanti di sostegno agli insegnanti
curriculari, dai dirigenti scolastici alle associazioni, di cui ritiene
occorra far tesoro.
In tal senso, assicura il suo impegno ad ascoltare le esigenze, le
criticità e le proposte delle famiglie al fine di individuare percorsi
flessibili, che superino le rigidità in contrasto con l'azione
educativa.
Ella sollecita poi un'efficace collaborazione fra scuola e famiglie in
termini di "cooperazione corresponsabile". Solo in questo modo è
possibile infatti a suo avviso affrontare le difficoltà di
apprendimento, lo scarso rendimento scolastico, l'abbandono degli studi,
l'inconsapevolezza delle regole, l'abuso di sostanze stupefacenti che si
trovano alla base di fenomeni antisociali quali la microdelinquenza e il
bullismo.
D'altra parte, osserva peraltro che troppo a lungo si sono delegate alla
scuola responsabilità e azioni che competono alla famiglia, la quale
rappresenta, pur nelle sue difficoltà, la base fondamentale su cui
sviluppare le attività didattiche, formative ed educative.
Quanto ai fenomeni migratori che coinvolgono centinaia di migliaia di
adulti e di bambini, ella osserva che il primo obbligo è quello di
insegnare loro la lingua italiana e la Costituzione della Repubblica.
Ciò, al fine di non escludere quote sempre più ampie di alunni
extracomunitari nelle classi i quali, pur con competenze proprie,
risultano penalizzati dalla barriera linguistica.
Né l'alfabetizzazione letteraria può essere disgiunta da quella civile,
sia per i figli degli extracomunitari, che devono apprendere le regole
della comunità italiana, che per i giovani italiani. Al riguardo,
rammenta la meritoria iniziativa di Aldo Moro di introdurre nelle scuole
lo studio dell’educazione civica, cui ritiene doveroso restituire un
ruolo centrale.
Avviandosi alla conclusione, il Ministro ricorda il manifesto-appello
elaborato prima delle elezioni da un gruppo di volenterosi uomini di
conoscenza (Gruppo di Firenze), che dichiara di fare proprio
nell'ispirazione ai criteri di merito e responsabilità, nel richiamo ad
una scuola più qualificata ed efficace ma insieme più esigente sul piano
dei risultati e del comportamento, nonché nell'esigenza di restituire ai
docenti il prestigio e l'autorevolezza del loro ruolo.
In tale ottica, invita tutte le forze politiche a una grande "alleanza
per la scuola", che restituisca al Paese la speranza. Dichiarandosi
ottimista ed assicurando il proprio impegno più completo nello sforzo di
ricostruzione della principale infrastruttura italiana, rinnova dunque
l'invito a uno scatto d'orgoglio da parte di tutti, che non ceda alla
tentazione della rassegnazione.
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7a |
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Governo
27 |
Il Consiglio dei Ministri si riunisce alle ore 9,20 a
Palazzo Chigi
Il Consiglio dei Ministri ha approvato, su proposta
del Ministro dell’economia e delle finanze, Giulio Tremonti, i disegni
di legge relativi al Rendiconto generale dell’Amministrazione dello
Stato per il 2007 ed all’assestamento del bilancio di previsione dello
Stato per l’anno 2008.
Il primo disegno di legge (Rendiconto 2007) prende atto dei risultati
conseguiti nel decorso esercizio, nell’evoluzione dei conti pubblici. Il
rendiconto generale dello Stato nelle sue componenti del conto
finanziario e del conto del patrimonio è stato assoggettato a
parificazione dalla Corte dei conti il 26 giugno 2008. Il saldo netto da
finanziare in termini di competenza, al netto delle regolazioni
contabili e debitorie, risulta positivo per 12.406 milioni di euro,
derivante da entrate finali accertate per 478.559 milioni di euro e da
spese finali impegnate per 466.153 milioni di euro.
Il secondo disegno di legge riguarda l’assestamento del bilancio di
previsione per il 2008, che riporta l’impostazione per missioni e
programmi approvata con legge n. 245 del 2007 (legge di bilancio).
L’assestamento 2008, inoltre, riflette la ristrutturazione del Governo,
in sintonia con le disposizioni della legge finanziaria 2008 e del
decreto-legge 16 maggio 2008, n.85, risultando, pertanto, strutturato in
dodici stati di previsione della spesa.
Il provvedimento recepisce l’adeguamento delle entrate finali ai più
recenti andamenti dei gettiti dei singoli tributi e del quadro
macro-economico aggiornato, considerato nel Documento di programmazione
economico-finanziaria 2009-2013, recentemente approvato dal Governo
(meno 2,9 miliardi al netto delle regolazioni contabili).
Dal loro canto, le spese evidenziano un adeguamento degli stanziamenti
per 18 miliardi di euro, al netto delle regolazioni contabili e
debitorie, dovuto essenzialmente a un incremento degli interessi per 5
miliardi di euro, a indifferibili occorrenze gestionali già scontate nel
citato quadro tendenziale, nonché, in gran parte, ad esigenze connesse
alla sistemazione contabile di alcune poste di bilancio non aventi
incidenza sull’indebitamento netto e sul fabbisogno della P.A..
Il Consiglio ha poi approvato i seguenti provvedimenti: (...)
su proposta del Presidente del Consiglio, Berlusconi:
- un decreto-legge che dispone la proroga di alcuni termini previsti da
disposizioni legislative al fine di consentire la definitiva attuazione
degli adempimenti connessi. (...)
su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della
ricerca, Mariastella Gelmini:
- un regolamento che, sulla base di quanto richiesto dalla legge
finanziaria dello scorso anno, razionalizza le procedure concorsuali per
l’accesso alla qualifica di dirigente scolastico superando taluni
aspetti critici presenti nella disciplina attualmente in vigore. (...)
La seduta ha avuto termine alle ore 10,15
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24 |
Il Consiglio dei Ministri si riunisce alle ore 13,20 a
Palazzo Chigi
Il Consiglio dei Ministri, appositamente convocato, ha
prestato il proprio assenso a porre la questione di fiducia, qualora si
rendesse necessario, sulla conversione in legge del decreto-legge 27
maggio 2008, n. 93, in materia di salvaguardia del potere d’acquisto
delle famiglie, attualmente all’esame dell’Assemblea della Camera dei
deputati (atto Camera n. 1185).(...)
La seduta ha avuto termine alle ore 13,25.
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18 |
Il Consiglio dei Ministri si riunisce alle ore 19,35 a
Palazzo Chigi
Il Consiglio ha approvato, su proposta dei Ministri
dell’economia e delle finanze, Giulio Tremonti, dello sviluppo
economico, Claudio Scajola, per la pubblica amministrazione e
l’innovazione, Renato Brunetta, e del lavoro, salute e politiche
sociali, Maurizio Sacconi, una manovra, articolata su un decreto-legge
ed un disegno di legge, per il varo di disposizioni complessivamente
volte a promuovere lo sviluppo (anche mediante misure di semplificazione
di procedimenti amministrativi concernenti la libertà di iniziativa
economica), a restituire potere d’acquisto ai cittadini, a
razionalizzare l’efficienza e l’economicità dell’organizzazione
amministrativa, a perseguire obiettivi di perequazione tributaria ed a
semplificare procedimenti che incidono su questi aspetti.
Gli obiettivi delle norme in materia di lavoro sono: incoraggiare la
maggiore propensione delle imprese ad assumere attraverso la
de-regolazione della gestione dei rapporti di lavoro; promuovere una più
agevole regolarizzazione di tutti quei rapporti di lavoro che oggi sono
quasi sempre irregolari; superare ogni limite alla piena cumulabilità
dei redditi da lavoro e da pensione.
La manovra assicura altresì obiettivi di stabilizzazione della finanza
pubblica, nel rispetto di quelli concordati in Europa, sul triennio
2009, 2010, 2011. (...)
Il Consiglio ha altresì approvato, su proposta del Ministro
dell’economia e delle finanze, il Documento di programmazione
economico-finanziario per gli anni 2009-2013.
Il Consiglio ha poi approvato i seguenti provvedimenti: (...)
su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e
l’innovazione, Renato Brunetta:
- un disegno di legge per il conferimento al Governo di un’ampia delega
in materia di riforma del lavoro alle dipendenze della pubblica
amministrazione, per modificare in maniera significativa il rapporto di
lavoro pubblico con l’obiettivo di attuare una progressiva convergenza
con il lavoro privato, migliorare l’efficacia della contrattazione
collettiva, introdurre nell’ordinamento sistemi di valutazione del
personale al fine di rendere coerente l’offerta di servizi con gli
standards internazionali, valorizzare il merito dei dipendenti anche
attraverso meccanismi premianti, definire un sistema più rigoroso di
responsabilità in capo ai singoli dipendenti, ribadire il principio
della necessarietà del concorso pubblico per l’accesso e la progressione
in carriera, migliorare il sistema di formazione. Tra gli obiettivi che
il Governo si propone vi è il miglioramento della disciplina della
dirigenza pubblica in un’ottica che valorizza l’organizzazione del
lavoro, il progressivo miglioramento delle prestazioni erogate al
pubblico, il riconoscimento di meriti e demeriti. Il disegno di legge
verrà trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni per il parere prescritto;
(...)
La seduta ha avuto termine alle ore 20,10.
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13 |
Il Consiglio dei Ministri si riunisce alle ore 9,25 a
Palazzo Chigi
La seduta ha avuto termine alle ore 10,30 |
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