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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


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    Parlamento

     

    Camera

     

    Aula
    Commissioni
    7a 10, 17, 24, 26

    Audizione del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Mariastella Gelmini, sulle linee programmatiche del suo dicastero

    (10.6.08) Come darò atto dando lettura dell'intervento programmatico di questa mattina, nelle settimane che hanno preceduto la mia audizione mi sono astenuta dal rilasciare interviste e dichiarazioni in ordine al tema dell'istruzione, dell'università e della ricerca proprio per il grande rispetto che nutro nei confronti del Parlamento. Mi sono state rivolte molte domande sull'intendimento programmatico del mio dicastero, ma non ho rilasciato alcun tipo di dichiarazione, se non laddove vi era la necessità di prendere decisioni, come nel caso dei famosi debiti.
    L'incontro con il Presidente della Repubblica non ha avuto come oggetto l'illustrazione dettagliata delle mie linee programmatiche, bensì una valutazione sugli esami di maturità e sul tema della prova scritta ad opera dell'INVALSI per quanto riguarda la scuola media.
    Non nego che all'interno di questo colloquio, molto cordiale, si sia discusso ovviamente di quella che anche il Presidente Repubblica, condividendo le parole del Papa, definisce «comune emergenza educativa», ma non credo francamente di aver mancato di rispetto nei confronti della Commissione, posto che le linee programmatiche verranno illustrate per la prima volta qui oggi.
    Non intendo rispondere di quanto scrive Il Messaggero. Nella mia relazione, non vi sono certamente solo i temi da esso citati. Probabilmente la testata giornalistica è andata a intuito, consapevole della posizione programmatica dell'attuale Governo. Ignoro come abbia avuto quelle informazioni, che credo non corrispondano esattamente ai contenuti del mio programma. Vi garantisco comunque che non vi sono state indiscrezioni giornalistiche per quanto di mia competenza.
    Entrerei dunque nel merito della relazione.
    Signor presidente, onorevoli deputati, il grande rispetto che nutro per il lavoro del Parlamento e l'importanza che assegno al confronto con le Commissioni mi hanno indotto a chiedere al presidente Aprea e al presidente Possa di separare in due distinti momenti la mia audizione. Istruzione, università e ricerca scientifica costituiscono un tutt'uno, hanno per protagonista lo stesso soggetto, la persona nel suo cammino di crescita e di conoscenza, e sono parte dell'unica infrastruttura dell'educazione e del sapere. Tuttavia, la loro complessità, la diversità di linguaggi e in parte di problemi, la necessità di focalizzare sia pure a grandi linee il dibattito e di dare alla Commissione la più ampia possibilità di esprimersi meritano da parte di tutti noi l'esercizio di un duplice sforzo.
    Oggi, quindi, discuterò con voi dalla scuola primaria e secondaria. È necessario sottolineare innanzitutto un aspetto che mi preme e che ritengo voi abbiate il diritto di sapere e io il dovere di esprimere, ovvero il criterio affettivo, il sentimento razionale con cui ho deciso di accettare questo incarico gravoso ed esaltante. So bene che esso è pesato su spalle di grandi filosofi e di eminenti letterati, ai quali non mi permetto certo di paragonarmi, se non per l'essenziale, che non è la scienza e la cultura, ma la passione per l'educazione, il desiderio che questa Italia cresca nel bene più prezioso che oggi si usa definire «capitale umano», ma che più semplicemente si chiama «persona».
    In continuità con l'intendimento delle famiglie, la scuola è il luogo primo e decisivo di questa possibilità, in cui sola sta la speranza. Per definire la crisi che attraversa non solo l'Italia ma l'intero Occidente, il Santo Padre non ha esitato a parlare di «emergenza educativa» come del punto di debolezza maggiore della nostra società, parole che rispecchiano i sentimenti di preoccupazione che il Presidente Napolitano ha voluto manifestarmi.
    Nel dibattito sulla fiducia lo scorso 13 maggio, questa espressione è stata richiamata dai deputati di entrambi gli schieramenti, in particolare dagli onorevoli Renato Farina del Popolo della Libertà e Marina Sereni del Partito democratico.
    L'emergenza educativa non si affronta semplicemente con nuovi contenuti e nuove metodologie pur utili, né con il richiamo a valori astrattamente affermati. I valori, per essere condivisi e vissuti, devono essere convincenti per i ragazzi, come sono quando testimoniati da adulti (genitori, insegnanti, personale non docente), che propongono un senso positivo della vita.
    Signor presidente, onorevoli deputati, ho deciso in queste settimane di mantenere il più assoluto riserbo sulle linee di indirizzo, salvo rispondere ad alcune urgenze rispetto alle quali il silenzio del ministro poteva essere male interpretato. Non ho concesso interviste né scritto articoli, ma ho invece iniziato a studiare i dossier, a leggere quanto di buono o meno buono è stato scritto in questi ultimi anni sulla scuola, a riflettere per impostare proposte ragionevoli e utili.
    Oggi non intendo fare la lista della spesa, soprattutto perché i singoli capitoli di questa lista meritano (e credo li avranno) momenti di confronto focalizzato. Intendo invece esporre i princìpi e i metodi di un piano di legislatura. Sono sicura che il presidente della Commissione, l'onorevole Valentina Aprea, sia la persona più qualificata, anche per temperamento ed indole, a trasformare questo metodo in realtà quotidiana.
    Signor presidente, onorevoli deputati, il Governo e il ministro hanno piena consapevolezza dei gravi e complessi problemi della scuola. Consentitemi di risparmiarvi una serie di dati di largo e pubblico dominio e di valutazioni, che in questi ultimi mesi ho visto largamente condivise, limitandomi solo ad alcuni numeri fondamentali.
    Nelle comparazioni internazionali i nostri studenti risultano tra i più impreparati d'Europa. Le indagini OCSE-PISA, che misurano le competenze in ambito matematico e scientifico, la capacità di lettura e di soluzione dei problemi da parte dei quindicenni, collocano l'Italia ai livelli più bassi della classifica. Tra 57 Paesi siamo al trentatreesimo posto in lettura, al trentaseiesimo in cultura scientifica, al trentottesimo in matematica. Peggio di noi in Europa sono solo Grecia, Portogallo, Bulgaria e Romania, mentre meglio di noi Lituania e Slovenia. Negli ultimi sei anni siamo scivolati ancora più in basso.
    Vorrei però sottolineare preliminarmente come i risultati cambino sia riguardo alla tipologia di scuola - meglio i licei, peggio gli istituti tecnici professionali - sia rispetto all'area geografica - meglio il nord, peggio il sud e le isole - sia all'interno di ciascuna area, con una distribuzione di emergenze e di eccellenza a macchia di leopardo.
    Va anche sottolineato che, se tutti i commentatori hanno fermato la propria attenzione sui dati preoccupanti dei quindicenni, ben pochi hanno parlato delle scuole elementari, che mantengono invece un livello di eccellenza. Lo studio IEA PIRS pone i nostri bambini di 9 anni all'ottavo posto al mondo come capacità di lettura, secondi in Europa solo a Russia e Lussemburgo. Ritengo opportuno evitare di cercare soluzioni indifferenziate, giacché trattare malattie diverse con la stessa cura non è certamente un approccio razionale.
    Premesso il quadro nazionale unitario, cui siamo chiamati dai princìpi espressi dall'articolo 117 della Costituzione, occorre superare una vecchia e deleteria logica centralistica, che non tiene conto delle specificità sociali e territoriali. Il nuovo ruolo delle regioni, sancito dal Titolo V della Carta costituzionale e da definire compiutamente nell'attuazione della legge n. 53, così come il necessario rafforzamento dell'autonomia scolastica, devono costituire una sorta di federalismo all'insegna della sussidiarietà, che rappresenta il quadro istituzionale entro cui affrontare i problemi.
    Dobbiamo adottare la miglior cura per chi è più malato. Se siamo tutti convinti che l'istruzione è storicamente la più formidabile leva di emancipazione e di riscatto sociale, è ancora più urgente riparare questa leva nel Mezzogiorno d'Italia, dove i bassi livelli di apprendimento, la povertà e il degrado sociale rappresentano un male da estirpare. Quasi centocinquanta anni di studi e interventi dei grandi meridionalisti, sin dalle prime indagini di Sonnino e Franchetti, ci insegnano che solo attraverso il riscatto del Mezzogiorno e il dispiegamento delle sue enormi potenzialità l'Italia potrà considerarsi pienamente nazione.
    A fronte di questi dati serve, a mio modo di vedere, uno scatto d'orgoglio nazionale. Ciascuno di noi è chiamato a reagire e a togliere quel velo di rassegnazione che troppo spesso accompagna l'analisi del sistema scolastico. Dai posti più bassi delle classifiche l'Italia può e deve risalire. Non possiamo rassegnarci, inoltre, di fronte al dato preoccupante della dispersione scolastica. È un dovere cui siamo chiamati non solo dal Protocollo di Lisbona, ma anche dalla necessità di garantire alle nuove generazioni tutti gli strumenti atti ad affrontare il futuro. Due milioni di studenti delle scuole superiori (oltre il 70 per cento) riportano una o più insufficienze al termine del primo quadrimestre, negli istituti professionali gli insufficienti sono ben 8 su 10, mentre duecentomila studenti delle superiori nel corso del quinquennio abbandonano la scuola o vengono bocciati.
    In una scuola in cui, per riconoscimento unanime, seri e rigorosi criteri selettivi sono venuti scemando e in cui si registra un'enorme dispersione di capitale umano, o meglio di persone in carne ed ossa che vedono il proprio futuro pregiudicato, occorre una presa di posizione lontana da inutili visioni ideologiche. Il Paese ci chiede a gran voce di lasciare lo scontro politico fuori dalla scuola. Non basta elevare sulla carta l'obbligo scolastico ed è negativa la scorciatoia di semplificare i processi di apprendimento. Nostro compito è quello di offrire al Paese una scuola che ciascuno, secondo le proprie propensioni individuali, consideri strumento utile e necessario. Credo che sia giunta l'ora del buonsenso, del pragmatismo e delle soluzioni condivise.
    Questo principio vale anche sul fronte degli insegnanti. Non possiamo ignorare che lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria superiore, dopo 15 anni di insegnamento, è pari a 27.500 euro lordi annui, tredicesima inclusa. In Germania ne guadagnerebbe 20.000 in più, in Finlandia 16 .000 in più. La media OCSE è superiore a 40.000 euro l'anno. Questa legislatura deve vedere uno sforzo unanime nel far sì che gli stipendi degli insegnanti siano adeguati alla media OCSE. Ma per fare questo le difficoltà sono molte ed è necessario aggredire le cause delle iniquità del sistema, mediocre nell'erogazione dei compensi, mediocre nei risultati, mediocre nelle speranze.
    Una scuola ostaggio di rivendicazioni, più finalizzata allo scontro ideologico che non al recupero dei compiti del sistema, ha prodotto un esito che credo né i sindacati, né i partiti, né la società italiana tutta possano ritenere sensato: stipendi da fame, tramonto della cultura del merito, tramonto del senso della scuola.
    È una sconfitta nazionale, cui tutti abbiamo il dovere di reagire invocando un vero cambiamento e non presunte riforme. Per troppi anni abbiamo creduto tutti che le riforme legislative potessero produrre una palingenesi del sistema educativo e abbiamo affidato all'approvazione parlamentare di leggi di sistema la nostra speranza di migliorare la scuola. Abbiamo investito le nostre energie sull'attività legislativa. Abbiamo discusso troppo e troppo a lungo di cicli, di modelli pedagogici, di indirizzi, di dottrine e di ideologie formative. Abbiamo imbullonato e sbullonato leggi e decreti, badando più al colore politico che alla sostanza dei problemi. Oggi dovremmo tutti renderci conto che abbiamo bisogno di buona amministrazione, di buongoverno, di semplificazione e di chiarezza. Il ministro prende qui l'impegno solenne di rispettare queste considerazioni.
    Proporrò modifiche legislative solo laddove sia strettamente necessario; cercherò di contenere l'irresistibile tendenza burocratica a produrre montagne di regolamentazione confusa e incomprensibile, di favorire l'adozione di criteri generali e indicazioni nazionali leggibili, evitando la metastasi delle norme di dettaglio. Soprattutto cercherò di preservare e di mettere a sistema quanto di buono fatto dai miei predecessori. Per questo motivo non ho avuto tentennamenti rispetto alla cosiddetta «circolare Fioroni» sul recupero dei debiti scolastici attraverso prove supplementari. Nonostante il suo ritiro mi fosse chiesto da più parti - e mi avrebbe certamente garantito una facile popolarità - ho preferito rischiare di essere impopolare piuttosto che antipopolare. Ho provveduto certo a modificare aspetti che mi sembravano troppo dirigistici, ma non ne ho cambiato la sostanza. Questi anni hanno dimostrato che non c'è alternativa possibile e praticabile al ritorno della scuola dell'impegno e del rigore.
    Per troppi anni la scuola, come altre istituzioni, è stata amministrata con una visione ribaltata rispetto alla logica e al buonsenso. Si è pensato che l'abbassamento della qualità potesse agevolare gli studenti offrendo agli insegnanti qualche garanzia in più in grado di compensare la perdita di ruolo e di status, con il risultato di non favorire né gli uni né gli altri. La scuola ha smesso di essere un servizio ai cittadini e alla nazione per diventare un enorme ammortizzatore sociale. Non c'è Paese al mondo che abbia fatto così. Non ci sarebbe organizzazione in grado di sopravvivere a queste procedure. È ingiusto per gli studenti e per i docenti, è soprattutto mortale per la qualità del sistema educativo.
    Accanto a questo criterio autodistruttivo ne abbiamo introdotto un altro, che ha mortificato il senso di responsabilità. Abbiamo livellato le retribuzioni verso il basso e quindi - verrebbe da dire - toccato il fondo. Nella scuola abbiamo troppi dipendenti e poco pagati, con una carriera pressoché piatta. Non c'è quindi da stupirsi se tantissimi bravi maestri e professori non si sentono motivati, se tantissimi giovani preparati, con la vocazione all'insegnamento, scelgono altre strade; se lo Stato dà poco, non potrà che chiedere poco, in una spirale di frustrazione inarrestabile.
    Dobbiamo trovare il modo di rovesciare questi criteri. La rivalutazione del ruolo dei docenti, a partire dal pieno riconoscimento del loro status professionale, che non può essere confuso con chi nella scuola ricopre altri ruoli, ancorché essenziali, è un nodo da sciogliere. Affermo questo ringraziando tutti quegli straordinari insegnanti, quegli eccezionali dirigenti scolastici, i membri del personale amministrativo, che non solo svolgono il proprio dovere, ma nonostante tutto vanno ben oltre. Abbiamo delle eccellenze da cui desidero imparare, andando non a fare visite rituali, ma vivendo la scuola con loro.
    Dobbiamo trovare insieme il modo di migliorare le prestazioni della scuola, la retribuzione degli insegnanti e la qualità dei servizi accessori, sapendo che non disponiamo di risorse economiche illimitate, e che, anzi, dobbiamo compiere un grande sforzo di riqualificazione della spesa pubblica. Il precedente Governo aveva avviato un piano triennale di contenimento della spesa pubblica nel settore della scuola, che abbiamo ereditato e rispetto al quale non possiamo che procedere. I conti dello Stato e la situazione economica internazionale lo impongono. Va anche detto, tuttavia, che la coperta è corta, ma che la scuola è una priorità, anzi «la priorità». Non si tratta di un capitolo di bilancio qualsiasi, perché da essa dipende il futuro del Paese e il Governo dovrà tenerne conto.
    Se vogliamo migliorare concretamente il sistema scolastico in Italia, non si può eludere il tema dell'autonomia e dell'assunzione di responsabilità a tutti i livelli. Parlare di autonomia significa innanzitutto valorizzare le governance degli istituti, dotarle di poteri e di risorse adeguate e puntare alla loro valutazione. Autonomia e valutazione sono due facce della stessa medaglia: non possiamo rendere piena l'autonomia scolastica senza un sistema di valutazione che certifichi in trasparenza come e con quali risultati venga speso il pubblico denaro.
    Roger Abravanel in Meritocrazia definisce l'Italia un Paese pietrificato e come tale destinato al declino, precisando la sua idea di merito, che condivido pienamente. Meritocrazia è un sistema di valori che promuove l'eccellenza delle persone, indipendentemente dalla loro provenienza sociale, etnica, politica ed economica. Il merito non è una fonte di disuguaglianza, ma, al contrario, uno strumento per garantire pari opportunità ed è, dunque, la più alta forma di democrazia. Secondo Abravanel l'equazione del merito è «intelligenza più impegno. La scuola e l'università devono premiare gli studenti migliori. Se i risultati sono uguali per tutti, saranno sempre i figli dei privilegiati a prevalere». Ritengo che il punto di approdo del merito sia rappresentato dalla valutazione oggettiva degli studenti, degli insegnanti e delle scuole, che deve riguardare, scuola per scuola, non la presunta qualità dei processi e delle strutture, ma misurare il risultato dell'azione educativa sul singolo ragazzo quanto a valore aggiunto di cognizioni e crescita rispetto all'ingresso. Deve altresì tenere conto della dispersione scolastica. Serve un cambiamento epocale di mentalità, ma la società è pronta e se lo aspetta. Non sarà semplice e non sarà immediato, ma desidero dare il mio contributo per spargere i semi dal merito. Germoglieranno, ne sono sicura, perché l'Italia è pronta.
    Se condividiamo il valore della valutazione, questa legislatura deve dare stabilmente all'Italia un sistema avanzato e riconosciuto. Se condividiamo il ruolo delle autonomie scolastiche, non solo a parole, ma nei fatti, sarà più facile liberare le loro potenzialità.
    Ritengo fuorviante in questo senso parlare di parità scolastica marcando la diversità degli istituti scolastici in statali e privati. Si dice paritaria e paradossalmente con ciò si finisce per allargare il solco. Con la legge n. 62 del 2000, varata otto anni fa da un Governo di centrosinistra, esiste oggi in Italia un sistema pubblico di istruzione in cui convivono, in piena osservanza costituzionale, scuole dello Stato e scuole paritarie, istituite e gestite da privati. Tutte svolgono un servizio pubblico, in quanto tenute a rispondere a precise indicazioni ordinamentali stabilite dal sistema legislativo.
    Le scuole statali servono oltre il 90 per cento dell'utenza e sono quindi una realtà estremamente ampia, importante e capillarmente diffusa su tutto il territorio nazionale. D'altra parte, sta crescendo in tante zone d'Italia la domanda delle famiglie per percorsi educativi con specifiche connotazioni, cui la scuola paritaria può fornire risposte adeguate. Un sistema pubblico d'istruzione, che fondi sul principio di sussidiarietà forme di pluralismo educativo, è la risposta alle esigenze di istruzione e di formazione del cittadino.
    L'affermazione della parità scolastica sarebbe un espediente retorico, se si lasciassero languire o morire valide esperienze educative. Oltretutto, un dossier dell'AGESC rivela che il risparmio per l'erario, determinato nell'anno corrente dall'esistenza di queste libere iniziative, è di circa 5,5 miliardi, a fronte di un contributo di circa 500 milioni di euro. Invito tutti a pensare non agli istituti, ma agli studenti e alle loro famiglie. Ritengo infatti che tutte le famiglie meritino di poter liberamente scegliere dove far educare i propri figli.
    Le risposte finanziarie fin qui sperimentate costituiscono un valido punto di partenza per individuare forme efficaci di sostegno alle famiglie. Le scelte che il Governo farà in proposito avranno tutto lo spazio del dibattito parlamentare, per arrivare ad un sistema equo e condiviso. In questo senso, sarà interessante valutare non solo le soluzioni messe a punto dai Governi nazionali succedutisi, ma anche le strategie promosse dai governi regionali più sensibili alla soluzione del problema.
    Per quanto riguarda la condivisione degli obiettivi, al di là dei singoli temi e capitoli, occorre percorrere la strada del cambiamento condiviso, per dare stabilità al sistema. Solo condividendo la necessità di cambiare e rifuggendo da logiche conservative si entra in sintonia con larga parte del corpo sociale e si garantisce un senso al nostro ruolo. Quattordici associazioni di genitori, di dirigenti scolastici e di docenti hanno recentemente promosso un manifesto-appello, che chiede la condivisione di obiettivi che vanno dalla libertà di scelta educativa alla piena attuazione dell'autonomia scolastica, dalla personalizzazione dei piani di studio alla rivalutazione del ruolo del corpo docente. Altre spinte nella medesima direzione provengono dal mondo della scuola, dell'imprenditoria, dagli enti locali e dalle regioni, altre ancora dall'indagine conoscitiva condotta nella precedente legislatura dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal Ministero dell'istruzione, i cui esiti sono stati raccolti e analizzati nel Libro bianco sulla scuola del settembre 2007.
    Autonomia, valutazione e merito sono i grandi temi sui cui il Paese aspetta una risposta, in primo luogo dalla sottoscritta, e su cui il Parlamento ha il diritto e il dovere di esprimere la propria potestà legislativa. Mi sembra di poter registrare una convergenza anche con l'opposizione sulla necessità di avviare, citando dal programma del Partito democratico «una vera e propria carriera professionale degli insegnanti che valorizzi il merito e l'impegno» e ancora «nel realizzare un nuovo salto nell'autonomia degli istituti scolastici, facendo leva sulle capacità manageriali dei loro dirigenti all'interno di organi di governo aperti al contesto sociale e territoriale sulla valutazione sistematica dei risultati». Celebrando la Costituzione italiana, il mio predecessore, onorevole Fioroni, parlava di questa come della possibile legislatura del buonsenso. Condivido le sue parole.
    Se esiste un campo in cui il buonsenso e la politica devono incontrarsi, questo è proprio quello della scuola. Proprio sotto l'egida del buonsenso, mi sembra si sia avviato il confronto con Maria Pia Garavaglia in qualità di ministro ombra dell'istruzione, che ringrazio, più ancora che per le parole di stima che ha voluto rivolgermi, per essere da subito entrata senza preclusioni nel merito dei primi atti compiuti dal mio dicastero.
    Oggi dobbiamo interrogarci anche su cosa chiediamo alla scuola. La risposta potrebbe apparire scontata, ma in realtà non lo è. Pochi si aspettano dalla scuola che fornisca conoscenze disciplinari, formazione culturale, formazione professionale ed educazione. Non se lo aspettano molti, troppi studenti. Non è un caso se abbiamo portato al 93 per cento il tasso di partecipazione all'istruzione secondaria superiore della fascia dei giovani tra i 15 e i 19 anni.
    Nel 2006, un giovane su cinque tra i 18 e 24 anni aveva abbandonato prematuramente gli studi senza acquisire un diploma di scuola superiore o almeno una qualifica professionale entro il diciottesimo anno di età. Possiamo tendere a raggiungere gli obiettivi di Lisbona solo se a quei giovani e a quelle famiglie riusciamo a dimostrare e non a dire che in quel diploma e in quella qualifica risiede non un pezzo di carta, ma un futuro migliore.
    Oggi i dati statistici indicano che la società italiana è immobile. Il figlio dell'operaio è drammaticamente condannato, se è fortunato, a fare l'operaio. Ditemi voi se questo può essere ritenuto un sistema equo.
    Antonio Gramsci asseriva che il merito e la fatica dello studio sono gli unici possibili fattori di promozione sociale. È una citazione dai Quaderni dal carcere, che voglio ricordare prima di tutto a me stessa. Gramsci scriveva: «Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio. È un processo di adattamento. È un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza». La partecipazione di più larghe masse alla scuola media porta con sé la tendenza a rallentare la disciplina dello studio e a domandare facilitazioni. Occorrerà resistere alla tendenza di rendere facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato.
    Abbiamo di fronte a noi un'occasione: il precedente Governo ha stabilito, di concerto con le regioni, di rinviare al 1o settembre 2009 l'entrata a regime della legge n. 53. Il tempo è poco, ma il Parlamento e tutti gli attori coinvolti hanno la possibilità di dare al Paese una straordinaria prova di produttività. Ci sono due pilastri da rafforzare: il primo riguarda il nocciolo dell'istruzione, il secondo riguarda la personalizzazione dell'istruzione.
    Lo Stato è chiamato dalla Costituzione a determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e a dettare le norme generali sull'istruzione. I livelli essenziali nella società della conoscenza non possono che essere costituiti da una formidabile preparazione di base, che oggi è venuta drammaticamente a mancare.
    La patente delle tre «I» - inglese, internet e impresa -, indispensabile a percorrere le strade del terzo millennio, non può essere presa a discapito della quarta «I», quella di italiano, termine con cui ricomprendo l'antico trinomio «leggere, scrivere e fare di conto», da declinare e approfondire a seconda dei livelli e dei percorsi di istruzione, senza indulgere nello spezzettamento dei saperi e nei «progettifici», che, come segnalato dai moniti internazionali e dai documenti elaborati dal precedente Governo, producono nei nostri studenti inevitabili corto circuiti e deficit nella conoscenza, impossibili da recuperare.
    Come fa dire Leonardo Sciascia al professore Carmelo Franzò «l'italiano non è l'italiano, è il ragionare». L'italiano è quindi il territorio in cui si esercita la ragione, la ricerca del senso, la matematica e infine le tre «I», che fioriscono bene solo in questo alveo di significato.
    Le indicazioni nazionali saranno concentrate su questo obiettivo, lasciando alle autonomie scolastiche le più ampie possibilità, nella parti a loro riservate, di esaltare le proprie specificità, sempre - mi auguro - con l'obiettivo dell'eccellenza.
    Si sarà notato che uso spesso la parola «eccellenza» e che non cerco sinonimi, perché lo scopo che con voi vorrei pormi è il seguente ossimoro: «la normalità dell'eccellenza». Non è un paradosso, ma l'attenzione che anima ogni educatore.
    Quanto alla personalizzazione dell'istruzione, non intendo riassumere un dibattito troppo vasto e troppo ben conosciuto dai presenti, la cui leva principale è nell'interazione, nella sinergia tra autonomie scolastiche, docenti, studenti e famiglie. Al mondo non esiste legge o circolare ministeriale che possa indicare come e quando personalizzare. Esistono invece quadri di riferimento in grado di aiutare i soggetti della personalizzazione a parlare tra di loro e ad individuare le soluzioni concrete. Servono uno sforzo innanzitutto umano e il cuore dell'educatore che personalizzi l'istruzione.
    Mi concentro ora, seppur per sommi capi, sulla scuola secondaria di secondo grado, sul sistema dei licei, degli istituti tecnici e professionali, sulla formazione professionale. Ho ereditato materiali utilissimi, come il rapporto della cosiddetta «Commissione De Toni» sull'istruzione tecnica e professionale, che ci consentono di non iniziare ancora una volta da capo.
    La mia prospettiva - spero la nostra prospettiva - è quella di portare tutto il sistema in serie A. Ogni pezzo del sistema deve avere pari dignità, perché ogni persona deve avere gli strumenti atti ad edificare il proprio progetto di vita.
    Vorrei che il dibattito sulla cosiddetta «scelta precoce» si trasformasse nella costruzione dei percorsi più adeguati per permettere ad ogni ragazzo di trovare la propria strada. Il substrato di quel dibattito, magari sottaciuto, è permeato da una concezione classista, per cui il liceo è di serie A, l'istruzione professionale e tecnica sono di serie B, il sistema regionale delle qualifiche è di serie C. Non è così, o meglio, non è scontato che debba essere così. Non è così per gli istituti tecnici, ad esempio, da cui proviene - mi limito a citare un dato - lo zoccolo duro dei nostri laureati in ingegneria. Mi rifiuto, inoltre, di considerare il sistema della formazione professionale come una sorta di suburra, in cui relegare forzosamente sui banchi adolescenti per così dire difficili.
    Alcune regioni hanno costruito un sistema di grande qualità, che offre prospettive ai giovani e garantisce al mondo del lavoro persone preparate e predisposte alla formazione permanente. L'indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di uccidere le propensioni individuali per pretendere ope legis che ogni adolescente percorra la stessa strada sono la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e la dispersione. Diamo ad ogni persona la sua scuola e ogni persona troverà nella sua scuola le ragioni per frequentarla con profitto. Ridare senso alla scuola significa ridare senso a ciascuno dei percorsi per gli studenti e per le loro famiglie, ridare una motivazione per ciascuno a stare sui banchi, per stare meglio nella vita. Alcune di queste motivazioni possono essere rintracciate nella permeabilità tra mondo della scuola e mondo del lavoro.
    Alcune delle eccellenze nei settori dell'istruzione tecnica e della formazione professionale si fondano su questo interscambio, ma non credo che il sistema dei licei debba essere considerato una turris eburnea, tutt'altro. L'interazione tra scuola e lavoro, tra scuola e vita reale ha un ruolo inestimabile: far comprendere allo studente, in un'età difficile, l'utilità concreta di quanto sta facendo, che imparare serve ad essere promosso non solo a scuola, ma anche nella vita.
    Nello spirito di una scuola che sia realmente per tutti, affermo il diritto all'istruzione di chi presenta abilità diverse. Gli obiettivi didattici, le metodologie e gli strumenti devono essere personalizzati e coerenti con le abilità di ciascuno, per definire i livelli di apprendimento attesi. Molte sono le buone pratiche costruite su competenza, professionalità, disponibilità e impegno delle diverse componenti scolastiche, dagli insegnanti di sostegno agli insegnanti curriculari, dai dirigenti scolastici alle associazioni. Occorre fare tesoro dell'esperienza. Il mio impegno è indirizzato ad ascoltare le esigenze, le criticità, le proposte delle famiglie e di tutte quelle realtà associative che si occupano di disabilità, al fine di individuare insieme anche percorsi formativi più adeguati al bisogno con la necessaria flessibilità, superando le rigidità non coerenti con l'azione educativa.
    La scuola coinvolge la responsabilità dell'intera società, a cominciare dalle famiglie e dagli insegnanti. Elevare la qualità della scuola richiede un'assunzione di responsabilità collettiva. I fallimenti sperimentati nella quotidianità con i gravi fatti di violenza, di bullismo, di tossicodipendenza rendono consapevoli insegnanti e famiglie dell'impossibilità di farcela da soli, ciascuno per proprio conto, e della necessità di una cooperazione corresponsabile tra tutti i protagonisti del processo di crescita umana e professionale dei giovani.
    Se avvicineremo famiglia, scuola, comunità civile e mondo del volontariato, con il suo patrimonio di valori vissuti e di conoscenza del prossimo, e li faremo convergere su un'attenzione disinteressata nei riguardi dei giovani, sarà possibile far fronte alla sfida dell'emergenza educativa. Solo una partnership tra scuola e famiglia è in grado di affrontare disagi e difficoltà e di perseguire la qualità nei rapporti e negli apprendimenti, in modo che ogni studente possa trovare nella scuola le condizioni per valorizzare le proprie capacità e realizzare il proprio progetto di vita.
    Difficoltà di apprendimento, scarso rendimento scolastico, abbandono degli studi, inconsapevolezza delle regole, abuso di sostanze stupefacenti si trovano alla base di fenomeni antisociali, quali la micro delinquenza e il bullismo e si manifestano sempre più precocemente. Va anche osservato che troppo a lungo si sono delegate alla scuola responsabilità e azioni che competono alla famiglia, che, pur nelle sue difficoltà, rappresenta la base fondamentale su cui sviluppare le attività didattiche, formative ed educative.
    In questi ultimi anni, in particolare, la crisi della famiglia rende ancora più complesso il compito della scuola. Il manifestarsi delle diverse forme di disagio, infatti, chiama in causa innanzitutto gli affetti, i sentimenti, la vita di relazione dei giovani. Se si vuole rispondere efficacemente alla profonda esigenza di trasmettere il valore del rispetto e dell'osservanza delle regole, il valore della legalità, dei diritti e dei doveri, occorre agire sin dai primi anni di vita, sin dalla scuola dell'infanzia e dalla scuola primaria.
    Veniamo al tema dell'integrazione, una parole chiave: integrazione nella comunità, nella civitas. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla spinta migratoria, che coinvolge centinaia di migliaia di adulti e centinaia di migliaia di bambini. Il nostro primo obbligo è insegnare a tutti loro la lingua italiana e la Costituzione della Repubblica.
    Non sono passati secoli, ma pochi lustri, da quando un'altra spinta migratoria all'interno del Paese è stata l'occasione per alfabetizzare centinaia di migliaia di italiani, che sono diventati l'ossatura della nostra industria e gli artefici, con la doppia fatica dello studio e del lavoro, del miracoloso boom economico italiano. Oggi dobbiamo garantire la stessa alfabetizzazione agli immigrati e ai loro figli, per loro e per i nostri figli. In numerose classi il processo di apprendimento è frenato dalla necessità di non lasciare indietro, di non escludere quote sempre più alte di alunni extracomunitari, ragazzi e ragazze con competenze proprie, ma penalizzati dalla barriera linguistica.
    Occorre trovare soluzioni atte ad abbattere questa barriera e concentrare su quelle le nostre risorse professionali ed economiche, uscire dalle sperimentazioni per entrare nella normalità. Sulle modalità vorrei che si esprimesse la Commissione, ma chiederò anche l'aiuto di chi si trova in prima linea ad affrontare il problema, a partire dagli insegnanti delle classi in cui il numero di studenti stranieri è più elevato.
    Alfabetizzazione significa anche alfabetizzazione civile per i figli degli extracomunitari, che devono apprendere le regole della comunità italiana, così come noi apprendiamo e applichiamo le regole delle case in cui veniamo ospitati, ma anche per i giovani italiani. Giusto cinquanta anni fa, un grande statista e Ministro della pubblica istruzione, Aldo Moro, introduceva nelle scuole lo studio dell'educazione civica. Mi sembra che potremmo celebrare degnamente questo cinquantenario e i sessanta anni dalla nascita della Costituzione restituendo un ruolo centrale all'educazione civica.
    Signor presidente, onorevoli deputati, mi avvio ormai a concludere. Prima delle elezioni, un gruppo di volenterosi uomini di conoscenza, il cosiddetto «gruppo di Firenze», si è riunito per proporre agli italiani e in particolare alle forze politiche un manifesto-appello. Vorrei farlo mio e impossessarmi del suo messaggio più importante, laddove recita: «Sia le riforme sia il Governo e la vita della scuola, a tutti i livelli, dovranno ispirarsi ai criteri di merito e di responsabilità.
    L'aggiornamento dei programmi, la riorganizzazione dell'istruzione superiore, l'autonomia delle scuole potranno dare risultati effettivi e duraturi solo recuperando e mettendo in pratica questi elementari princìpi dell'etica pubblica e privata. Dobbiamo offrire ai nostri ragazzi una scuola più qualificata ed efficace, ma insieme più esigente sul piano dei risultati e del comportamento. Dobbiamo restituire ai docenti, spesso demotivati e resi scettici da troppe frustrazioni, il prestigio e l'autorevolezza del loro ruolo, intervenendo, però, con tempestività e rigore nei casi - pochi, ma negativi per l'immagine della scuola - di palese negligenza o di inadeguatezza. I dirigenti scolastici, infine, andranno valutati in primo luogo per la loro capacità di garantire nel proprio istituto professionalità e rispetto delle regole da parte di tutti».
    Desidero rivolgermi ai firmatari di questo appello, chiedendo loro aiuto. Sono infatti convinta che invertire la tendenza al degrado della scuola richieda un grande sforzo nazionale, cui sono chiamati il Parlamento e le parti sociali nelle loro definite responsabilità, cui è partecipe il mondo della cultura, il mondo dei giovani e le loro famiglie. Abbiamo bisogno di una grande alleanza per la scuola, che restituisca al Paese la parola «speranza».
    A chi ha sottoscritto quel documento, ai tanti che in queste settimane mi hanno dato utilissimi consigli chiedo collaborazione, così come anche alle associazioni degli studenti. Recentemente, ho incontrato il loro forum e so che non sarà facile trovare una lingua comune, perché spesso sono stati dati per scontati una sostanziale incomunicabilità e un atteggiamento in cui ministro e rappresentanti degli studenti sono controparti. Non lo do per scontato e chiedo loro di non darlo per scontato, prendendo l'impegno di tenere aperto un canale non episodico di discussione. Su alcuni punti avremo probabilmente posizioni diverse, ma ci saremo parlati e confrontati.
    La scuola ha bisogno di un grande impegno civile. Non dobbiamo rassegnarci e credere che la scuola italiana sia un malato terminale, ma è necessario uno scatto di orgoglio da parte di tutti. Personalmente ci credo, sono ottimista e intendo spendermi fino in fondo. Vi chiedo collaborazione e aiuto in questo sforzo di ricostruzione della principale infrastruttura italiana. Grazie. (Applausi).

     

    Senato

     

    Aula
    Commissioni
    7a 11, 17, 18, 24, 25 Comunicazioni del Ministro dell'istruzione, università e ricerca sugli indirizzi generali della politica del suo Dicastero

    Il ministro GELMINI chiarisce anzitutto di aver chiesto di tenere separate le dichiarazioni programmatiche in ordine all'Istruzione e all'Università e ricerca, in considerazione dell'importanza che assegna al confronto con le Commissioni parlamentari. I due settori, pur avendo senz'altro per protagonista il medesimo soggetto, presentano infatti una complessità e una diversità di linguaggi che meritano l'esercizio di un duplice sforzo.
    Avviandosi ad illustrare gli intendimenti del Governo in materia di Istruzione, ricorda anzitutto che il Santo Padre non ha esitato a parlare di recente di "emergenza educativa" quale punto di maggiore debolezza della società contemporanea. La medesima espressione è stata poi richiamata nel dibattito sulla fiducia al nuovo Esecutivo da parlamentari di entrambi gli schieramenti. Essa non si affronta tuttavia a suo giudizio solamente con nuovi contenuti e nuove metodologie, pur utili, ma con valori condivisi e, pertanto, convincenti per i ragazzi in quanto testimoniati da adulti.
    Dopo aver manifestato il proprio apprezzamento per la saggezza e l'esperienza del Presidente della Commissione, ella illustra poi gli intendimenti del Governo volti a fronteggiare i gravi e complessi problemi della scuola.
    Al riguardo, ella rammenta anzitutto che i quindicenni italiani risultano, nelle comparazioni internazionali, tra i più impreparati d'Europa in ambito matematico, scientifico e della lettura, anche se i risultati cambiano in relazione alla tipologia di scuola e all'area geografica. Né va dimenticato che i risultati sono invece di eccellenza con riferimento alla scuola elementare. Ritiene quindi che le soluzioni non possano essere indifferenziate, ma occorra superare la vecchia e deleteria logica centralistica che non tiene conto delle specificità territoriali. Al contrario, reputa che il nuovo ruolo delle Regioni, così come individuato dal riformato Titolo V della Costituzione, congiuntamente alla piena attuazione della "legge Moratti" e al necessario rafforzamento dell'autonomia scolastica, debbano rappresentare una sorta di federalismo all'insegna della sussidiarietà. I maggiori sforzi devono poi essere indirizzati in direzione della maggiore criticità ed in particolare al Sud, dove i bassi livelli di apprendimento, la povertà e il degrado sociale costituiscono senz'altro un male da estirpare. L'esperienza degli ultimi 150 anni dimostra del resto che solo attraverso il riscatto del Mezzogiorno e il dispiegamento delle sue enormi potenzialità
    l’Italia potrà considerarsi pienamente nazione. A tal fine invoca uno scatto d’orgoglio nazionale, ritenendo che l’Italia possa e debba risalire la china.
    Analogamente, reputa che il Paese non possa rassegnarsi di fronte al dato preoccupante della dispersione scolastica, garantendo alle nuove generazioni la disponibilità di tutti gli strumenti atti ad affrontare il futuro.
    Purtroppo però i criteri selettivi seri e rigorosi sono venuti via via scemando e si registra un’enorme dispersione di capitale umano per fronteggiare la quale il Paese chiede a gran voce di lasciare lo scontro politico fuori dalla scuola.
    In tale prospettiva, ella non giudica sufficiente elevare sulla carta l’obbligo scolastico, né condivisibile semplificare i processi di apprendimento. Al contrario, immagina una scuola che ciascuno, secondo le proprie propensioni individuali, senta come uno strumento utile e necessario.
    Quanto agli insegnanti, ella rammenta che i loro stipendi sono drammaticamente inferiori rispetto alla media Ocse. Si augura quindi che la legislatura in corso veda uno sforzo unanime affinché essi siano adeguati agli standard internazionali. A tale scopo, giudica indispensabile aggredire le cause di iniquità del sistema, mediocre nell’erogazione dei compensi, nei risultati e nelle speranze. Una scuola ostaggio di rivendicazioni, più finalizzata al controllo ideologico che non al recupero dei compiti del sistema ha del resto prodotto un esito, osserva, che né i sindacati, né i partiti, né la società italiana possono condividere: stipendi inadeguati, nonché tramonto della cultura del merito e del senso della scuola.
    Quanto alle riforme, ella sottolinea criticamente come per anni si sia affidata all’approvazione parlamentare di leggi di sistema la speranza di migliorare la scuola, badando più al colore politico che alla sostanza dei problemi.
    Ella ritiene invece che il sistema abbia bisogno prevalentemente di buona amministrazione e di buon governo, di semplificazione e di chiarezza.
    Prende quindi l’impegno a proporre modifiche legislative solo laddove strettamente necessario, a contenere l’irresistibile tendenza burocratica a produrre montagne di regolamentazione confusa e incomprensibile, a favorire l’adozione di criteri generali e Indicazioni nazionali leggibili, evitando la metastasi delle norme di dettaglio e preservando quanto di positivo fatto dai Governi precedenti. In quest'ottica, precisa di non aver ritirato la cosiddetta "circolare Fioroni" sul recupero dei debiti scolastici, nonostante ciò le fosse chiesto da più parti e le avrebbe garantito una facile popolarità, preferendo modificare soltanto gli aspetti che le sembravano troppo dirigistici, senza cambiarne la sostanza. Questi anni hanno dimostrato del resto, rileva, che non c’è alternativa possibile al ritorno nella scuola dell’impegno e del rigore.
    Ella lamenta poi che per anni si sia pensato che l’abbassamento della qualità potesse agevolare gli studenti da un lato, offrendo dall’altro lato agli insegnanti qualche garanzia in più che compensasse la perdita di ruolo e di status, con il risultato di non favorire né gli uni né gli altri e di trasformare la scuola in un enorme ammortizzatore sociale. Inoltre, è stato mortificato il senso di responsabilità dei docenti, livellando le loro retribuzioni verso il basso. L'assenza di qualunque prospettiva di carriera ha così tenuto lontani dalla scuola tantissimi giovani preparati, che avevano la vocazione all’insegnamento, ma che hanno scelto altre strade non solo meglio retribuite, ma con migliori prospettive.
    Onde rovesciare questi criteri, ritiene indispensabile sciogliere il nodo della rivalutazione del ruolo dei docenti, a partire dal pieno riconoscimento del loro status professionale, che non può essere confuso con chi nella scuola ricopre altri ruoli pur essenziali.
    Passando al tema delle risorse, si dichiara consapevole dell'esigenza di un grande sforzo di riqualificazione della spesa pubblica.
    Il precedente Governo, ricorda, aveva avviato un piano triennale di contenimento della spesa nel settore scuola, che i conti dello Stato e la situazione economica internazionale impongono di proseguire.
    Per migliorare concretamente il sistema scolastico in Italia non si può peraltro eludere, prosegue, il tema dell’autonomia e dell’assunzione di responsabilità a tutti i livelli. Autonomia e valutazione sono infatti due facce della stessa medaglia, né si può rendere piena l’autonomia scolastica senza un sistema di valutazione che certifichi, in trasparenza, come e con quali risultati venga speso il pubblico denaro.
    La meritocrazia è un sistema di valori che promuove l'eccellenza indipendentemente dalla provenienza sociale, etnica, politica ed economica delle persone; il merito non è quindi una fonte di disuguaglianza, ma all'opposto uno strumento per garantire pari opportunità, ed a tal fine deve essere valutato oggettivamente.
    Passando al tema della parità scolastica, ella rammenta che la legge n. 62 del 2000, varata dal Centro-sinistra, ha istituito un sistema pubblico di istruzione in cui convivono, in piena osservanza costituzionale, scuole statali e scuole paritarie, gestite da privati.
    Un sistema pubblico di istruzione che fondi sul principio di sussidiarietà forme di pluralismo educativo è, a suo avviso, la risposta alle esigenze di istruzione e formazione del cittadino.
    I modelli finanziari fin qui sperimentati costituiscono, prosegue il Ministro, un valido punto di partenza per individuare forme efficaci di sostegno alle famiglie. Annuncia peraltro che le scelte del Governo in proposito saranno sottoposte al pieno dibattito parlamentare per arrivare ad un risultato equo e condiviso.
    A questo proposito, ritiene peraltro interessante valutare le soluzioni che non solo i Governi nazionali via via succedutisi hanno messo a punto, ma anche le strategie promosse dai governi regionali più sensibili alla soluzione del problema.
    Ella sottolinea poi l'esigenza di condividere gli obiettivi, richiamando il manifesto-appello che recentemente hanno promosso numerose associazioni di genitori, di dirigenti scolastici e di docenti. Nel riferirsi altresì alle aspettative del mondo della scuola, dell’imprenditoria, delle Regioni e degli enti locali, nonché alle risultanze del "Libro bianco sulla scuola" redatto nella scorsa legislatura, individua nell'autonomia, nella valutazione e nel merito i grandi temi su cui il Paese aspetta una risposta e su cui intende promuovere un proficuo dialogo con il Parlamento. In tale ottica, si augura di poter registrare una convergenza anche con l'opposizione e di avviare una "legislatura del buon senso", come già aveva indicato l'ex ministro Fioroni. Registra in proposito il costruttivo impegno del ministro ombra Mariapia Garavaglia, che ringrazia fin d'ora.
    Nel soffermarsi sul tasso ancora troppo elevato di precoce abbandono degli studi, ella sottolinea poi l'esigenza di dimostrare agli studenti e alle famiglie che i diplomi non rappresentano un pezzo di carta ma il biglietto per un futuro migliore, disincrostando una società immobile ed iniqua in cui lo studio non riesce a rappresentare un effettivo fattore di promozione sociale.
    Cogliendo l'occasione del rinvio operato dal precedente Governo al 1° settembre 2009 della piena applicazione della riforma Moratti, ella sollecita quindi il Parlamento e la società intera a dare una prova straordinaria di produttività, creando le premesse per una formidabile preparazione di base ed una effettiva personalizzazione dell'istruzione.
    Quanto al primo aspetto, ritiene che le tre I (inglese, internet, impresa) non possano andare a discapito della quarta (italiano), che deve essere approfondita senza indulgere nello spezzettamento dei saperi e nei "progettifici". Ritiene quindi che le Indicazioni nazionali debbano essere concentrate su questo obiettivo, lasciando alle autonomie scolastiche le più ampie possibilità, nelle parti a loro riservate, di esaltare le proprie specificità, sempre con l'obiettivo dell'eccellenza.
    Quanto alla personalizzazione dell’istruzione, reputa che la leva principale sia nell’interazione tra autonomie scolastiche, docenti, studenti e famiglie.
    Con riferimento specifico alla scuola secondaria di secondo grado, richiama anzitutto il rapporto della cosiddetta "commissione De Toni" sull'istruzione tecnica e professionale. Al riguardo, comunica che l'intenzione del Governo è di portare tutto il sistema alla "serie A", assicurando ad ogni segmento una pari dignità.
    In quest'ottica, il dibattito sulla cosiddetta "scelta precoce" si trasforma a suo avviso nella costruzione dei percorsi più adeguati per permettere ad ogni ragazzo di trovare la propria strada, superando la concezione classista per cui il liceo è di "serie A", l’istruzione professionale e tecnica di "serie B", il sistema regionale delle qualifiche di "serie C".
    Ancora una volta, ribadisce, la risposta sta nella personalizzazione dell'istruzione. L’indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di sopprimere le propensioni individuali imponendo ad ogni adolescente di percorrere la stessa strada è la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e la dispersione.
    Nello stesso spirito di una scuola che sia realmente per tutti, il Ministro afferma poi il diritto all’istruzione di chi presenta abilità diverse. Gli obiettivi didattici, le metodologie e gli strumenti devono infatti essere personalizzati e coerenti, a suo giudizio, con le abilità di ciascuno. Al riguardo, richiama le molte buone pratiche costruite su competenza, professionalità, disponibilità e impegno delle diverse componenti scolastiche, dagli insegnanti di sostegno agli insegnanti curriculari, dai dirigenti scolastici alle associazioni, di cui ritiene occorra far tesoro.
    In tal senso, assicura il suo impegno ad ascoltare le esigenze, le criticità e le proposte delle famiglie al fine di individuare percorsi flessibili, che superino le rigidità in contrasto con l'azione educativa.
    Ella sollecita poi un'efficace collaborazione fra scuola e famiglie in termini di "cooperazione corresponsabile". Solo in questo modo è possibile infatti a suo avviso affrontare le difficoltà di apprendimento, lo scarso rendimento scolastico, l'abbandono degli studi, l'inconsapevolezza delle regole, l'abuso di sostanze stupefacenti che si trovano alla base di fenomeni antisociali quali la microdelinquenza e il bullismo.
    D'altra parte, osserva peraltro che troppo a lungo si sono delegate alla scuola responsabilità e azioni che competono alla famiglia, la quale rappresenta, pur nelle sue difficoltà, la base fondamentale su cui sviluppare le attività didattiche, formative ed educative.
    Quanto ai fenomeni migratori che coinvolgono centinaia di migliaia di adulti e di bambini, ella osserva che il primo obbligo è quello di insegnare loro la lingua italiana e la Costituzione della Repubblica. Ciò, al fine di non escludere quote sempre più ampie di alunni extracomunitari nelle classi i quali, pur con competenze proprie, risultano penalizzati dalla barriera linguistica.
    Né l'alfabetizzazione letteraria può essere disgiunta da quella civile, sia per i figli degli extracomunitari, che devono apprendere le regole della comunità italiana, che per i giovani italiani. Al riguardo, rammenta la meritoria iniziativa di Aldo Moro di introdurre nelle scuole lo studio dell’educazione civica, cui ritiene doveroso restituire un ruolo centrale.
    Avviandosi alla conclusione, il Ministro ricorda il manifesto-appello elaborato prima delle elezioni da un gruppo di volenterosi uomini di conoscenza (Gruppo di Firenze), che dichiara di fare proprio nell'ispirazione ai criteri di merito e responsabilità, nel richiamo ad una scuola più qualificata ed efficace ma insieme più esigente sul piano dei risultati e del comportamento, nonché nell'esigenza di restituire ai docenti il prestigio e l'autorevolezza del loro ruolo.
    In tale ottica, invita tutte le forze politiche a una grande "alleanza per la scuola", che restituisca al Paese la speranza. Dichiarandosi ottimista ed assicurando il proprio impegno più completo nello sforzo di ricostruzione della principale infrastruttura italiana, rinnova dunque l'invito a uno scatto d'orgoglio da parte di tutti, che non ceda alla tentazione della rassegnazione.

    7a

    Governo

    27 Il Consiglio dei Ministri si riunisce alle ore 9,20 a Palazzo Chigi

    Il Consiglio dei Ministri ha approvato, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, Giulio Tremonti, i disegni di legge relativi al Rendiconto generale dell’Amministrazione dello Stato per il 2007 ed all’assestamento del bilancio di previsione dello Stato per l’anno 2008.
    Il primo disegno di legge (Rendiconto 2007) prende atto dei risultati conseguiti nel decorso esercizio, nell’evoluzione dei conti pubblici. Il rendiconto generale dello Stato nelle sue componenti del conto finanziario e del conto del patrimonio è stato assoggettato a parificazione dalla Corte dei conti il 26 giugno 2008. Il saldo netto da finanziare in termini di competenza, al netto delle regolazioni contabili e debitorie, risulta positivo per 12.406 milioni di euro, derivante da entrate finali accertate per 478.559 milioni di euro e da spese finali impegnate per 466.153 milioni di euro.
    Il secondo disegno di legge riguarda l’assestamento del bilancio di previsione per il 2008, che riporta l’impostazione per missioni e programmi approvata con legge n. 245 del 2007 (legge di bilancio).
    L’assestamento 2008, inoltre, riflette la ristrutturazione del Governo, in sintonia con le disposizioni della legge finanziaria 2008 e del decreto-legge 16 maggio 2008, n.85, risultando, pertanto, strutturato in dodici stati di previsione della spesa.
    Il provvedimento recepisce l’adeguamento delle entrate finali ai più recenti andamenti dei gettiti dei singoli tributi e del quadro macro-economico aggiornato, considerato nel Documento di programmazione economico-finanziaria 2009-2013, recentemente approvato dal Governo (meno 2,9 miliardi al netto delle regolazioni contabili).
    Dal loro canto, le spese evidenziano un adeguamento degli stanziamenti per 18 miliardi di euro, al netto delle regolazioni contabili e debitorie, dovuto essenzialmente a un incremento degli interessi per 5 miliardi di euro, a indifferibili occorrenze gestionali già scontate nel citato quadro tendenziale, nonché, in gran parte, ad esigenze connesse alla sistemazione contabile di alcune poste di bilancio non aventi incidenza sull’indebitamento netto e sul fabbisogno della P.A..
    Il Consiglio ha poi approvato i seguenti provvedimenti: (...)
    su proposta del Presidente del Consiglio, Berlusconi:
    - un decreto-legge che dispone la proroga di alcuni termini previsti da disposizioni legislative al fine di consentire la definitiva attuazione degli adempimenti connessi. (...)
    su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Mariastella Gelmini:
    - un
    regolamento che, sulla base di quanto richiesto dalla legge finanziaria dello scorso anno, razionalizza le procedure concorsuali per l’accesso alla qualifica di dirigente scolastico superando taluni aspetti critici presenti nella disciplina attualmente in vigore. (...)
    La seduta ha avuto termine alle ore 10,15

    24 Il Consiglio dei Ministri si riunisce alle ore 13,20 a Palazzo Chigi

    Il Consiglio dei Ministri, appositamente convocato, ha prestato il proprio assenso a porre la questione di fiducia, qualora si rendesse necessario, sulla conversione in legge del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, in materia di salvaguardia del potere d’acquisto delle famiglie, attualmente all’esame dell’Assemblea della Camera dei deputati (atto Camera n. 1185).(...)
    La seduta ha avuto termine alle ore 13,25.

    18 Il Consiglio dei Ministri si riunisce alle ore 19,35 a Palazzo Chigi

    Il Consiglio ha approvato, su proposta dei Ministri dell’economia e delle finanze, Giulio Tremonti, dello sviluppo economico, Claudio Scajola, per la pubblica amministrazione e l’innovazione, Renato Brunetta, e del lavoro, salute e politiche sociali, Maurizio Sacconi, una manovra, articolata su un decreto-legge ed un disegno di legge, per il varo di disposizioni complessivamente volte a promuovere lo sviluppo (anche mediante misure di semplificazione di procedimenti amministrativi concernenti la libertà di iniziativa economica), a restituire potere d’acquisto ai cittadini, a razionalizzare l’efficienza e l’economicità dell’organizzazione amministrativa, a perseguire obiettivi di perequazione tributaria ed a semplificare procedimenti che incidono su questi aspetti.
    Gli obiettivi delle norme in materia di lavoro sono: incoraggiare la maggiore propensione delle imprese ad assumere attraverso la de-regolazione della gestione dei rapporti di lavoro; promuovere una più agevole regolarizzazione di tutti quei rapporti di lavoro che oggi sono quasi sempre irregolari; superare ogni limite alla piena cumulabilità dei redditi da lavoro e da pensione.
    La manovra assicura altresì obiettivi di stabilizzazione della finanza pubblica, nel rispetto di quelli concordati in Europa, sul triennio 2009, 2010, 2011. (...)
    Il Consiglio ha altresì approvato, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, il Documento di programmazione economico-finanziario per gli anni 2009-2013.
    Il Consiglio ha poi approvato i seguenti provvedimenti: (...)
    su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, Renato Brunetta:
    - un disegno di legge per il conferimento al Governo di un’ampia delega in materia di riforma del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, per modificare in maniera significativa il rapporto di lavoro pubblico con l’obiettivo di attuare una progressiva convergenza con il lavoro privato, migliorare l’efficacia della contrattazione collettiva, introdurre nell’ordinamento sistemi di valutazione del personale al fine di rendere coerente l’offerta di servizi con gli standards internazionali, valorizzare il merito dei dipendenti anche attraverso meccanismi premianti, definire un sistema più rigoroso di responsabilità in capo ai singoli dipendenti, ribadire il principio della necessarietà del concorso pubblico per l’accesso e la progressione in carriera, migliorare il sistema di formazione. Tra gli obiettivi che il Governo si propone vi è il miglioramento della disciplina della dirigenza pubblica in un’ottica che valorizza l’organizzazione del lavoro, il progressivo miglioramento delle prestazioni erogate al pubblico, il riconoscimento di meriti e demeriti. Il disegno di legge verrà trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni per il parere prescritto; (...)
    La seduta ha avuto termine alle ore 20,10.

    13 Il Consiglio dei Ministri si riunisce alle ore 9,25 a Palazzo Chigi
    La seduta ha avuto termine alle ore 10,30

     



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